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«Io
davvero non capisco, non me ne faccio una ragione. Come fa Renzi a non
vedere quel che sta succedendo in Europa e nel mondo? Come fa a non
sentire quel che ribolle sotto di noi... Io lo sento, lo sento. Si
comporta da irresponsabile, così finiamo nel burrone. Eppure il 2018 è
lì che arriva. E se lui dice che vince il Sì e tira dritto, senza
cambiare l’Italicum, andiamo a finire contro un muro».
Pierluigi Bersani conversa mentre scende la scalinata che conduce a
un’uscita secondaria di Montecitorio. Discute del futuro, del Pd e del
referendum. «Se vince il No Renzi non deve dimettersi, semmai farà un
altro governo...».
L’ex segretario è preoccupato davvero, soprattutto dall’onda populista che rischia di travolgere tutto. E si sfoga.
«Come fa Renzi a non capire che ci schiantiamo? Quel che dico è quasi
banale. C’è l’Ungheria, la Repubblica Ceca, la Slovacchia. E poi ancora
Trump e tutto il resto. Secondo voi in Italia non viene giù una cosa
simile? Quando nel 1994 arrivò Berlusconi, tac, chi lo sospettava? Il
Paese è così. E poi c’è un tema di rappresentanza, democrazia».
In che senso?
«Parliamo di noi, non degli altri. Non vorrei essere io a governare con
il 25%, contro il 75% degli elettori. È impensabile in una società così
complessa. E allora insisto: come fai a non capire, che film ti stai
facendo?».
Dell’Italicum se ne discuterà la prossima settimana in una direzione Pd. Cosa deve fare Renzi per evitare la rottura?
«Ci sono solo due cose da fare: il governo presenti una norma per
modificare l’Italicum e intervenga sull’elettività dei senatori ».
Non è irrealistico prima del referendum?
«Deve essere prima. E Renzi non dica che “l’Italicum è ottimo, ma se
c’è qualcosa che è meglio...”, perché la maestra mi ha detto che dopo
l’ottimo non c’è niente di più. Diversamente, se non dovesse farlo, per
fermare questa deriva c’è solo il No. Referendum e Italicum sono
intimamente collegati».
Ma con il No, che anche lei potrebbe sostenere, tutto rischia di precipitare.
«L’errore è la drammatizzazione. Non possiamo farlo diventare
un’occasione per la speculazione politica e finanziaria. Il governo non
c’entra e deve stare al suo posto. Io dico un’altra cosa: se da qui ad
un anno e mezzo passa l’idea di lasciare l’elezione indiretta dei
senatori, che alimenta con forza l’antipolitica - e resta l’Itali-cum
così com’è - poi nel 2018 ci giocheremo un pezzo grande della
democrazia italiana».
Uno scenario grave.
«Ho letto l’intervista a De Benedetti. Lui, a differenza di tanti
altri, la mucca nel corridoio la vede. Il fenomeno drammatico è quello
che descrive quando parla dei rischi per le democrazie. Ha ragione su
tutto, con l’unica eccezione che a mio avviso se vince il No Renzi non
deve dimettersi. Perché accendere anche questa miccia in Europa?».
La sensazione è che siate preoccupati soprattutto dall’Italicum. È corretto?
«È il punto di fondo. È come alzare la posta quando le carte le hanno in mano altri...».
Chi favorisce?
«Così com’è dà un’occasione alla destra. Questa legge elettorale ci
porta dritti dritti lì. E’ così in tutto il mondo, non solo in Italia.
Vale ovunque».
Da noi in realtà il candidato più vicino alla vittoria è Grillo.
«Per me non ci sarà Grillo, ma la destra. Negli ultimi sei mesi
troveranno qualcosa. E tra immigrazione, crisi economica, fisco che non
si abbassa, finirà così. Ma non è questo il punto. Ci sarà comunque
qualcuno che prenderà in mano questo disagio».
Se votate No e vincete, non ricadrà su di voi la responsabilità di dare a Renzi un’ultima spinta verso il burrone?
«No, attenzione: io sto cercando di trattenerlo. Perché tutto questo, purtroppo, ci porta in braccio a questa robaccia».
Ma davvero pensa che se vince il No sia possibile un governo di larghe intese con voi e Berlusconi, senza Renzi?
«Intanto, per me non deve dimettersi. E comunque non è come dice, semmai un governo lo farebbe Renzi».
Ma sarebbe politicamente morto.
«Perché, se invece perde e si dimette cosa succede? No guardi, non è
proprio il momento di alzare la posta, nella situazione che si sta
vivendo in Europa e nel mondo. Se invece prendono questa deriva, poi il
giorno dopo non vengano a cercarmi».
Tommaso Ciriaco
La repubblica 29 settembre 2016
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Non
c'é molto da scherzare. La riforma é stata fatta dal Parlamento e se
gli Italiani la bocciano, chi l'ha approvata -essendo maggioranza-
torna a casa. Fine dello spettacolo.
Le conseguenze della bocciatura saranno molto gravi perchè l'Italia si
troverà coi suoi 2340 miliardi di debito e con una ripresa a zero
virgola qualcosa. Forse.
Comprendo che Bersani, che ha consegnato questo risultato
elettorale, immagini qualche altro intorciamento con "qualcuno"
seguendo la logica andreottiana del meglio tirare a campare che tirare
le cuoia.
Vero che a livello europeo e mondiale verranno al nodo problemi
molto importanti come le elezioni USA, il caos nel nord Est
europeo,la ex Jugoslavia, il sud e l'est del Mediterraneo
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Laproposta
di ritornare al sistema proporzionale avanzata dal Movimento 5 Stelle,
accompagnata dal fiorire di molte altre, ha riacceso una discussione
che non sembra puntare tanto ad una nuova legge elettorale (il
centrodestra si è detto indisponibile sino al referendum) quanto a
rafforzare l'opposizione alla riforma costituzionale. Ovviamente però
il nodo è centrale, e la proposta di Grillo è di una paradossale
chiarezza: una forza politica che rifiuta con sdegno le alleanze
propone un sistema elettorale che le imporrebbe.
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Forse
si ricorderà meglio la congerie di piccoli partiti che confluì
poi nell'Unione guidata da Prodi nelle elezioni del 2006: è discutibile
che ne abbia favorito la risicata vittoria, certamente ne ha decretato
una vita stentata e una fine ingloriosa. Oggi inoltre, di fronte ai tre
blocchi che si sono delineati, il problema è ancor più radicale. È
giusto indignarsi per il confluire dei voti di Denis Verdini nella
maggioranza, o per il suo recente protagonismo anche in questo campo: a
patto di non sostenere o avallare un sistema elettorale che costringa
poi ad alleanze di governo ben più larghe e nefaste. Non sembra
rispondere al nodo di fondo neppure il cosiddetto “Mattarellum 2.0”, un
sistema uninominale di collegio senza ballotaggio e con differenti
“premi” (al primo partito, al secondo e a quelli minori). In questo
caso basterebbe poco più (o poco meno) del 30% per vincere nei collegi,
e senza neppure la certezza della governabilità. Nell'esperienza che ne
abbiamo fatto, inoltre, si è visto ben poco quel “rapporto diretto con
l'elettore” che dovrebbe essere il pregio dell'uninominale: si è visto,
di nuovo, il potere di ricatto di piccoli raggruppamenti che
condizionavano il loro ingresso nella coalizione ad un congruo numero
di collegi “sicuri”.
Si sono viste estenuanti trattative fra le segreterie dei partiti, che
paracadutavano molti candidati in collegi cui erano totalmente
estranei. Certo, nel degradare della politica cui abbiamo assistito
ogni intenzione rischia di essere deformata dalla realtà in cui si
cala. E non sono pochi i difetti dell'Italicum, frutto anche delle
mediazioni che sono state necessarie in questo Parlamento (incapace
all'avvio sin di nominare il Presidente della Repubblica). Fra essi vi
sono sicuramente i capilista bloccati e la possibilità di esserlo in
dieci collegi ma forse anche l'abbassamento al 3% della soglia di
accesso: voluto dai piccoli partiti e destinato però a frantumare e a
rendere ancor più deboli le opposizioni. Ma fra i difetti vi è anche il
pericolo di esiti antidemocratici? Davvero con il “combinato disposto”
di Italicum e di riforma costituzionale si crea un “premier assoluto”
che «anche col 25% dei voti può nominarsi il capo dello Stato, un bel
po' di giudici costituzionali” e così via» (traggo la citazione dal
libro più diffuso a favore del no)? Come è ovvio con il 25% si va al
massimo al ballottaggio e lì è necessario superare il 50%, come avviene
dal 1993 nelle elezioni dei sindaci. Certo, in quelle elezioni si
presentano le coalizioni — e il nodo va seriamente considerato, pur con
i dubbi che ho ricordato — ma l'ingannevole demagogia di quella
affermazione resta. E restano i fatti: per l'elezione del Presidente
della Repubblica saranno necessari i tre quinti dei votanti, fuori
dalla portata di chi ha vinto le elezioni (oggi dal quarto scrutinio è
sufficiente la maggioranza assoluta, naturalmente alla portata di chi
governa).
È sicuramente un bene che si ponga mano ai difetti dell'Italicum, per
quel che è possibile in questo Parlamento, senza rimuovere però la
realtà di tre blocchi politici incompatibili fra loro. Una realtà che
mette a dura prova le convinzioni di chi, come me, è sempre stato
“proporzionalista” (e nel 1993 ha votato contro il maggioritario, in
piccola compagnia): è ancora possibile, oggi?
Guido Crainz
La repubblica
29 settembre 2016
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ma c'é solo da sperare che il PD non rifaccia inciuci con la destra e il grillismo
ma lasci a queste parti l'onere di dare (eventualmente) un governo "del
Presidente Mattarella" "pericolosamente strano" al Paese.
E qui vien buona la riflessione di Crainz sul revival elettorale
proporzionalistico che era, é e sarà sempre il peggior danno per il
Paese. Che va finalmente abituato a prendersi le proprie
responsabilità senza scaricarle sul Parlamento.
Perchè anche le soluzioni avanzate dalla minoranza PD non portano
da nessuna parte se non all'inciucio perenne che serve in primis alla
casta per mantenersi comodamente al potere e predicare agli
Italiani i loro vizi (loro: degli italiani).
Non c'é molto da contrattare. Collegi elettorali di 100 mila elettori
ed un unico Parlamento con 1 parlamentare ogni centomila voti e premio
di maggioranza fino al 55% alla lista vincente. Votano tuttisarà
Parlamento pieno. Vota la metà si dimezzano automaticamente i posti.Un
taglio
secco si dei numeri che dei giochini dei voltagabbana parlamentari che
cambiano casacca e alla ferrea tendenza
inciucista degli italiani. E chi cambia casacca, via a casa. E
per favore, Bersani,torna ad aprire una botteghina di food street
a Bettola. Oppure compera un vigneto sulle colline piacentine per
produrre ortrugo o gutturnio in concorrenza col pinot nero del tuo
collega D'Alema. Vedrai che bello.
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La purezza impraticabile e la ingovernabilità reale. Anche questo
paradosso costringe a ragionare senza infingimenti sul nodo quasi
irrisolvibile che abbiamo di fronte, in presenza di tre blocchi
politici incompatibili fra loro.
E in un quadro in cui non è facile immaginare alleanze del centrosinistra con forze moderate e di centro: quali sono, oggi?
Scomparsi i partiti storici minori, dotati di una propria cultura e di
una propria fisionomia (liberali, repubblicani, socialdemocrati ci),
quel vuoto è stato riempito perlopiù da formazioni effimere, unificate
dal trasformismo e da operazioni di potere. E il “diritto di tribuna”,
cioè il diritto alla rappresentanza dei piccoli partiti, si è
trasformato troppo spesso in potere di ricatto. Chi ricorda più la
formazione che unì fuggevolmente nel 1998 Francesco Cossiga, Clemente
Mastella e Rocco Buttiglione? Eppure fu decisiva per far nascere il
governo guidato da D'Alema dopo la caduta di Prodi e per affossare di
fatto il progetto dell'Ulivo.
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