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NUMERO 223 – PAGINA 6 –IL DIALOGO TRA LE FEDI RIGUARDA
L’EDUCAZIONE CIVICA
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volta che si parla di Islam l'Occidente pare perdere il lume della
ragione. I tanti attentati successi nel mese di luglio hanno
contribuito ad aumentare l'insofferenza e l'intolleranza verso i fedeli
di questa religione, da sempre implicitamente considerati collusi con i
terroristi. Verso di loro si è come instaurato un circolo vizioso per
cui ogni cosa che fanno (cose per altro richieste a gran voce da noi
Occidentali) non è mai abbastanza. Facciamoci caso, dicevamo: “Non
rinnegate la violenza!”, loro lo fanno e noi rincariamo “Non basta!
devono rinnegare gli attentati!”, fanno anche quello e noi rincariamo
“Non basta! devono disconoscere i fedeli che inneggiano alla violenza e
alla guerra santa!”, fanno pure quello e noi continuiamo a
insistere“Non basta! Devono allontanare e denunciare alle autorità i
potenziali attentatori!”, e allora scelgono di collaborare ma noi
incalziamo “Non basta! Devono esprimere solidarietà ai cattolici
uccisi!”, e loro lo fanno, organizzando pure momenti di preghiera
comune, e noi “Non basta! Devono essere più incisivi nelle loro scuse!" e via praticamente adlibitum.
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Ma c'è
anche chi non crede in questo dialogo, in questi gesti. Come quel prete
(che, dicono, preferisce restare anonimo) che avrebbe scritto una
lettera al Tg4 per manifestare il proprio dissenso alla preghiera
congiunta fra cattolici e musulmani nelle chiese. La potete vedere qui,
dal minuti 6:30. Scrive:
Tu mi ammazzi un parroco e poi ti inviti la settimana dopo nella mia
Chiesa a pregare la tua religione. Anche le altre chiese del mondo oggi
saranno invase da musulmani senza che nessuno li abbia invitati. Se c'è
proprio una cosa che noi temiamo è vederci arrivare i “turchi” in
chiesa… Se lo avessi fatto io, non in Egitto, ma qui a Milano, di
presentarmi in una moschea dicendo che mi sono autoinvitato a pregare,
mi avrebbero lasciato alla porta. E se avessi insistito sarebbe
scoppiata la rissa col coltello. Certo, tutti pregheranno oggi: i
cristiani di non trovarsi qualche terrorista vicino. (Non esisterà, tra
l'altro, alcun sistema di controllo e sicurezza, se non quelli di
default nelle chiese più grandi…). Certo, tutti oggi ringrazieranno
Dio: i cristiani di poter essere usciti vivi e incolumi
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Appartengo
alla categoria dei cittadini che si portano rispetto l'un l'altro senza
fare l'esame del sangue a nessuno, tranne che ai politici di mestiere.
L'incontro tra cristiani e musulmani alla messa domenicale non mi ha
stupito. Anzi mi chiedevo spesso come mai un avvenimento del genere
dovesse sempre finire triturato dai media come un evento eccezionale
quando non dico dovrebbe essere "normale" cioè quotidiano o codificato
per delle occasioni plurime individuate di comune accordo.
Se entrambe le religioni hanno come fine il bene dell'uomo non c'era bisogno di un tragico assassinio per generarlo.
Vero che i cristiani hanno molto (troppa...) eco sui nostri media e
quindi senti che hanno pregato per le vittime delle innumerevoli
guerre nel mondo ma in questo Paese di iprociti e bigotti solo
una TV di stato codina del Vaticano - nonostante disponga di una
cinquantina di canali per 24 ore al giorno- non ha mai trovato il
tempo di inserire le altre religioni presenti in italia.
Tutti parlano di integrazione e rispetto ma nella pratica quotidiana qualcuno non é mai al centro dell'attenzione.
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23mila
musulmani ieri sono entrati nelle chiese italiane e hanno pregato in
segno di fraternità. È il primo segnale per trasformare il 26 luglio,
data dell'uccisione del parroco Jacques Hamel in una chiesa di
Saint-Etienne-du-Rouvray, in Normandia, nella «Giornata delle visite»
dove i fedeli delle religioni monoteiste possano visitare moschee,
chiese, sinagoghe in un clima di fraternità e reciproco interesse.
Sarà una pratica, ammesso che passi, in cui conoscenza si traduce in confidenza.
Tuttavia quella confidenza è difficile che rimanga. Non solo perché
ottenuta o conseguita sulla scorta di un'emozione, ma perché
sostanzialmente non costruita su un progetto che prende in carica gli
elementi essenziali di ciò che è in gioco da tempo, oggi forse più di
prima, comunque, a ben vedere, era in gioco anche ieri.
Non lo scrivo per sminuire. I gesti simbolici hanno un peso rilevante
nel sistema della comunicazione. Poi bisogna affrontare le questioni di
contenuto. E prima si fa e meglio è.
Contenuto significa che quella condizione di confidenza non può rimarne
e o limitarsi ad essere un confronto tra fedi. Ma deve cercare le
strade per divenire un processo di abilitazione culturale.
Perché questo avvenga, i “fedeli” sono parte importante, ma il
confronto intorno alle religioni oggi riguarda le identità e di quelle
occorre iniziare a parlare. Per
farlo il luogo non è il luogo di culto. Il luogo è rappresentato da
molti luoghi della sfera civile dove il segno é quello dell'ente
pubblico.
Il tema é la pratica della religione oggi, i sentimenti che animano le pratiche di fede, le sensibilità
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La
storia delle religioni e del vissuto religioso è una disciplina, non è
un'affiliazione o la descrizione o la narrazione di un'appartenenza. È
la pratica dello studio scientifico, critico, analitico, dei testi,
delle forme di vissuto, della storia della tradizione e dell'esegesi,
dell'immaginario, dell'iconografia, delle forme e delle pratiche della
pietà, che attraversano nel tempo ciascun gruppo umano, ne modificano
gli usi, le convinzioni, i testi di riferimento. E dunque le credenze,
le opinioni, le visioni.
Un discorso pubblico che voglia proporsi un percorso di questo tipo ha
prima di tutto la necessità di individuare degli interlocutori
competenti di materia, che abbiano un rapporto con la sfera
religiosa che costituisce il loro oggetto di ricerca anche simpatetico,
ma soprattutto critico, ovvero analitico. Comunque non ideologico. E
che siano disposti a mettersi in gioco nello sforzo di pensare a delle
opportunità di formazione pubblica.
In mezzo sarà altrettanto significativo capire quanto le
amministrazioni pubbliche, siano disposte a pensare in termini di
costruzione di un sapere condiviso in cui conta l'abilitazione
culturale e non la mobilitazione di appartenenza. In termini concreti:
quante risorse sono disposte a investire per la definizione di una
educazione civica alla società multiculturale?
Non sarà né facile né di soluzione immeditata.
Scontiamo un enorme ritardo (forse più propriamente denunciamo
un'arretratezza). Ci caratterizza la ormai pratcia di una formazione
culturale in ambito religioso praticamente inesistente; spesso un
rapporto con i contenuti del discorso religioso che passa per
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importa quello che fanno, pare non sia mai abbastanza. Prendo ad
esempio l'ultima iniziativa, quella nata dopo l'attentato in una chiesa
di Rouen, quello che domenica ha visto migliaia di musulmano andare
nelle chiese cattoliche per pregare insieme ai fratelli cristiani, per
testimoniare la vicinanza gli uni verso gli altri. Repubblica parla di
23.000 musulmani andati a pregare insieme ai cattolici nelle chiese
italiane, a Milano si è visto ''labbraccio fra don Paolo Croci e limam
Bottiglioni della Coreis, a Genova nella Cattdrale di San Lorenzo
cattolici e musulmani su sono abbracciati durante lo scambio del segno
di pace, ma anche in altre città ci sono state testimonianza
importanti, a Bari, a Roma, a Torino, a Napoli, a Parma. E poi a
Sanremo e a Ventimiglia, per non parlare della messa in memoria di
padre Jacques Hamel, il prete ucciso a Rouen, messa celebrata da
monsignor Dominique Lebrun, vescovo di Rouen e primate di Normandia,
dove erano presenti sia le suore scampate all'attentato che molti imam.
Gesti simbolici, certamente, ma di un simbolismo pesante e carico di
grandi significati. È anche attraverso gesti simili che si contribuisce
a creare e a cementare quel dialogo che continuiamo a indicare come
imprescindibile necessità.
Qualcuno ha criticato gli Stati per non aver preso un'iniziativa
similare, magari di carattere laico. Ma, perdonatemi, è più urgente
coinvolgere tutte le forze laiche all'interno di una posizione che è
già (o dovrebbe essere già) loro, o piuttosto coinvolgere le comunità
religiose per toglierle dall'isolamento che a volte vivono e renderle
protagoniste di un dialogo che deve riguardare anche loro? Dagli Stati
mi aspetto che incrementino si il dialogo ma quello fra le varie
intelligence, che favoriscano lo scambio di informazioni, che
rafforzino le collaborazioni per sviluppare reti informative sempre più
estese ed efficienti. Il dialogo interreligioso è invece di pertinenza
delle religioni, e questo nuovo passo spero possa essere solo il primo
e che possa contribuire a rafforzare il confronto. Così come il
terrorismo di nutre di simboli negativi, prospera pescando nel disagio,
nell'emarginazione, nella voglia di alcune persone di affidarsi a
ideologie radicali, allo stesso modo non dovremmo sottovalutare la
portata di gesti positivi di questa portata e farne tesoro come
carburante contro la deriva violenta che sta prendendo sempre più piede.
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dalla propria chiesa.
Nessun vescovo farà sentire la sua voce dicendo che la cosa andava
almeno concordata insieme. Insomma l'Islam è prepotente e invasore
anche quando vuole farsi apprezzare come misericordioso e gentile. Se
ci entrano in chiesa quando vogliono fare la pace, pensa che cosa
possono fare quando sono leggermente alterati… Eh, lo sappiamo cosa,
tra l'altro…
Un pensiero che non è isolato. Lo ha espresso anche da Camillo Langone
sul Foglio. Ma qui non si tratta di “creare” una nuova religione o di
accomunare le diverse religioni monoteiste in un minimo comune
denominatore, qui si cerca soltanto di incrementare i legami e
rafforzare quel dialogo e quelle aperture che più volte si sono chiesti
a gran voce. Richieste di apertura che probabilmente saranno state
fatte anche dallo stesso Langone e anche dal quel prete anonimo. O
forse ora non è più di moda chiedere apertura e dialogo? Ci stiamo già
facendo prendere dalla guerra di religione? Anche Papa Francesco ha
recentemente detto che siamo in guerra, ma ha anche aggiunto che
l'unico modo per reagire a questa guerra è la fratellanza. Non
l'esclusione, non la chiusura, non l'odio verso gli altri. Per questo
servono azioni simboliche, servono perché dimostrano la volontà di
voler cambiare strada, dimostrano che è possibile lasciarsi indietro
gli errori del passato e guardare avanti verso un futuro migliore. Non
sottovalutiamo la forza e la potenza delle azioni simboliche, perché
spesso sono proprio i simboli ad aiutare le persone a trovare quella
forza necessaria affinché si realizzi qualcosa di irrealizzabile.
ROBERTO GALANTE
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Dimenticato e ciao stai bene.
Vero che probabilmente ci sarebbero dei problemi (non tecnici) per
trasmettere le preghiere delle varie chiese e religioni (non sarbbero
molte: forse nemmeno cinque) ma se una cosa c'é, non ci
dovrebbe essere problema parteciparlo anche a quei cittadini (e
non) che le seguono.
Le cose si debbono fare senza troppe conferenze stampa, senza troppa enfasi.
Io ti trasmetto perchè tu sei un cittadino italiano con una idea particolare.
Tra l'altro sarebbe anche un'occasione deterrente qualora ci fossero soggetti -diciamo- esagitati.
Vediamo, vedremo, se adesso questa esperienza non si confermi in qualcosa di definitivo.
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che percorrono i vissuti e le esperienze del religioso.
Con sensibilità intendo: che cosa si associa alla parola identità oggi
nel vissuto religioso, che cosa vuol dire tradizione? Come si
costruisce e con quali pratiche si acquisisce la conoscenza critica dei
testi del sistema di fede a cui si dichiara di appartenere? Come si
definisce, si costruisce il corpo testuale della propria pratica di
fede e come si indaga quella di altri sistemi di fede? Sono domande che
non riguardano genericamente la scuola, ambito e settore in cui da
molti anni in Italia, quando non si ha una strategia culturale, si
rimanda per trovare una soluzione. La sfera riguarda non il mondo
dell'educazione o della scuola, riguarda le aree di competenze delle
politiche culturali pubbliche.
Ad affrontarle ci vanno competenze che pongono la religione come storia
di una pratica e di una mentalità. Ovvero:la pratica della fede, i
contenuti culturali, l'analisi testuale, l'esegesi delle fonti, tutto
ciò che concerne e riguarda la religione e il vissuto religioso.
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“catechismi”,
dunque per “riassunti”; una scarsa, per non dir nulla, conoscenza
diretta dei testi, della storia dell'esegesi. Tutti questo si
accompagna a un processo in cui le identità religiose sono in
trasformazione, spesso con “fai da te” molto ideologico.
Ma occorre mettere in campo una determinazione e una volontà. Se ci
limiteremo alle visite di cortesia, passato il momento dell'apparente
rottura del tabù, resterà solo l'esperienza di una volta.
DAVID BIDUSSA
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