NUMERO 260 - PAGINA 3 - CON LA MORTE DI CASTRO IL 900 E' FINITO













































































Fidel Castro e Hemingway, icone di Cuba. Così vicini, così lontani

di Guido Guidi Guerrera

L'Avana, 26 novembre 2016. Fidel Castro ed Ernest Hemingway, icone incontrastate dell'isola di Cuba dopo essere stati monumenti in vita. Adesso assieme nelle regioni dell'eterno, per chi crede nelle dimensioni di un altrove oltre la mortale esistenza. Personalità possenti, impetuose, scabre e fatte per la lotta, condannate dal loro stesso fato alla competizione quale metro del proprio valore e a una sete di conquista inestinguibile per dar senso e linfa a ogni giorno vissuto su questa terra. Due destini simili, due nature così vicine nell'espressione vigorosa delle proprie idee, 'machos' intenti a esibire un carattere solo in apparenza privo di dubbi eppure invece stritolati dalle contingenze. Condizionati dagli stessi modelli di un'epoca, tesi a dare di sé un'immagine inossidabile come quella di un dio di bronzo incapace di concepire sconti nel senso più assoluto.
All'interno del suggestivo Caffè Floridita all'Avana il bronzeo busto di Hemingway appoggiato al bancone campeggia in tutta la sua prepotente olimpicità, concedendosi alle miriadi




Per questo era stato giudicato afflitto da manie persecutorie, ma molte evidenze e la stessa testimonianza di Fernanda Pivano, sua amica e traduttrice, tendono a non lasciare dubbi sull'effettivo intervento dell'FBI.
Norberto Fuentes nel suo libro 'Hemngway a Cuba' riferisce anche di un probabile incontro tra Castro e Hemingway nei saloni del prestigioso Hotel Nacional, l'albergo a forma di 'H' costruito nel 1930 con i soldi di 'cosa nostra' : in questa circostanza avrebbe avuto luogo un colloquio tra i due molto riservato e in ogni caso 'a porte chiuse'.
Molto probabilmente Castro, che conosceva bene l'attività di antispionaggio di Hemingway contro i tedeschi durante l'ultima guerra svolta nelle acque della Florida proprio a bordo del peschereccio Pilar, era intenzionato ad affidare allo scrittore qualche altra missione del genere, questa volta ai danni del suo paese di origine. Si suppone che le resistenze di Hemingway di fronte a certe richieste siano state all'origine della sua partenza dall'Avana con l'espropriazione a favore del popolo cubano della Finca Vigia. In ogni caso questo incontro lo avrebbe posto sotto il fuoco incrociato della sempre più sospettosa FBI e del lider maximo che aveva invece




L'eredità di Fidel: una banale oligarchia dei Castro

di Lucia Annunziata
26/11/2016

La Cuba di oggi , nata dalla rivoluzione, si può raccontare con una sola sigla: GAESA. Sta per Grupo de Administracion Empresarial SA, ed è la società che gestisce un gruppo di aziende che producono metà dei ricavi dello stato cubano, incluso il 40 per cento delle entrate del turismo e le importazioni. GAESA possiede tutti gli Hotel del paese, la maggior parte dei grandi negozi, le società che affittano auto e le agenzie che regolano le importazioni. GAESA sta costruendo un nuovo grande polo turistico sul vecchio porto dell'Avana e una nuova zona free trade a ovest della capitale. Insomma, si parla della parte più redditizia delle attività economiche dell'isola . Chiunque vuole fare business in Cuba deve passare per Gaesa.

E chi possiede GAESA? Il generale Luis Alberto Rodriguez, che altri non è che il genero di Raul Castro, Comandante in Capo dell'esercito cubano, dal 2008 Presidente del Consiglio dei Ministri , ma soprattutto figura chiave che negli anni ha lavorato accanto a Fidel nei ruoli più delicati, intestandosi anche le decisioni



Proprio in quegli anni '90, per riempire il vuoto politico ma soprattutto economico lasciato dalla fine dell'Unione Sovietica, comincia la fase ultima della Revolucion, il "periodo speciale", come viene ribattezzato, che arriva fino ai nostri giorni.
Raul, allora Ministro della Difesa, invia ufficiali di alto rango in giro per il mondo per negoziare nuovi aiuti economici (telefonia, operazioni in aree free- tax , forniture di petrolio, in cui il Venezuela di Chavez avrà un ruolo fondamentale) e per formarsi essi stessi come manager. GAESA, che nasce come il dipartimento delle industrie militari, è il pilastro intorno a cui si aggregano le nuove attività. Raul aggiunge sempre più risorse: vi porta dentro CIMEX, che è allora il più ampio consorzio commerciale, e Habanaguanex, società che raccoglie hotel, ristoranti e proprietà immobiliari, soprattutto nella vecchia Avana. Gaesa prende anche un servizio aereo interno, operato con aerei ex sovietici, e attrazioni turistiche e ovviamente le industrie bandiera di Cuba come lo zucchero e i sigari.
La Cuba degli ultimi anni di Castro e quella dei primi anni si somigliano ormai ben poco. Mentre il grande vecchio continua con I suoi discorsi e I suoi ricordi, le sue uscite spiazzanti, il lutto per l'11 settembre Americano, e il riconoscimento della Chiesa cattolica, nel paese reale dell'autunno del patriarca la famiglia Castro emerge come principale azionista dello stato, al centro di una fitta rete di rapporti internazionali, e di una rete di famiglie di militari che costituiscono il ceppo della nuova oligarchia, che poi dialogherà con Obama, il Vaticano e porterà , per realismo, e per sopravvivenza, il paese verso le aperture che si sono viste recentemente.
I segni della ricchezza di queste famiglie non sfuggono a nessuno.
Come denunciano I dissidenti interni, e come persino si fa sfuggire il quotidiano dell'avana " El Heraldo de la Habana", quotidiano del partito comunista racconta di una crociera su yacht nel Mediterraneo da parte del più giovane figlio di Fidel, Antonio. L'articolo ovviamente magnifica le doti di ambasciatore del giovane Castro, che infatti ha anche il titolo di "Global Ambassador of the World Baseball Softball Confederation."
Per il futuro politico di Cuba si lavora invece sul figlio di Raul Alejandro Castro Espin, colonnello del ministero degli interni, dentro cui operano anche le direzioni delle due agenzie di Intelligence interna. A Panama, all'incontro fra Obama e Raul, c'era Castro Espin, e sempre lui, ha accompagnato il padre Raul nella sua visita al Vaticano l'anno scorso.
Questa è oggi la Cuba di cui ci occuperemo nei prossimi mesi. Dopo la morte di Fidel Castro l'Avana dovrà uscire dal passato e trovare il suo nuovo posto in un mondo in cui il comunismo (e presto anche del Capitalismo diremo lo stesso), appartiene a un altro secolo. Esattamente come le grandi imprese di cui Fidel è stato protagonista. Meglio prenderne atto e salutare con un estremo atto di realismo, il vecchio combattente.
Hasta la Victoria, Fidel. Peccato che non sia mai davvero stata raggiunta.
























































































































































































































































































































































































































































































più discutibili. Raul è oggi insomma il perno del potere dell'Isola Caraibica.

Benvenuti a Cuba. Fidel è morto, e intorno alla sua persona salirà ora la solita onda di romanticismo rivoluzionario, celebrazioni geopolitiche, e nostalgia degli anni Sessanta.

Ma la cruda verità, che la sua morte ci aiuterà nei prossimi anni a mettere a fuoco, è che la rivoluzione cubana ha seguito nel suo destino quello di ogni altro stato comunista del secolo scorso - diventando a tutti gli effetti un regime oligarchico, a base ideologica, fondato sull'intreccio fra appartenenza politica e denaro, controllato dai militari e composto da un pugno di famiglie di cui la prima famiglia innanzitutto.








































































































































































































































































































































di scatti fotografici dei tantissimi visitatori della 'cuna del daiquiri': la divinizzazione fatta icona rende santo anche chi non lo era affatto in vita. Solo, con il giornale aperto davanti e l'aria assorta dopo cinque o sei 'papa doble' tracannati con metodo uno dopo l'altro, Papa, a cui quel daiquiri doppio e senza zucchero era stato dedicato, covava un umore contrastato che se turbato da interruzioni inopportune poteva diventare pessimo. Una volta aveva preso a pugni per questo motivo un giovane reporter troppo invadente, salvo pentirsene e finire di invitarlo a pranzo alla Finca Vigia, la sua casa in contrada San Francisco de Paula. Non risulta che Fidel Castro ed Hemingway si siano mai incontrati alla Finca, ma è certo che il lider maximo salì sul Pilar, l'imbarcazione attrezzata per la pesca che lo scrittore americano governava assieme all'amico Gregorio Fuentes, capitano della barca e addetto tanto alla cucina quanto alla cambusa.
Il premio Nobel e il capo della rivoluzione vengono ritratti insieme, con un bel pescespada in primo piano quale prova tangibile di una pesca fortunata. Poi arriva il giorno della gara e nella zona della Marina subito dopo il ricco quartiere del Vedado i due escono in mare e rivaleggiano in bravura. Si dice che Mr Papa fosse stato consigliato vivamente a non sfoderare tutte le sue doti di bravura, lasciando spazio alla supremazia di Fidel e alla propaganda che di quella vittoria si sarebbe alquanto nutrita. Intanto gli agenti dell'FBI agivano e registravano tutto. Negli ultimi tempi Hemingway molto malato a causa di un diabete devastante e di una ipertensione alle stelle, fortemente depresso e per questo sottoposto a folli cicli di elettroshock, diceva di essere sotto il continuo controllo degli agenti segreti.




creduto di coinvolgerlo confidando nelle sue simpatie per le cause rivoluzionarie, così come era successo ai tempi dell'insurrezione contro il regime franchista in Spagna.
Troppo simili e troppo egocentrici per ncontrarsi veramente quei due: Papa stava bene a Cuba, molti dei 'barbudos' erano suoi amici, viveva gli ultimi anni della sua vita in pace assieme alla moglie Mary Welsh, continuava a scrivere e quella terra nutriva bene la sua ispirazione. Come tutti gli animali di razza e di temperamento rigidamente codificato amava le migrazioni sapendo di poter tornare al proprio nido di partenza. Era un animale d'abitudine. Fidel Castro lo priva della cosa che ama di più: quella sua casa di legno bianco, ' un barco blanco' come la definiva con affetto lo scrittore. E il vero epilogo del destino di Hemingway si celebra così: il lider, usa il suo potere e lo schiaccia come una nocciolina. A poco servirà il gesto di liberale generosità rivolto a Mary cui garantirà l'uso della casa vita natural durante. L'amico ed esecutore testamentario A.E. Hotchner nella sua biografia 'Papa Hemingway ' racconta di una sua telefonata al Nobel prima della sua partenza per Ketchum : ” Alla Finca è tutto a posto….io fingo di essere felice come sempre. Ma lo sono?… La Cuba di Castro è tutta un'altra cosa. Non mi piace. Non mi piace per niente…prego Dio che gli Stati Uniti non diminuiscano le importazioni di zucchero. Sarebbe una catastrofe. Sarebbe come consegnare Cuba ai Russi.” L'approssimarsi alla morte lo aveva reso lucido profeta.





Come la Russia, come la Cina, come tutti I paesi del blocco socialista, prima del muro, ma anche dopo il muro.
Regimi dove non solo la rivoluzione non ha portato uguaglianza, ma è al contrario servita negli anni a legittimare il privilegio dei pochi contro la povertà dei tanti. Con l'uso spregiudicato della retorica per giustificare violazioni dei diritti individuali, dei diritti umani, e della libertà di parola. Il numero esatto delle vittime del regime di Castro non si saprà mai. La Revolucion è sempre stata imbattibile nel coprire con una perfetta macchina di glorificazione tutte le buche, I difetti, e le colpe di sé stessa.
Il mistero, tra i tanti, che Fidel porta con sé nella tomba, è se il Leader Maximo nei suoi ultimi anni abbia capito questo stato di cose. Il suo destino personale infatti è quello di essere in qualche modo sopravvissuto a sé stesso, di aver vissuto troppo a lungo per non avere qualche dubbio sulla sua Gloria. Ai fini della storia infatti, Fidel è morto nel 1990 , quando il muro di Berlino crolla trascinando con sé il destino di tutti gli stati rivoluzionari del mondo, incluso quello dell'Isola.


























































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Castro e il 900 muoiono insieme
Il secolo delle guerre ideologiche è finito proprio nell'isola comunista,
dove Fidel ha avuto l'ambizione di difendere e profilare la sua rivoluzione
come l'ultimo esperimento socialista. E con l'ossessione di farla sopravvivere intatta
di Ezio Mauro

Incredibilmente, nell'aprile dell'anno in cui tutto stava crollando e ogni cosa diventava possibile — il 1989 — Fidel si alzò davanti al mondo per proporre il modello cubano come l'unica espe­rienza ortodossa del socialismo di fine secolo. I deputati, i capi del partito, il popolo cubano lo avevano visto celebrare gli onori massimi a Mikhail Gorbaciov, portato in trionfo sulla "ciajka" presidenziale nei 25 chi­lometri dall'aeroporto all'Avana, con Castro in piedi ac­canto a lui che gli alzava il braccio in segno di vittoria, procedendo in mezzo a un milione di cittadini plauden­ti. Ma quando il segretario del Pcus, con la disperazio­ne istintiva di chi avverte i morsi della fine, invitò Cuba a riformare il suo comunismo per poterlo salvare (co­me avrebbe fatto poco dopo a Berlino davanti ai gerar­chi impassibili della Ddr ) Fidel si alzò in piedi e consu­mò il suo personale strappo dall'eresia morente gorbacioviana. «L'Urss non può decidere da sola, l'unico suo privilegio è essere grande. E Cuba non ha mai avuto uno Stalin, dunque non ha bisogno
di avere oggi una perestrojka». Gorbaciov si guardò intorno smar­rito, poi controllò l'orologio misu­rando il fallimento del suo tentati­vo di inserire L'Avana nel processo di distensione mondiale tra Est e Ovest e si trovò improvvisamente solo e straniero nell'isola del socia­lismo uguale a se stesso.
Così il comunismo tropicale, di­feso e sostenuto per decenni dal Cremlino, si ribellava al suo protet­tore, rifiutando di cambiare. Fidel si presentava al mondo come l'Or­todosso, trent'anni dopo il "discor­so delle colombe" con cui entrò trionfalmente nella capitale con la rivoluzione, mentre due colombe si posavano sulle spalline della sua divisa verde, in segno di benedizio­ne di Nostra Signora della Mercede. L'ultima perfidia fu un fuorionda serale sulla tv cu­bana, coperto dalla voce monotona dello speaker,

con Gorbaciov che in un angolo dell'Assemblea Nacional ti­rava fuori un pettine dalla tasca interna della giacca e si pettinava prima di entrare in scena, in un gesto po­st-imperiale e privato che rompeva da solo tutta l'icono­grafia monumentale dei Segretari Generali comuni­sti, vissuta sempre in pubblico.
La Cuba castrista doveva tutto all'Urss, seguita e omaggiata dal Comandante nelle sue visite ad limina a Mosca, fino allo scarto finale. Per Fidel era inconcepibi­le che uno Stato socialista, capace di sconfiggere il fa­scismo e soprattutto di uguagliare in peso e influenza la superpotenza capitalistica degli Usa avesse accetta­to di distruggersi. Perché questa è stata la sua diagnosi davanti al tentativo riformista gorbacioviano: invece di correggersi mantenendo la sua natura, l'Unione So­vietica ha commesso il grande errore storico di imboc­care la strada di una riforma di sistema, nella convin­zione di poter costruire il socialismo —o mantenerlo— attraverso «metodi capitalistici», come li disprezzava Castro.
Ma regolati i conti con la deriva sovietica, costretto a rimodulare pesantemente l'economia dell'isola sen­za gli aiuti "fraterni" di Mosca, Fidel ha avuto l'ambi­zione di difendere e profilare la sua rivoluzione come l'ultimo esperimento socialista del secolo, con l'osses­sione di farla fuoriuscire intatta. L'epopea, d'altra par­te, non era mai stata mutuata da Mosca insieme con i finanziamenti, ma era ostinatamente indigena e auto­noma. Il ricordo nostalgico e ripetuto dei "Tre Coman­danti", Raul, Camilo Cienfuegos e soprattutto il "Che", l'eroe che fino agli ultimi anni secondo il raccon­to del lider maximo lo andava a visitare di notte, in so­gno, e continuavano a discutere come avevano sem­pre fatto, quando avevano la mitraglia in mano. Il dissenso liquidato con l'etichetta dei «traditori». La con­vinzione negli anni più difficili di poter vivere «del ca­pitale umano». La venerazione per José Marti ricor­dando il suo ammonimento: «Essere colti è runico mo­do di essere liberi». Lo scambio epico di dialogo con Cienfuegos, inciso in plaza de la Revolucion: "Voy bien, Camilo"? "Vas bien, Fide]".
La "prima generazione" della rivoluzione, tenuta

in­sieme con il pugno di ferro del dittatore, si va esauren­do, ma ormai altre tre sono nate e cresciute nell'isola sotto il segno di Fidel. La quarta, l'ultima, è la più aper­ta al contagio. Ha visto salire al potere Raul, appena quattro anni più giovane del fratello, in una deriva di­nastica dove il carisma appassisce e cresce il bisogno di autotutela di una nomenklatura spaventata. Ha visto soprattutto Fidel passare dalla tuta mimetica con gli scarponi alla tuta sportiva rossa, bianca e blu con il marchio dell'Adidas, soprattutto l'ha visto smagrito e divorato dalla malattia, nei discorsi radiofonici sempre più rari.
Il regime si trova oggi davanti alla sua massima tor­sione, perché finisce il legame mitologico e storico con le sue origini, l'eroica fonte di legittimazione, la perso­nificazione populista nel leader che finiva sulle coperti­ne di Time, nelle televisioni di tutto il mondo mentre stringeva la mano di Allende, Mandela, Juan Carlos, Garcia Marquez, Saramago, Agnelli, Arafat, Tito, Indi­rà Gandhi, Giovanni Paolo II attraversando con loro la storia da protagonista. «Dobbiamo dimostrare di esse­re in grado di sopravvivere», è il comandamento degli ultimi anni di Fidel a Raùl, nella convinzione che sia più facile teorizzare come si costruisce il socialismo che capire come conservarlo e preservarlo in futuro.
Il Comandante in jefe ha regolato la successione in vita, tentativo onnipotente di garantire il futuro alla sua costruzione politica. Ma il castrismo senza Fidel è fragile e il sentimento di fine d'epoca dominava Cuba già a marzo, quando Barack Obama è sbarcato nell'iso­la come ambasciatore di un mondo nuovo, ottantotto anni dopo la visita dell'ultimo presidente americano, Calvin Coolidge. Il vuoto lasciato da Fidel riempiva già allora la scena, rimpicciolita dai timori di Raùl che non poteva fare a meno di normalizzare i rapporti con gli Usa per dare ossigeno all'economia cubana, ma cerca­va di cancellare ogni valenza storica ad una visita che simbolicamente segnava un passaggio d'epoca. Così non è andato ad accogliere l'ospite all' aeroporto ma ha mandato il suo ministro degli Esteri, non ha voluto nes­sun corteo d'onore, ha lasciato il presidente

americano da solo nella passeggiata nella Città Vecchia, nella cat­tedrale, nell'incontro con il vescovo, poi con i "cuenta- propistas", quell'embrione di società civile e di econo­mia gestita in proprio che si sta affacciando nelle ma­glie strette del regime.
I cubani osservavano la scena nelle vecchie televisio­ni dai colori incerti, appese sui trespoli coi fili volanti nei bar del centro senza niente da servire ai clienti. Al mattino, 68 "damas de bianco" si erano radunate nella chiesa della Quinta Avenida, la strada delle ambascia­te, per chiedere davanti alle telecamere di tutto il mondo a Santa Rita, ("abogadade lo imposible" ) di far scar­cerare mariti, figli, padri dissidenti politici e prigionie­ri nelle carceri cubane: ma soprattutto di aiutarli a con­quistare il vero traguardo, "una Cuba senza Castro", fi­nalmente con la libertà politica, di parola, d'impresa. Spente le telecamere, la polizia nel pomeriggio era pas­sata nelle case delle "damas", per arrestarle in gruppo. Come un apriscatole della storia, la visita di Obama in poche ore aveva certificato 1'esistenza del dissenso, la conferma della repressione poliziesca e la speranza di un cambiamento di regime.
Oggi si guarda la vecchia "ceiba", l'albero sacro dell'Isola, che proprio sulla Plaza de Armas èmorto rin­secchito accanto al Templete. Il regime lo ha sostituito in fretta, di notte, ma la gente ricorda la vecchia super­stizione caraibica secondo cui sotto l'"arbol del misterio" si svolgeva il rito sacro del passaggio di potere tra un Capo e un altro, perché sotto la ceiba "si muovono e parlano gli dei". Il dio del comunismo, intanto, contem­pla da oggi il tabernacolo vuoto del castrismo. Riuscirà a sopravvivere, fuoriuscendo da se stesso nell'ultima metamorfosi che Fidel aveva sempre esorcizzato? Più probabile che il sistema crolli per estenuazione, senza più l'anima fondatrice del vecchio dittatore. Che muo­re —singolare destino— insieme con il Novecento che era durato fin qui con le sue guerre ideologiche, ed è ve­nuto a finire proprio nell'isola comunista, in questo tra­monto tropicale dell'autunno 2016: altro che secolo breve.