NUMERO 240 -PAGINA 6 - IL NO AL REFERENDUM VUOLE L'INCIUCIO






























































































































Inciucio passione mia! é una dolce caramella che molti fautori del NO stanno ciucciandosi silenziosa -mente. Una passione che dura da una vita e se gliela togli vanno in crisi di zuccheri. Ecco perchè a
mio avviso il sistema elettorale va semplificato perché sia meglio compreso ed utilizzato dall'elettore. Per togliere quella caramella di bocca alla casta.  La situazione attuale vede una partecipazione al voto nazionale sul 75% e la presenza di almeno tre grosse coalizioni politiche. L'elettore va quindi responsabilizzato mettendogli in mano uno strumento di scelta con la coscienza che poi per cinque anni dovrà accettarne il governo. La tendenza italiana di mediare e mescolare sempre tutto pur di tirare avanti va sempre a vantaggio della casta, buona o cattiva che sia, e mai al vantaggio del cittadino.
La mia idea è che debbano essere abolite le Regioni e il Senato e che le Provincie siano potenziate come città metropolitane. Con gli attuali sistemi di comunicazione le divisioni fisiche sono insensate e le assemblee si possono far senza muovere le persone.
Quindi la sanità rientra del tutto nel contesto nazionale e viene tolta di mano ai mille capoccioni indigeni. Lo steso dicasi per la normativa urbanistica che deve avere un quadro nazionale di riferimento









E pensare che la riforma costituziona le, anche quando si è dovuti ricorrere al referendum,doveva essere quasi una marcia trionfale! Se si guardano i giornali di un paio di anni fa, dopo che
si era votato alle elezioni europee, l'idillio tra Matteo Renzi e gli italiani era nella fase del famoso "innamoramento", descritto nel 1979 da Francesco Alberoni in unlibro diventato famoso. Gli italiani (LaPresse) si dichiararono, in quel "radioso maggio" del 2014, pronti a "mutare", anche in campo politico, come lo stesso Alberoni prevedeva nel suo schema dei vari innamoramenti. Peccato che questo "amore politico" si sia perso per strada, nel giro di un paio di anni, e alle amministrative del 2016, nel centrosinistra e nel Paese l'aria sia diventata progressivamente pesante, nervosa, concitata e anche isterica in alcuni casi.



Tuttavia l'intervista di De Benedetti coglie perfettamente il clima di nervosismo che esiste nell'attuale maggioranza di governo e che il premier vive. In fondo Renzi aveva personalizzato il referendum perché viveva quella fase di "innamoramento" e si illudeva di risolvere una grave crisi sociale, economica e politica. E' stato superficiale.
Ora, trovandosi in difficoltà, Renzi cerca di spersonalizzarlo questo referendum, ripetendolo in modo quasi ossessivo. Lo fa per scusarsi apertamente di un errore, perché capisce che non c'è più "amore" intorno a lui. Ma questo, secondo le leggi della politica, non lo favorisce affatto.
La realtà è, alla fine, che, tra personalizzazioni e spersonalizzazioni, questo stesso (LaPresse) referendum appare, in questo contesto e nel suoi complesso, non tanto una disputa sulla riforma costituzionale, ma una sorta di battaglia qualunquista traschieramenti che giocano



In una lunga intervista rilasciata a Claudio Cerasa, direttore de Il Foglio, Renzi esordisce tranquillamente in questo modo: "Inutile girarci intorno. I voti di destra saranno decisivi al referendum. La sinistra, ormai, è in larghissima parte con noi, la questione vera è oggi la destra. E l'elettore di destra oggi si trova di fronte a due scelte: votare sul merito, non votare sul merito. Se la scelta diventa votare sul merito, vota sì".
Ma allora Renzi, in questo modo, dà ragione a D'Alema, quando quest'ultimo afferma che il segretario del suo partito non fa altro che ripresentare il programma di Berlusconi. Lo spostamento al centro del nuovo Pd diventa una rincorsa a destra.

Forse la questione non è così schematica, ma non c'è dubbio che il dopo referendum, se in questi due mesi non cambia la musica, riserverà grandi sorprese.



























































































































































































































































































































































































































































































































































































































in ordine alla demografia ed allo sviluppo produttivo oltre che una cornice di regole –in primis quelle relative alla difesa e tutela ambientale- che deve essere uguale per tutti i comuni. Dal costruire al difendere e mantenere.
Infine entro dieci anni non devono più esistere comuni con meno di 25-30mila abitanti . Ai raggruppamenti virtuosi sarà riconosciuta una generosa dote di imposte locali.
A livello nazionale viene mantenuta la sola Camera dei Deputati e il numero dei parlamentari è fissato ad una unità ogni 100 mila voti ottenuti dalla lista di riferimento. Tutti i voti sono recuperati a livello nazionale. I collegi elettorali sono quindi composti da 150mila elettori.
La Camera potrà avere un massimo di 470 parlamentari (gli elettori nel 2013 erano 46,9 milioni) nel caso votasse il 100%. Non si eleggono deputati nelle circoscrizioni estere.
Per esempio nel caso  (2013...) gli elettori che vanno a votare siano 35 milioni verranno eletti soltanto 350 deputati.
Le elezioni si svolgeranno in una sola tornata e il partito che avrà il maggior numero di eletti verrà premiato portando la sua maggioranza alla metà degli eletti in totale  più dieci.
Quindi se vanno a votare 46 milioni di elettori la Camera sarà composta da 460 membri di cui 240 scelti tra i primi più votati del partito vincitore e gli altri scelti proporzionalmente tra i partiti rimanenti.
Nel caso vadano a votare 30 milioni di elettori la Camera sarà composta da 300 membri di cui 160 spettanti al primo partito e gli altri scelti dai più votati in proporzione  tra gli altri partiti.
Si affida quindi alla responsabilità degli elettori di dare al proprio Parlamento una rappresentanza massiccia (p.e. tutti i 460 parlamentari piuttosto che 300…). Si toglie in questo modo ai partiti ogni possibilità di trattativa e inciucio sotterraneo: nel caso la maggioranza  sia battuta su leggi fondamentali (bilancio programmazione guerra salute scuola) si torna al voto entro 40 giorni.

La permanenza delle coalizioni deve essere accompagnata dalla immediata decadenza del deputato  quando cambia casacca, altrimenti meglio le singole liste.
Nel periodo sono cancellati tutti i pagamenti di tasse ed altri oneri da parte di cittadini e imprese.
Con la possibilità di eleggere un deputato ogni 100 mila voti,  ciascun candidato potrà presentarsi in UNO solo collegio. La Camera non potrà votare leggi che hanno implicazioni di carattere etico soggettivo e generalista e la decisione circa l'ammissibilità è demandata alla Corte Costituzionale nel caso sia preventivamente richiesta dal 10% dei deputati. Non è possibile al parlamentare passare da un partito ad un altro o la costituzione di gruppi nuovi pena l'immediata decadenza e la sostituzione col primo non eletto. La decadenza-espulsione definitiva  è comminata dal presidente della camera senza votazioni in aula.
Ogni parlamentare riceve ogni anno un emolumento non tassato come reddito di un euro ogni voto ricevuto; vengono mantenuti i diritti di viaggio gratuiti sui mezzi ferroviari ed aerei.






























































Così, si possono vedere dibattiti televisivi sul referendum costituzionale del 4 dicembre che rasentano la rissa fisica. Tra il "guru" delle procure, Marco Travaglio, e il presidente del Consiglio, si è cominciato il dialogo con rispettosi "lei", "prego", "parli", "mi ascolti" e si è fiinito con frasi del tipo: "Ma se la chiamavano 'bomba' fin da ragazzo!". E un premier che rispondeva litigando con il giornalista in modo quasi scomposto e anche un poco sgangherato. Tra Massimo D'Alema e Roberto Giachetti, al Festival dell'Unità di Roma, sembrava di assistere a un derby all'Olimpico, tra pernacchie e ululati dalla platea, con una stretta finale di mano che sembrava una sfida da regolare al momento giusto.
La sensazione è che gli ultimi sessanta giorni di campagna referendaria saranno ancora più roventi e non sono escluse sorprese di ogni tipo. Resta il dato di fondo, che quella che doveva appunto essere una marcia trionfale, per Renzi si è trasformata in una sorta di "sfida infernale", dal risultato incerto e quindi pericoloso, perché può
mettere in uno stato di instabilità il governo e di riflesso il Paese.
Tutto questo inevitabilmente può preparare un dopo referendum con uno scenario politico inedito. Facciamo qualche esempio.
Carlo De Benedetti ha messo le mani avanti con un'intervista al Corriere della Sera: voterà No, se non verrà cambiata la legge elettorale. In più, "consiglia" a Renzi di dimettersi in caso perda il Sì. A ben vedere è la risposta tipica della famosa "grande imprenditoria" italiana, cioè dei "capitani di sventura" che si prefigurano due posizioni nei momenti più delicati, tanto per non sbagliare: sto di qua, ma posso stare anche di là. Complimenti vivissimi, perché gli uomini di tale coraggio non si smentiscono mai.




















una partita di carattere politico più che istituzionale.

I fattori più importanti per la situazione che vivono gli italiani (la situazione economica e i rapporti con l'Europa) sembrano quasi mascherati, nascosti dalle domande del quesito referendario, che parlano principalmente del costo e del numero dei senatori da una parte e del pericolo di una perdita di rappresentatività democratica dall'altra. Tra le tante cose poco comprensibili e spesso inspiegabili.
In sostanza, a ben vedere, il referendum rischia di assumere quasi il carattere di un grande imbroglio. E questo va a incidere sulla disaffezione politica, sulla credibilità della politica e sulle stesse previsioni del risultato elettorale. La situazione è talmente paradossale che si va a votare su un quesito di riforma costituzionale e si parla principalmente di altro. Basta ascoltare attentamente quello che emerge dai dibattiti.
Nello stesso tempo, in questo equivoco un po' qualunquista, si può vedere come Renzi cerchi di calibrare la legge di bilancio, tentando, con limitate risorse, di accontentare la maggioranza dell'elettorato per quanto gli è possibile. E, ultima svolta, nella strategia del leader, è la caccia aperta ai voti della destra, a quelli del vecchio centrodestra
berlusconiano, che fa immaginare uno scenario politico completamente differente nel dopo referendum, qualunque sia il risultato. Stasera Renzi se la vedrà in televisione contro Gustavo Zagrebelsky, dopo aver affrontato Travaglio.
Non si tratta solo del "ripescaggio" del Ponte sullo Stretto e di altre considerazioni e atteggiamenti di euroscetticismo, ma anche di una ricerca di scontro e confronto soprattutto con gli avversari a sinistra.




Si può ipotizzare la rinascita di una "grande coalizione", più ampia di quella attuale con il coinvolgimento della stessa vecchia Forza Italia? E' un'ipotesi che fanno molti osservatori, ma che non appare del tutto convincente, perché (LaPresse) l'impressione prevalente, secondo alcune fonti, è che l'ottantenne Berlusconi voglia soprattutto osservare  come si consuma questa esperienza governativa, mettendo "in pista" a turno dei comprimari di leadership, che non vuole mollare a dispetto dell'età e della mutata situazione politica italiana rispetto alla sua famosa "discesa in campo".
C'è invece la sensazione che, qualunque sia il risultato del referendum, piuttosto si regoleranno i conti a sinistra, con una nuova rottura, un congresso straordinario, un ripensamento generale di strategia e magari anche di identità.
Infine c'è la grande area grillina, che delude al Campidoglio di Roma, giorno dopo giorno, ma delude meno, per adesso, rispetto ai protagonisti della svolta degli ultimi venticinque anni di politica italiana sul piano nazionale. E' una magra consolazione.
A conti fatti, sono solo scenari carichi di turbamenti e di incertezze.

Dopo il referendum: il "No" e una grande coalizione, la trappola di Berlusconi a Renzi
30 settembre 2016
Gianluigi Da Rold