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NUMERO 264 -PAGINA 2 - LA SINISTRA DEL NO E DEL SI
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Ancora
non è chiaro se per davvero, come sembrava dal suo discorso nella notte
della sconfitta, Renzi sappia perdere. Ma è almeno altrettanto dubbio
che la sinistra del No, vista la sua accoglienza della ragionevole
proposta di ricucitura di Pisapia, sappia vincere.
Governare è obbligatorio? Certo che non lo è. Ma in fin dei conti
neppure partecipare alla competizione politica lo è: con tutto quel
faticoso e spesso mortificante sbattersi per obiettivi mai uguali a
quelli immaginati. Spesso appena l'ombra del sogno che si insegue. La
politica è un mestieraccio, ti tocca avere a che fare con chi mai e poi
mai frequenteresti, nella tua vita di privato cittadino. La Polis è di
tutti: non si sa mai chi puoi incontrarci. E dunque, oggi come venti,
trenta e cinquanta anni fa, la vera domanda che la sinistra del “mai
con Renzi” (variante dell'eterno “meglio soli che male accompagnati”
che è l'anima del settarismo di ogni epoca) dovrebbe porsi è se non
valga la pena, infine, destinare la tenacia e la passione che le sono
proprie alle tante altre nobili e utili attività sociali a disposizione.
Dal volontariato all'associazionismo alla promozione culturale e
artistica alla filantropia eccetera. Si cambiano le cose anche così. Lo
fanno, con risultati spesso ammirevoli, anche ragazzi semplici e
vecchie contesse, casalinghe non disperate e pensionati ancora
vigorosissimi. Signori e popolo, che di politica politicante non
vogliono sentir parlare, non è affar loro e anzi le alchimie di
partito, le tattiche e le strategie, le mosse e le contromosse
confliggono con il loro daffare, che è pragmatico, mica chiacchiere.
Dico questo dopo avere letto parecchie delle reazioni a freddo, che si
sommano a quelle a caldo, alla sortita di Giuliano Pisapia, che si
propone come tessitore dello sdrucito eppure loquacissimo universo
“alla sinistra di Renzi”. Ma commettendo l'errore — imperdonabile per
molti — di considerare Renzi il segretario del Pd; colui che ha vinto
le primarie; colui che ha raccolto, attorno al Sì, la maggioranza
schiacciante degli elettori dem; ovvero il leader politico di un
partito che conta milioni di elettori, senza i quali nessuna ipotesi di
governo di centrosinistra è plausibile. Ma no, non è questo il Renzi
che si para dinnanzi alla sinistra occhiutissima, navigatissima che lo
descrive come i baccelloni di Don Siegel ( L'invasione degli
ultracorpi), un corpo alieno subdolamente introdotto nel corpo sano
dell'ex Grande Partito per risucchiarne l'anima e cancellarne
l'identità, un agente del Capitale, dei poteri forti, della massoneria.
Non solo, dunque, i blogger trentenni a corto di letteratura,
postpolitici e postfattuali, ma anche solidi quadri di partito
cresciuti nel materialismo dialettico sono in grado di cedere a quel
grande comfort che è il complottismo: quello che non capisco è il Male,
solo così riesco a spiegarmelo. E dunque, se è il Male ciò che la
storia mi propone, non mi rimane che combatterlo.
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Meglio
l'eternità virtuosa dell'opposizione che il breve sporco momento nel
quale ci si incarna nel fango del compromesso politico.
Pisapia non è renziano. Ma Pisapia è stato sindaco di Milano — un buon
sindaco — grazie a un piccolo prodigio di anti-settarismo, di politique
d'abord, di calcolata generosità. Ossimoro, quest'ultimo, inspiegabile
al di fuori della politica, che può essere generosa solo in quanto sa
essere calcolatrice, ovvero capace di cambiare le cose a partire da
come le cose stanno, non da come le cose dovrebbero essere (e non sono
mai).
Di utile, per adesso, la sua uscita ha avuto sopratutto questo: ha dimostrato probabilmente non
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Il
cuore dell'analisi di Michele Serra sulla Sinistra del no, no, no è
questo: «Il No referendario a sinistra prescindeva largamente dal
motivo del contendere: quel passaggio elettorale serviva effettivamente
come una sentenza senza appello contro il governo Renzi. Tanto è vero
che il Sì di Pisapia gli viene rinfacciato come una colpa che lo rende
improponibile come potenziale leader di una sinistra non renziana:
perché la sinistra o è contro Renzi, oppure non sussiste ».
Per molti italiani di sinistra, tra cui chi scrive, le cose non stanno così.
Abbiamo votato sul merito della riforma, e abbiamo votato No perché
essa proponeva (sono parole di un pacato costituzionalista, tutt'altro
che antirenziano, come Ugo De Siervo) «una riduzione della democrazia».
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Cosa
c'è di sinistra nel puntare tutto su una nuova stagione di
cementificazione, attraverso lo smontaggio delle regole (lo Sblocca
Italia)? Cosa c'è di sinistra in una Buona Scuola orientata a «formare
persone altamente qualificate come il mercato richiede, svincolandola
dai limiti che possono derivare da un'impostazione classica e troppo
teorica» (così la ministra Giannini)?
Cosa c'è di Sinistra nello smantellare la tutela pubblica del
patrimonio storico e artistico, condannando a morte archivi e
biblioteche, e mercificando in modo parossistico i grandi musei, detti
ormai “grandi attrattori” di investimenti?
Il punto, in sintesi, è questo: mentre oggi Destra e Sinistra
concordano nel ritenere senza alternative un'economia di mercato, la
Sinistra non crede che dobbiamo essere anche una società di mercato. E
mentre la prima ripete Tina ( there is no alternative), la seconda
lavora per costruire un'alternativa praticabile allo stato delle cose.
Se il Partito democratico ha fatto di Tina il proprio motto non è certo
colpa di Matteo Renzi: ma questi è stato il più brillante portavoce di
questa mutazione. Se la politica di una società di mercato non può che
essere marketing, il modo di pensare, parlare, governare di Renzi è
stato paradigmatico.
Allora la questione è: ha senso costruire — come propone Pisapia — una
nuova forza di sinistra che nasca con incorporato il dogma del Tina? La
vera sfida è costruire una forza che ambisca a diminuire la
diseguaglianza, e non la democrazia. Una forza persuasa che «guasto è
il mondo, preda / di mali che si susseguono, dove la ricchezza si
accumula / e gli uomini vanno in rovina » ( Oliver Goldsmith, The
Deserted Village): e che sia venuto il momento di ripararlo, non di
limitarsi a oliarne i meccanismi perversi.
Tomaso Montanari
LaRepubblica
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non volendolo, che il No referendario, a
sinistra,
prescindeva largamente dal motivo del contendere: quel passaggio
elettorale serviva effettivamente come una sentenza senza appello
contro il governo Renzi. Tanto è vero che il Sì di Pisapia gli viene
rinfacciato come una colpa che lo rende improponibile come potenziale
leader di una sinistra non renziana; perché la sinistra o è contro
Renzi oppure non sussiste.
La cosa che Pisapia sicuramente ha capito, e i suoi critici molto di
meno, è che proprio la vocazione minoritaria di questa sinistra del “no
no no” è una delle cause fondanti del renzismo e della sua ossessione
maggioritaria. Il renzismo ipercinetico nasce soprattutto come rimedio
(sbrigativo, come si è visto, e infine perdente) alla mortificante
stasi che lo ha preceduto, a un culto della complessità spinto fino
all'inconcludenza, all'ammuffimento e alla depressione della sinistra
negli anni di Berlusconi. Molti di coloro che spregiano Renzi, gli
slogan di facciata della Leopolda, la fretta di cambiare purchessia,
dimenticano o ignorano lo strettissimo nesso tra Renzi e le debolezze
che lo hanno generato. Altro che “corpo estraneo”. E ora, al solo
pensiero di fare seriamente i conti con questo fenomeno ingombrante e
imprevisto, in parte tardivo remake del blairismo, in parte inedito
vitalismo progressista disposto a tutto (perfino a varare, con una
decina di anni di ritardo, una legge sulle unioni civili) pur di non
morire di noia, voltano la faccia dall'altra parte.
Michele Serra
LaRepubblica
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Matteo
Renzi (primo firmatario della legge di riforma) ha proposto uno scambio
tra diminuzione della rappresentanza e della partecipazione e
(presunto) aumento della possibilità di decidere: ha risposto Sì chi
sentiva di poter rinunciare ad essere rappresentato perché già
sufficientemente garantito sul piano economico e sociale. Ha detto No
chi non ha altra difesa che il voto.
Basterebbe questo a suggerire che il No abbia qualcosa a che fare con l'orizzonte della Sinistra.
Ma c'è una ragione più profonda. La Brexit, la vittoria di Trump e ora
quella del No in Italia hanno indotto molti osservatori e protagonisti
(tra questi Giorgio Napolitano) ad additare i rischi del suffragio
universale: la democrazia comincia ad essere avvertita come un
pericolo, perché la maggioranza può votare per sovvertire il sistema.
Perché siamo arrivati a questo? Perché la diseguaglianza interna agli
stati occidentali ha raggiunto un tale livello che la maggioranza dei
cittadini è disposta a tutto pur di cambiare lo stato delle cose. È qua
la radice della riforma: oltre un certo limite la diseguaglianza è
incompatibile con la democrazia. E allora o si riduce la prima, o si
riduce la seconda. E questa riforma ha scelto la seconda opzione: che a
me pare il contrario di ciò che dovrebbe fare una qualunque Sinistra.
D'altra parte questa scelta è stata coerente con la linea del
governo Renzi: cosa c'è di sinistra nei voucher, e nel Jobs Act che
riduce i lavoratori a merce, introducendo il principio che pagando si
può licenziare? Cosa c'è di sinistra nel procedere per bonus una tantum
che non provano nemmeno a cambiare le diseguaglianze strutturali, ma le
leniscono con qualcosa che ricorda una compassionevole beneficenza di
Stato? Cosa c'è di sinistra nel “battere i pugni sul tavolo” con
l'Unione Europea, invece di costruire un asse capace di chiedere la
ricontrattazione dei trattati (a partire da Maastricht) imperniati
sulle regole di bilancio e sulla libera circolazione delle merci, e non
sul lavoro e i diritti dei cittadini?
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tempo era la parrocchia che raccoglieva mobili ed oggetti domestici di
defunti o scartati dalle famiglie e quelli in buono stato li destinava
ai poveri. La parrocchia non può più fare questo servizio (per mancanza
di spazio) e il comne, che aveva spazi inutilizzati, ha speso oltre
centomila euro (cofinanziati dalla regione) per l'allestimento di una
apposita sezione nel magazzino comunale per fare quel che era un'azione
della parrocchia.
Un'operazione molto costosa per i cittadini e di nessun impatto reale nella diminuizione dello scarto nei rifiuti.
Perchè è pur vero che più si ricicla meno si spreca ma oltre a fare un
piacere alla parrocchia sollevandola da un impegno assuntosi
autonomamente
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sarebbe meglio che il Comune puntasse decisamente a raggiungere il 70% della raccolta anzichè il 59,9% (anno 2014).
L'aspetto che disturba é che prima ancora che sia passato un anno
dall'apertura delLaMiniera -almeno per dare una valutazione- il
comune abbia concorso all'inserimento nel gruppo dei Comuni Virtuosi
(vedi manifesto) confermando di nuovo l'atteggiamento presenzialista
della sindaca Serra (in rete ci sono due -tre filmati sulLaMiniera) in
merito a scelte spendibili elettoralmente sui media locali e nazionali.
Anche da questo particolare (comunque che é costato oltre centomila
euro ai cittadini...) emerge l'idea di un pezzo di società lontana da
quella che
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nei giorni scorsi ha votato un sonoro NO al referendum.
Che é poi la stessa lettura che si può fare della nuova scuola
elementare nella quale i bisogni (eventuali) degli allievi sono
subordinati agli interessi occupazionali degli insegnanti.
Del resto basta andare al
centro raccolta differenziata in fondo a via Curnasco per capire che il
Comune di Curno non ha capito e nemmeno gli importa un tubo della
faccenda: l'accesso in senso orario dei mezzi dei depositanti é fatto
al contrario di come sono messi i cassoni. Idem per le tettoie, ridotte
al minimo senza tener conto che -proprio per evitare di pagare l'acqua
piovana come scarto- i cassoni dovrebbero essere ben riparati dagli
straventi.
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