L'Italia
sta cambiando pelle. Per la prima volta in novant'anni, nel 2015 la
popolazione residente è diminuita (-130.061 unità), malgrado il leggero
aumento degli stranieri (+11.716).
Al 31 dicembre scorso eravamo 60.665.551 residenti, di cui oltre 5
milioni non italiani (8,3% su scala nazionale, 10,3% nel Centro- Nord),
anzitutto romeni (22,5%) e albanesi (9,3%).
Il saldo migratorio positivo è stato di 133 mila persone.
Continuiamo peraltro a invecchiare, con un'età mediana di 44,7 anni.
Seguendo le tendenze attuali, compresa un'immigrazione netta intorno
alle 100 mila unità annue, nel 2050 ci ridurremo a circa 57 milioni.
Senza immigrazione — ipotesi di pura scuola — perderemmo 8 milioni di abitanti, calando a 52 milioni.
Come gran parte dei Paesi europei, Germania in testa, gli italiani del
futuro prossimo saranno di meno, più vecchi e culturalmente più
diversi. Ad allargare la forbice con la sponda Sud del Mediterraneo,
dove gli abitanti crescono e sono giovani, dunque mobili e più
disponibili a lasciare le loro case (o ciò che ne resta) per puntare
alla riva Nord.
Immaginare che mutamenti tanto profondi possano impattare sull'Italia
senza produrvi strappi, a tessuto sociale e politico- istituzionale
costante, implica l'uso di sostanze stupefacenti.
Eppure, proprio questa sembra la postura della nostra “classe dirigente”.
Refrattari a riconoscere il mutamento quando affrontarlo produrrebbe
costi politici e di immagine, i governi italiani, a prescindere dal
colore, procedono per inerzia, aggiustamenti, reazione retorica alle
emergenze. Rimuovono la cogenza della demografia, declassano le ondate
immigratorie a fenomeni estivi — mentre nel pubblico si diffonde la
sindrome dell'”invasione” — rinviano alla Chiesa, al volontariato e
agli enti locali i compiti di accoglienza, rifiutano ogni scelta sul
modello di inclusione di chi sbarca in Italia per restarvi.
Certo non possiamo invertire a comando il movimento naturale della popolazione, nemmeno se fossimo una dittatura.
Ma non è consigliabile esimerci dal disegnare una strategia di sviluppo
fondata sulla gestione sistemica dei flussi migratori,
sull'integrazione di una quota determinante degli immigrati —
soprattutto delle seconde, presto terze generazioni — e sulla
correlativa necessità di stabilire relazioni speciali con le terre di
origine dei nuovi italiani. Altrimenti la disputa sull'identità
italiana sarà risolta nello scontro di piazza tra estremisti xenofobi
militarizzati e bande di immigrati organizzate su fondo
etnico-religioso, fra loro rivali.
Con la maggioranza degli autoctoni a tifare per i primi, visto che
l'82% degli italiani si dichiara ostile agli zingari (record europeo),
il 69% ai musulmani (ci battono solo gli ungheresi, al 72%), cui si
aggiunge lo zoccolo duro antiebraico (24%), sintomo classico di
intolleranza per il “diverso”.
Sul fronte migratorio, la novità di quest'anno è che da paese di transito siamo diventati paese obiettivo.
Chi sbarca nella penisola, sopravvivendo al Canale di Sicilia, tende a restarvi.
Ciò per il convergere di costanti flussi migratori da Sud e più duri
controlli alle frontiere alpine, con cari saluti allo spirito di
Schengen.
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Contrariamente
alla retorica dell'”invasione”, quest'anno il numero dei migranti
sbarcati in Italia è analogo a quello del 2015. La differenza sta nella
crisi dell'accoglienza.
Le varie tipologie di strutture deputate alla gestione immediata dei migranti sono al limite, spesso oltre.
In tre anni siamo passati da 22.118 a 135.704 ospiti (al 21 luglio).
Alle cifre ufficiali dobbiamo aggiungere un numero imprecisabile di
persone allo sbando nel territorio nazionale. Secondo stime informali
del governo, la soglia di collasso, oltre la quale si prevedono gravi
problemi di ordine pubblico, sarà toccata quando il numero
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Non
possiamo capire le ragioni della fuga dal proprio paese di un migrante
se non prendiamo in considerazione cosa vuol dire vivere sotto la
guerra di uno due tre cinque eserciti. Se non ci rendiamo conto
di cosa sia una fame che dura fin dalla nascita. Se non cerchi di
comprendere come può reagire un giovane che alla TV su un
cellulare vede l'Occidente e la sua Patria.
Chi frequenta twitter e segue da anni la battaglia attorno ad Aleppo
come la presentano quasi giorno per giorno quei combattenti non si
rende conto perchè la maggioranza di quelle genti decide di
fuggire dappertutto per di non stare mai più li.
Su alcuni siti si vede giorno dopo giorno l'avanzata o l'arretramento
di questo o quel manipolo (esercito? siamo onesti: sono piuttosto
bande...) quartiere per quartiere, casa per casa, piazza per piazza,
ponte per ponte.
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Tra le
ipocrisie che non aiutano ad affrontare la realtà dell'immigrazione c'è
quella di chiamare «profughi» tutti i nuovi arrivati.
La commissione provinciale BG che esamina le richieste di asilo si è attestata intorno al 90% di bocciature.
Il dato di Bergamo supera nettamente la media nazionale, che ammette circa il 40% delle richieste.
In ogni caso, è evidente che su scala locale si riproduce in modo più marcato un difetto dell'intero sistema.
Le pratiche vengono esaminate dalle prefetture con una lentezza che
deve sembrare incredibile anche a chi arriva dal terzo mondo. Mancano
le risorse per gestire i rimpatri. Intanto, anni e anni di vita degli
aspiranti profughi restano stoccati (a spese dello Stato) in strutture
di fortuna, senza prospettive.
È la traduzione italiana, al solito bonaria e inefficiente, delle direttive europee.
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quali poi molto probabilmente chiederà di andarsene?
Siamo sicuri che anche questo non alimenti la xenofobia?
E che speranza
di integrazione offre un Paese in cui a questi giovani — per legge non
possono trovare lavoro — viene offerto, quando va bene, di sistemare le
aiuole o di pulire i tavoli alle sagre? Il vecchio «aiutiamoli a casa
loro» leghista era una bugia, viste le cifre della cooperazione
internazionale italiana degli ultimi decenni, ma il governo Renzi,
armato di un lessico più elaborato, lo sta riproponendo nel confronto
europeo, finora senza successo.
Anche perché si può dubitare che i
leader politici europei sappiano come rilanciare l'economia africana,
data la palese incapacità di far ripartire quella dell'Ue.
E, più di
tutto, se l'Europa è quella che ha versato 6 miliardi di euro a Erdogan
per non sentir più parlare dei profughi (quelli veri, siriani) e ora
non trova la voce per condannare la fine della democrazia in Turchia, è
un po' infantile sperare che qualcuno intervenga da fuori per rendere
la situazione italiana più civile.
Simone Bianco
Corriere della Sera/Bergamo
04 agosto 2016
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dei
nuovi arrivati accolti in Italia si aggirerà attorno ai 200 mila. Siamo
prossimi al punto di rottura, considerando anche il picco dei
richiedenti asilo, cresciuti del 63% nel giro dell'ultimo anno.
Lucio Caracciolo
LIMES- agosto 2016
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Mentre
noi - senza fare del moralismo a costo zero- ci divertiamo sulle
floatings piers qualcun altro cerca di portare in Europa la rusca su un
barcone e spesso ci butta qui i suoi figli minorenni. Ce li getta qui perchè vuole dare loro una speranza e un futuro.
Chi di noi, col culo nel
burro, avrebbe il coraggio di buttare via un proprio figlio perchè,
male che vada e sperando in un qualche dio semmai ci credano ancora,
altrove avrà comunque una vita migliore che sotto le bombe o con la
fame perenne.
E quando arrivano qui, noi
non sappiamo nemmeno che fare. Forse qualche furbo però si.... Perdiamo
mesi e mesi (soldi e soldi) per concludere che debbono andarsene.
Tornare da dove sono venuti. E sappiamo che non sarà vero e che tra
qualche settimana il problema sarà identico.
Un paese di vecchi
rinco aspetta che il problema si risolva da solo e se gli dici che tra
20-30 anni avremo perso 3-4 milioni di "italiani di pelle bianca" e
dovremo tagliare di un quarto o della metà pensioni e welfare, facciamo
spallucce.
Roba da matti.
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