NUMERO 223 - PAGINA 5 -I MIGRANTI E L'ITALIA DEL FUTURO

















































L'Italia sta cambiando pelle. Per la prima volta in novant'anni, nel 2015 la popolazione residente è diminuita (-130.061 unità), malgrado il leggero aumento degli stranieri (+11.716).
Al 31 dicembre scorso eravamo 60.665.551 residenti, di cui oltre 5 milioni non italiani (8,3% su scala nazionale, 10,3% nel Centro- Nord), anzitutto romeni (22,5%) e albanesi (9,3%).
Il saldo migratorio positivo è stato di 133 mila persone.
Continuiamo peraltro a invecchiare, con un'età mediana di 44,7 anni. Seguendo le tendenze attuali, compresa un'immigrazione netta intorno alle 100 mila unità annue, nel 2050 ci ridurremo a circa 57 milioni.
Senza immigrazione — ipotesi di pura scuola — perderemmo 8 milioni di abitanti, calando a 52 milioni.
Come gran parte dei Paesi europei, Germania in testa, gli italiani del futuro prossimo saranno di meno, più vecchi e culturalmente più diversi. Ad allargare la forbice con la sponda Sud del Mediterraneo, dove gli abitanti crescono e sono giovani, dunque mobili e più disponibili a lasciare le loro case (o ciò che ne resta) per puntare alla riva Nord.
Immaginare che mutamenti tanto profondi possano impattare sull'Italia senza produrvi strappi, a tessuto sociale e politico- istituzionale costante, implica l'uso di sostanze stupefacenti.
Eppure, proprio questa sembra la postura della nostra “classe dirigente”.
Refrattari a riconoscere il mutamento quando affrontarlo produrrebbe costi politici e di immagine, i governi italiani, a prescindere dal colore, procedono per inerzia, aggiustamenti, reazione retorica alle emergenze. Rimuovono la cogenza della demografia, declassano le ondate immigratorie a fenomeni estivi — mentre nel pubblico si diffonde la sindrome dell'”invasione” — rinviano alla Chiesa, al volontariato e agli enti locali i compiti di accoglienza, rifiutano ogni scelta sul modello di inclusione di chi sbarca in Italia per restarvi.
Certo non possiamo invertire a comando il movimento naturale della popolazione, nemmeno se fossimo una dittatura.
Ma non è consigliabile esimerci dal disegnare una strategia di sviluppo fondata sulla gestione sistemica dei flussi migratori, sull'integrazione di una quota determinante degli immigrati — soprattutto delle seconde, presto terze generazioni — e sulla correlativa necessità di stabilire relazioni speciali con le terre di origine dei nuovi italiani. Altrimenti la disputa sull'identità italiana sarà risolta nello scontro di piazza tra estremisti xenofobi militarizzati e bande di immigrati organizzate su fondo etnico-religioso, fra loro rivali.
Con la maggioranza degli autoctoni a tifare per i primi, visto che l'82% degli italiani si dichiara ostile agli zingari (record europeo), il 69% ai musulmani (ci battono solo gli ungheresi, al 72%), cui si aggiunge lo zoccolo duro antiebraico (24%), sintomo classico di intolleranza per il “diverso”.
Sul fronte migratorio, la novità di quest'anno è che da paese di transito siamo diventati paese obiettivo.
Chi sbarca nella penisola, sopravvivendo al Canale di Sicilia, tende a restarvi.
Ciò per il convergere di costanti flussi migratori da Sud e più duri controlli alle frontiere alpine, con cari saluti allo spirito di Schengen.

Contrariamente alla retorica dell'”invasione”, quest'anno il numero dei migranti sbarcati in Italia è analogo a quello del 2015. La differenza sta nella crisi dell'accoglienza.
Le varie tipologie di strutture deputate alla gestione immediata dei migranti sono al limite, spesso oltre.
In tre anni siamo passati da 22.118 a 135.704 ospiti (al 21 luglio). Alle cifre ufficiali dobbiamo aggiungere un numero imprecisabile di persone allo sbando nel territorio nazionale. Secondo stime informali del governo, la soglia di collasso, oltre la quale si prevedono gravi problemi di ordine pubblico, sarà toccata quando il numero


Non possiamo capire le ragioni della fuga dal proprio paese di un migrante se non prendiamo in considerazione cosa vuol dire vivere sotto la guerra di uno due tre cinque eserciti. Se non  ci rendiamo conto di cosa sia una fame che dura fin dalla nascita. Se non cerchi di comprendere come può reagire un giovane  che alla TV su un cellulare vede l'Occidente e la sua Patria.
Chi frequenta twitter e segue da anni la battaglia attorno ad Aleppo come la presentano quasi giorno per giorno quei combattenti non si rende conto perchè  la maggioranza di quelle genti decide di fuggire dappertutto per di non stare mai più li.
Su alcuni siti si vede giorno dopo giorno l'avanzata o l'arretramento di questo o quel manipolo (esercito? siamo onesti: sono piuttosto bande...) quartiere per quartiere, casa per casa, piazza per piazza, ponte per ponte.


Tra le ipocrisie che non aiutano ad affrontare la realtà dell'immigrazione c'è quella di chiamare «profughi» tutti i nuovi arrivati.
La commissione provinciale BG che esamina le richieste di asilo si è attestata intorno al 90% di bocciature.
Il dato di Bergamo supera nettamente la media nazionale, che ammette circa il 40% delle richieste.
In ogni caso, è evidente che su scala locale si riproduce in modo più marcato un difetto dell'intero sistema.
Le pratiche vengono esaminate dalle prefetture con una lentezza che deve sembrare incredibile anche a chi arriva dal terzo mondo. Mancano le risorse per gestire i rimpatri. Intanto, anni e anni di vita degli aspiranti profughi restano stoccati (a spese dello Stato) in strutture di fortuna, senza prospettive.
È la traduzione italiana, al solito bonaria e inefficiente, delle direttive europee.



































































































































Non è una situazione nuova, nell'era di internet se ne ha notizia anche nei Paesi dai quali questi immigrati partono. 
Ma partono.
Dunque devono essersi fatti l'idea che ne valga comunque la pena, compreso il rischio di morire nel Mediterraneo.
Forse non molti scappano dalla guerra o da Boko Haram, ma la povertà è una motivazione più che sufficiente per emigrare, come insegna la nostra storia di italiani.
Ha senso continuare così?
Possono le istituzioni fingere di avere davanti a sé una «emergenza profughi», appaltando la gestione dell'accoglienza a privati, a partire dalla Chiesa, senza la quale in provincia di Bergamo sarebbero sulla strada la gran parte dei 1.800 stranieri oggi ospitati?
Ha senso che uno Stato spenda miliardi di euro ogni anno per fare vivere male persone alle




























































quali poi molto probabilmente chiederà di andarsene?
Siamo sicuri che anche questo non alimenti la xenofobia?
E che speranza di integrazione offre un Paese in cui a questi giovani — per legge non possono trovare lavoro — viene offerto, quando va bene, di sistemare le aiuole o di pulire i tavoli alle sagre? Il vecchio «aiutiamoli a casa loro» leghista era una bugia, viste le cifre della cooperazione internazionale italiana degli ultimi decenni, ma il governo Renzi, armato di un lessico più elaborato, lo sta riproponendo nel confronto europeo, finora senza successo.
Anche perché si può dubitare che i leader politici europei sappiano come rilanciare l'economia africana, data la palese incapacità di far ripartire quella dell'Ue.
E, più di tutto, se l'Europa è quella che ha versato 6 miliardi di euro a Erdogan per non sentir più parlare dei profughi (quelli veri, siriani) e ora non trova la voce per condannare la fine della democrazia in Turchia, è un po' infantile sperare che qualcuno intervenga da fuori per rendere la situazione italiana più civile.

Simone Bianco
Corriere della Sera/Bergamo
04 agosto 2016





















































dei nuovi arrivati accolti in Italia si aggirerà attorno ai 200 mila. Siamo prossimi al punto di rottura, considerando anche il picco dei richiedenti asilo, cresciuti del 63% nel giro dell'ultimo anno.

Lucio Caracciolo
LIMES- agosto 2016


Mentre noi - senza fare del moralismo a costo zero- ci divertiamo sulle floatings piers qualcun altro cerca di portare in Europa la rusca su un barcone e spesso ci butta qui i suoi figli minorenni. Ce li getta qui perchè vuole dare loro una speranza e un futuro.
Chi di noi, col culo nel burro, avrebbe il coraggio di buttare via un proprio figlio perchè, male che vada e sperando in un qualche dio semmai ci credano ancora, altrove avrà comunque una vita migliore che sotto le bombe o con la fame perenne.
E quando arrivano qui, noi non sappiamo nemmeno che fare. Forse qualche furbo però si.... Perdiamo mesi e mesi (soldi e soldi) per concludere che debbono andarsene. Tornare da dove sono venuti. E sappiamo che non sarà vero e che tra qualche settimana il problema sarà identico.
Un paese  di vecchi rinco aspetta che il problema si risolva da solo e se gli dici che tra 20-30 anni avremo perso 3-4 milioni di "italiani di pelle bianca" e dovremo tagliare di un quarto o della metà pensioni e welfare, facciamo spallucce.
Roba da matti.