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In
pochi hanno commentato i dati diffusi dal Censis qualche ora prima che
si votasse per il referendum costituzionale. Per quale motivo? vi
chiedere te: la risposta è banale.
Il motivo è che il Censis ci dice quello che già sappiamo e tutti sono stanchi di ribadire:
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Ha
vinto il no dei posti di lavoro aumentati ma della produttività
diminuita, ha vinto il no delle pensioni d'oro rimaste intatte per
impossibilità (fonte Tommaso Nannicini, sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio) di fare calcoli corretti e restituire giustizia.
Ha vinto il no delle periferie abbandonate.
Ha vinto il no dei territori sotto il giogo delle organizzazioni
criminali e non perché le organizzazioni abbiano orientato il voto: non
hanno orientato un bel niente e quei no, Signori politici, erano
proprio a voi, a tutti voi, per dirvi che così non è umano andare
avanti.
Ha vinto il no di un Sud che non ce la fa più a essere considerato marginale.
Ora verrà l'analisi certosina di come si sia mosso l'elettorato, ma una
cosa posso dirla senza timore di essere smentito: il Sud ha
definitivamente detto no a quello che Marco Damilano ha ribattezzato
«caporalato elettorale» con riferimento alle pratiche di raccolta voti
del governatore della Campania Vincenzo De Luca.
Non sorprenda la sua débâcle, che segue a ruota la sconfitta del Pd
alle amministrative a Napoli dove il partito di Renzi ha
volontariamente deciso di perdere non rinnovando la classe dirigente e
affidandosi a
Vincenzo D'Anna che, detto chiaramente, prima di diventare senatore,
alle ultime elezioni nel suo paese di origine in provincia di Caserta
non si era spinto oltre le 200 preferenze.
Renzi ha perso perché al Sud ha deciso di optare per un “usato sicuro”
fatto di pacchetti di voti ormai svuotati di fiducia a causa del
malessere diffuso e pressoché totale.
L'errore di Renzi al Sud non è stato di aver cercato sponde, ma di averle cercate dove la vena era atrofizzata.
Per vincere in Italia bisogna perdere al Sud, ma non come ha perso il
governo domenica. Al Sud bisogna perdere proponendo un percorso nuovo,
bisogna perdere consentendo a volti nuovi e a nuove energie di entrare
in circolo, bisogna perdere ragionando, scontrandosi, discutendo.
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Mentre
impagino questo blog ascolto l'intervista a Bersani su "diMartedì" e
francamente l'idea di tornare nella mani di un fornaio come lui, mi
lascia interdetto.Mentre impaginavo questo questo blog ascoltavo
l'intervista a Bersani su Prima di tutto per la sua immagine paonazza
che mi fa temere per la sua salute. Poi per il resto. Non può un
politico andare in TV come fosse un angioletto caduto dal cielo
all'ultima folata. Bersani dice e non dice ed alla fine conclude che
lui ha votato NO per "salvare il PD". Ha detto che l'alta
pertecipazione al voto degli italiani significa una volontà di volere
dire la propria e contare. Contare con un voto SI_NO al referendum?
Scherziamo? Ha detto anche che Renzi doveva ascoltare di più (magari
lui e D'Alema...) anzichè ascoltare solo la storytelling del giglio
magico. Ha detto anche che i voucher sono diventati troppi e che occore
fare qualcosa per ridurli fisiologicamente. Ma chi li ha
inventati? Chi ha votato il loro ampliamento? Ha detto che avanza
nel mondo una destra protezionista che... poi non si é capito bene cosa
pensi della globalizzazione e sopratutto come possa l'Italia da sola o
l'UE (che difatto non esiste in merito) possano o vogliano fare.
Tutta l'intervista, anche per demerito degli intervistatori, é stata
una pessima lezione di politichese, una turibolata alla casta che parla
solo di se stessa e della sua sopravvivenza... almeno fino alla
possibilità della pensione. Della casta e dei giornalisti da tastiera.
Bersani sa benissimo che l'inutile caduta inflitta al governo Renzi non
salverà ne il PD ma va a svantaggio del Paese. La voglia della
minoranza PD di mettere le mani sul governo nel momento in cui l'Italia
comincia ad uscire dalla crisi é nel DNA della sinistra italiana. Dei
vecchi comunisti e democristiani. Nella serie muoia Sansone alla faccia
dei filistei.
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Gli
italiani non odiano Renzi, ma odiano essere derisi per le loro scelte
politiche: il M5S è un partito acerbo, acerbo nelle prassi, acerbo
nelle competenze, ma non può essere paragonato alle derive nazionaliste
che osserviamo in altri Paesi con crescente preoccupazione.
E l'immaturità di Renzi, l'effetto nefasto del suo ego, è tanto più
evidente se consideriamo la legge elettorale che il suo governo ci ha
lasciato in un momento delicatissimo: una legge costruita per essere
connessa alla riforma costituzionale abortita e che ora si trova senza
il quadro istituzionale nel quale era calata. Renzi crede di essere
odiato, lui che si è posto al centro di tutta la campagna elettorale
lasciando ora il Paese in una situazione di potenziale paralisi.
E si spera che sia stato un errore e non un calcolo per trarre profitto
dal caos che seguirà, possibile viatico per un ritorno in azione
immediato.
Perché in politica non è concesso abbandonare il campo, pena l'oblio, e
quindi già si lavora per le prossime elezioni politiche: dal discorso
di domenica notte questo è emerso in maniera evidente.
Oggi, dunque, comincia per Renzi una fase nuova; inutile tirare in
ballo gli affetti familiari e la pausa che il dedicarsi a loro impone,
non sarà così: l'ormai ex presidente del Consiglio è attore
fondamentale della politica del nostro Paese e, aggiungo, sarà un
ulteriore fattore di instabilità perché la sua riscossa darà di nuovo
il via a un'aspra, continua e perenne campagna elettorale.
L'idea che Renzi credeva rassicurante, quella dell'usato sicuro al Sud,
si è mostrata fallimentare ed è chiaro che chi voglia vincere in Italia
deve convincere al Sud.
Deve convincere cioè dove si sta peggio, dove c'è indigenza vera, dove
la criminalità organizzata è ancora ufficio di collocamento, è ancora
prospettiva e unica risorsa.
Deve convincere dove si emigra, dove le famiglie sono straziate da
allontanamenti senza scelta, dove non si va via solo per realizzarsi,
ma per avere un lavoro da poche centinaia di euro al mese che si fa
fatica a definire dignitoso.
Chi guarderà al Sud come a una risorsa, come a un tesoro inestimabile da conquistare, vincerà il Paese.
E chi guarderà al Sud aiutandolo a crescere, senza barare e senza scorciatoie, meriterà di vincere.
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Che inizio tremendo per un articolo a commento dell'esito del referendum di domenica, starete pensando.
Ma un commento che prescinda dallo sconforto degli italiani e dalle
reali ragioni che hanno portato a votare no, restituirebbe in maniera
parziale lo scenario che si apre ora.
Non sottovaluto affatto le responsabilità del governo e di Renzi, ma
credo debba essere chiaro che con il NO non ha vinto un progetto, una
visione, un programma.
Il NO è stato un modo, l'unico che gli italiani hanno avuto a
disposizione negli ultimi anni, per dire “basta, non ci prendete in
giro, per noi non state facendo niente”.
Dismettete quindi quei sorrisi da sciacalli nell'intestarvi la
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vittoria, asciugate le lacrime di commozione dopo aver avuto mille
giorni per dimostrare di poter veramente cambiare corso e non lo avete
fatto.
Ricomponetevi, Signori del NO, rianimatevi Signori del SI, e capite che il no è per tutti voi.
Per voi che promettete rottamazioni, che suggerite sfanculamenti e poi siete sempre lì, immobili.
A tutto questo gli italiani hanno detto no. Non ha vinto, quindi, il
M5S, non ha vinto (per carità!) la Lega, non ha vinto Forza Italia, non
ha vinto quella minoranza del Pd sempre pronta a tirare dardi per poi
rinnegare la propria dissidenza.
E vi prego di non far passare il no al referendum come una tendenza
generale dell'Europa perché ci sono dati che dicono chiaramente come il
nostro Paese stia attraversando un tunnel assai particolare.
A votare no sono stati i più giovani: l'81% tra 18 e 34 anni, il 67% tra 35 e 54 anni.
L'opposto è accaduto in Inghilterra per il voto sulla Brexit: lì i giovani erano a favore del remain.
In Italia ha vinto il no, ma tutta la politica ha perso perché ha vinto
il no di chi non vede futuro, di chi non può metter su famglia, di chi
non riesce a trovare un trampolino nemmeno per lasciare dignitosamente
il Paese.
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Perdere
al Sud, dove manca tutto e basterebbe poco per fare la differenza,
affidandosi a vecchi arnesi è quanto di peggio ci si possa augurare.
Pare che Renzi abbia detto: «Non credevo mi odiassero così».
Una frase semplice, quasi scontata, ma che dice tantissimo: questa
affermazione mi fa riflettere sulla immaturità politica del suo
progetto, che tende a coincidere sempre con la sua persona.
Gli italiani non odiano Renzi, ma quello che rappresenta: ovvero
quell'immobilità che credevano di aver superato con il tramonto di
Berlusconi e della vecchia guardia del Pd.
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