Il
fisico sovietico Andrej Sakharov, dissidente e premio Nobel per la
pace, diceva dall'alto della sua scienza che «se un carretto sta fermo
a lungo in salita, finisce per arretrare». La politica italiana sulla
Libia rischia di dargli ragione ancora una volta, ora che l'America ha
rotto gli indugi e ha cominciato una campagna di bombardamenti sul
caposaldo Isis di Sirte.
La decisione presa da Barack Obama risponde a una richiesta del governo
di riconciliazione libico e nasce dalle difficoltà militari delle
milizie di Misurata, dissanguate dalle perdite e incapaci di
conquistare il centro di Sirte. Ma è difficile non vedere, nella scelta
di Washington, anche una delusa rinuncia alla linea tante volte
ribadita secondo cui della Libia dovevano occuparsi gli europei guidati
e coordinati dagli italiani. Da molti mesi, invece, dietro una facciata
di concordia gli europei inseguono progetti diversi, i britannici e
soprattutto i francesi sono assai meno contrari alla divisione della
Libia di quanto lo siano gli italiani, gli italiani fanno gioco di
sponda con gli americani assai più di quanto facciano francesi e
britannici.
L'unica determinazione comune sembra essere quella di non andare oltre
l'invio di poche truppe speciali incaricate di appoggiare senza
combattere la guerra dei libici contro l'Isis (e di tenere d'occhio le
truppe speciali altrui).
Strategia peraltro corretta, perché l'invio di contingenti terrestri
non richiesti da autorità libiche alimenterebbe il nazionalismo anti
stranieri, procurerebbe nuove reclute al Califfato e potrebbe
comportare perdite pesanti. Ma un giusto realismo strategico non
dovrebbe tradursi in paralisi politica e operativa, non dovrebbe
impedire di cogliere i momenti in cui è necessario fare atto di
presenza. Quando diventa evidente che la milizia di Misurata non ce la
fa a prendere Sirte, quando il premier sostenuto dall'Occidente e
dall'Onu chiede un aiuto aereo per liquidare la roccaforte dei
tagliagole dell'Isis, è normale che siano soltanto gli Stati Uniti a
rispondere? Non eravamo anche noi in attesa delle richieste operative
del governo di riconciliazione? In una guerra che lambisce le nostre
coste un uso ragionato della forza, più che mai contro l'Isis, non
dovrebbe essere escluso. Con il risultato che la diplomazia
dell'attendismo italiana ed europea rischia ora di delegittimarsi
presso la fazione che dovrebbe esserci più vicina, quella del governo
di Tripoli, mentre restano considerevoli le distanze rispetto ai poteri
rivali di Tobruk e di Bengasi.
L'Italia rimasta ferma non poteva d'altra parte negare il suo appoggio
all'iniziativa statunitense. Manifestare perplessità ci avrebbe esposti
a un pericoloso isolamento. Ma dietro al placet e alle dichiarazioni di
circostanza le preoccupazioni per il futuro non mancano.
Dallo scorso mese di maggio, quando Italia e Stati Uniti patrocinarono
insieme la conferenza di Vienna e partì l'attacco delle milizie di
Misurata contro l'Isis ormai asserragliato a Sirte, la nostra
diplomazia si è data un traguardo ambizioso: coinvolgere nell'unità
rappresentata dal governo Serraj quel generale Haftar che bloccava la
ratifica del Parlamento di Tobruk e affermava da Bengasi di comandare
lui l'unico esercito libico esistente. Viste le difficoltà nei rapporti
con il Cairo per l'atroce affare Regeni, fu chiesto agli Emirati di
convincere il presidente egiziano Fattah al-Sisi ad intercedere presso
il suo protetto generale Haftar.
|
|
Ma lo
scontro con la realtà si è dimostrato finora più forte delle buone
intenzioni. Una Cirenaica che facesse da cuscinetto strategico
piacerebbe moltissimo al Cairo. Haftar non ha mai mostrato propensioni
a essere il numero due. E i capi della milizia di Misurata hanno sì
accettato di diventare la fanteria del governo di Tripoli, ma esprimono
un odio profondo nei confronti di Haftar. Di fatto l'unico passo che
potrebbe forse sbloccare l'impasse è una rinegoziazione degli accordi
di Skhirat del dicembre scorso, cioè un grande salto all'indietro.
Quale effetto potrà ora avere su una congiuntura diplomatica tanto
precaria l'intervento americano? Una iniziativa militare di tutti gli
alleati, richiesta da Tripoli contro l'Isis, avrebbe potuto essere una
manifestazione di forza, un segnale di cui tener conto. I bombardamenti
americani rischiano invece di essere visti come l'ennesima arroganza da
superpotenza capace di peggiorare la situazione. Radicalizzando i
contrasti interni in Libia, alzando ancora il prezzo di Haftar e
vanificando quel clima di unione nazionale contro l'Isis sul quale
troppo presto si voleva contare.
La Libia già divisa nei fatti e preda di una profonda crisi economica e
finanziaria potrebbe invece abbandonarsi alla deriva che la spinge
verso una separazione tra Cirenaica e Tripolitania, rendendo vana la
strategia seguita dall'Italia.
|
|
|
|
|
|
Abbiamo
gran parte di importanti beni nazionali e debito pubblico in mano come
azionisti agli stati petroliferi. Dall’energia ogni stato nazionale
ricava enormi profitti e risorse con cui finanzia opere pubbliche e
benessere del paese.
La cancellazione militare e la sconfitta politica dell’ISIS non passa
quindi con un guerra leggera e costosissima nella quale prevale il
gioco ludo-bellica di generali scoionati, ma attraverso un nuovo
modello di vita dell’Occidente nel quale sobrietà risparmio pace no al
commercio delle armi ne siano la base.
Che è poi a bene vedere, anche la risposta alla crisi economica
internazionale dentro la quale l’Italia sta sempre al penultimo posto,
un gradino appena sopra il fondo.
C’è un evidente legame tra la crisi economica e l’esplosione dell’ISIS
e non è la crisi economica che ha fatto da detonatore di questa nuova
forma di terrorismo che può essere davvero catalogato come un insieme
di bande criminali internazionali, bensì trattasi della incapacità -
dello stordimento- dell’Occidente a ripensare un altro modo di vivere
dove non abbia più pratica l’imperialismo sotto qualsiasi aspetto.
Il meccanismo è paradossalmente semplice. Queste bande criminali
hanno compreso che l’Occidente non potrebbe ridurre il proprio
tenore di vita e quindi, verificato che siamo dipendenti
energeticamente da stati sostanzialmente canaglia, queste bande di
criminali sanno come dove quando ricattarci al meglio spostando gli
obiettivi secondo la convenienza immediata, sapendo che i nostri media
faranno rendere l’episodio mille a mille.
Poi dietro al piatto ricco ci sono tutti i vari contorni. Ormai é
notizia condivisa e accertata che Francia Inghilterra e gli USA ma
anche Putin abbiano i loro uomini sul campo dove combattono
«un’altra guerra» che da un lato serve a garantirsi l’accesso alle
risorse petrolifere e dall’altro a spostare e riequilibrare equilibri
che potrebbero sballare al momento.
Insomma l’ISIS si vince stringendo la nostra cintura
piuttosto che una mezza guerra che serve solo a consumare risorse,
arricchire i soliti noti, proseguire all’infinito perchè finchè c’è
guerra ci sono profitti per tanti.
|
|