NUMERO 223 - PAGINA 7 -LA RAI, QUELLA CATTIVA E QUELLA CHE VORREI.




























La buona televisione e quella inutile
Giunta al suo inevitabile epilogo, la questione delle nomine Rai insegna qualcosa che va oltre le polemiche. In primo luogo, ha ragione chi ricorda come la lottizzazione in viale Mazzini sia sempre esistita e in qualche misura possa definirsi legittima, pur nel suo cinismo, visto che l'editore del servizio pubblico è il potere politico-istituzionale.
C'è da meravigliarsi che la commissione di Vigilanza, presieduta da un esponente del M5S, non abbia voluto tagliare la strada alla proposta dei vertici aziendali?
Quesito lecito a cui si danno due risposte diverse.
La prima é: no, perché la commis-

Quindi il gioco potrebbe non valere la candela.
Perché quello che ci si attende da un governo che si pretende innovatore sarebbe la reale trasformazione del servizio pubblico.
Non per tornare a un mitologico passato, bensì per adeguare la Rai alle sfide del mondo contemporaneo.
E non solo sul terreno delle tecnologie.
Per riuscirci si dovrebbe parafrasare la famosa frase di De Gasperi che il premier Renzi ha di recente citato, ma senza rammentarne la fonte.
La buona Rai è quella che interpreta e anticipa il futuro pensando alle nuove generazioni,non quella che serve



La RAI che vorrei
Ricordo che quando quattro anni or sono scrissi in un forum che per i talkshow il  tempo era finito, venni massacrato da moltissime critiche come fossi un censore. I t.s. sono  le trasmissioni che fanno marchette (semi)pulite alla politica consentendo ai fanigottoni di sbrodolare sullo schermo.
Pare che adesso quel parere sia largamente condiviso, tranne per gli editori a cui costano pochissimo e danno un alto rendimento «politico».
Adesso nel grande circo della televisione di stato (cioè dei cittadini italiani)   c’è una nuova martire - la Berlinguer- sacrificata dalla coppia dei belli addormentati nel bosco  Monica Maggioni e Antonio Campo dall’Orto, accusati di essere stati eterodiretti dal governo.
Rai Tre è una cosa strana dal momento che la sua seconda gamba, le RAI regionali, sono in mano a un direttore leghista, che altrettanto brilla per indomita fede (leghista appunto).








































































-sione parlamentare non ha il potere di sindacare le nomine, dice il presidente Fico che stavolta ha deciso di difendere la norma con assoluto zelo.
Forma uguale sostanza, una novità di qualche peso per un rivoluzionario anti-sistema.
La seconda: sì, perché la Rai non ha presentato il piano industriale e quindi le nomine andavano rinviate, come ribattono i due senatori della minoranza Pd, Gotor e Fornaro, che si sono dimessi per protesta.
Ora, che la Rai diventi il palcoscenico estivo su cui si svolge l'ennesimo scontro interno al Partito democratico può interessare solo un'esigua porzione di italiani in vacanza.
Eccetto che per un punto.
Si dimostra che le nomine non sono figlie di un accordo nella maggioranza o fra la maggioranza e oppo-








Il Tg3 non mi mai è piaciuto anche se resta, per ragioni banalmente prandiali, l’unico tiggi che ascolto vista la coincidenza temporale appunto tra pranzo&cena col Tg3.

I TG sono sostanzialmente delle raccolte di comunicati dei politici e il maggiore impegno dei giornalisti è il taglia-copia-incolla per costruire l’annuncio in base ai tempi OBBLIGATORI da dare  ai vari partiti in base al peso elettorale oppure se governativi o meno.
Qualunque uomo o donna appena appena dotato di autostima rifiuterebbe un incarico del genere ma l’autostima si può accantonare quando cerchi altre soddisfazioni.

Non ho mai giudicato granche positiva la professionalità della Berlinguer nel fare il Tg3. Già l’idea che la figlia di un segretario politico finisca alla RAI a dirigere un TG mi fa innervosire, il fatto è che  la ragazza è un monumento di banalità accompagnate da nessun spessore ne politico ne culturale.
I suoi «speciali» dedicati ad avvenimenti particolari riescono a scocciare anche un defunto e per l’intemerata ignoranza e per il diluvio di parole che scarica addosso all’incauto spettatore che abbia il coraggio di tenere  aperto il canale.
Ma il problema non si pone in particolare o esclusivamente verso la Berlinguer ma verso un mondo giornalistico e un sistema di produrre trasmissioni di bassa lega.

Una trasmissione di informazione ha bisogno di una redazione numerosa, forte e professionale e non di quattro gatti raccogliticci e raccomandati come quelli che stanno dietro i tiggi o i talkshow. In questo modo allestisci un bel casino ed alla fine  il telespettatore capisce un tubo.

Il paradosso è che quando non esisteva la possibilità di trovare le informazioni com’è adesso la professionalità dei giornalisti era decisamente superiore e non per ragioni genetiche, ma per formazione culturale.
In RAI oggi non c’è nessun Biagi : ci sarà una ragione e non è solo per la lottizzazione.
E dire che il Biagi non  aveva una laurea specialistica nel settore come i mille iper stipendiati attuali  attorno al cavallo di Messina.

Valuteremo quindi i nuovi direttori in base al prodotto che ascolteremo-vedremo.
Aggiungiamo che la RAI è trementademnte  narcisa e campanilsitica non tanto per i TG regionali ma perché per  la RAI l’Europa e il mondo sono degli accidenti accidentali.
Dei costi antipatici purtroppo ineliminabili.
La RAI oggi dispone di 14 canali oltre che di internet.
Mi domando: mai possibile che la RAI non abbia mai avuto l’idea di fare un tiggi «tosto» (lungo almeno un’oretta magari in due parti) da quella dozzina di capitali mondiali con cui gli Italiani quotidianamente interloquiscono per lavoro cultura affari divertimento?
Invece vedi dei poveri inviati -spesso ancora col gelato in mano-  che debbono parlare di tutto, quindi a professionalità molto bassa.


















































-sizione, come prevede la regola aurea dei lottizzatori.
Non nascono nemmeno da un'intesa fra le correnti del Pd, come si sarebbe fatto tempo addietro.

Sono invece espressione della nuova era in cui prevale il decisionismo del leader, che si tratti del direttore generale del servizio pubblico o del presidente del Consiglio che lo ha voluto in quel posto.
Si dirà che in anni lontani anche la Rai di Ettore Bernabei - nominato da una personalità forte quale era Amintore Fanfani - si fondava su una solida capacità di leadership.
Ma il paragone non regge.
Soprattutto per la capacità di coinvolgere in quegli anni personaggi di assoluto valore professionale (da Zavoli a Biagi, da Barbato a Fabiani, per citarne solo alcuni), espressione delle culture e dei sentimenti collettivi, si potrebbe dire, in cui si articolava il paese.
Quella Rai raccontava l'Italia e ne rispettava la complessità politica. Sapeva fare opera di pedagogia civile talvolta con le prudenze del caso, ma quasi sempre con alta capacità giornalistica. La sua missione non era puntellare un governo o un premier: tanto è vero che l'impianto resse alle numerose crisi che costellarono la stagione del centrosinistra, diventando, anzi, sempre più inclusivo.
A riprova che esisteva un'idea del paese, magari criticabile, e che lo strumento radiotelevisivo era parte di una visione di lungo periodo.
Oggi c'è il rischio, come ha scritto Pierluigi Battista, che le nuove nomine servano più che altro a blindare i notiziari televisivi in vista del referendum costituzionale: una grande trincea a favore del Sì, quando la storia insegna che raramente il controllo della Tv di Stato in una società pluralista e persino frammentata o polverizzata dall'esplosione dei social network riesce davvero a influenzare l'opinione pubblica al punto di vincere le elezioni.




































































































































gli interessi elettorali di corto periodo del politico di turno.
Di conseguenza se la rivoluzione promessa si riduce alle nomine di Ferragosto, così da dimostrare che c'è qualcuno che comanda, non si rende un buon servizio all'opinione pubblica.
Ma nemmeno, a ben vedere, al potere politico.
Né a quello che tiene i fili dietro le quinte, né a quello che attacca e polemizza pur non avendo i titoli perché a parti invertite si sarebbe comportato allo stesso modo.

Stefano folli
Corriere della Sera
05 agosto 2016