NUMERO 220 - UNA ESTATE CALDA PER I MEDIA























































E' passato poco più di un mese da quando Vivendi e Mediaset hanno annunciato la loro grande alleanza nel settore dei media europei. Ma i numeri di quell'alleanza non sono ancora chiari e non permettono di capire sino in fondo chi dei due gruppi ha fatto l'affare e come si svilupperà in futuro il rapporto Vivendi-Mediaset.
Cerchiamo di spiegare perché.
Innanzitutto il prezzo pagato per il 100% di Mediaset Premium. Nella sua relazione trimestrale la società di Cologno Monzese indica che sulla base della valutazione delle azioni Vivendi "il 100% di Mediaset Premium è stato valutato 756 milioni inclusivo di una posizione finanziaria netta positiva al closing di 120 milioni".
Il problema è che non si sa quale sarà la posizione finanziaria di Premium al momento del closing, da effettuarsi entro il prossimo settembre. O meglio, nel 2014, quando Mediaset vendette la spagnola Digital Plus a Telefonica e questa a sua volta entrò con l'11,11% in Premium, nelle casse di Rti, controllante di Premium, entrarono 100 milioni.
Quella cassa, però, dovrebbe essere stata spesa per pagare i diritti tv (Chanpions e Serie A) acquistati nel frattempo. Dunque è possibile che Mediaset (o la sua controllata Rti) debbano versare 120 milioni in Premium al momento della firma finale ma non solo. Poichè a passare di mano è il 100% di Premium, Mediaset dovrà ricomprare quell'11,11% in mano a Telefonica.

A quale prezzo? "La cessione della quota posseduta da Telefonica avverrà nel rispetto dei diritti previsti dallo statuto sociale di Mediaset Premium". Difficile pensare che gli spagnoli non si siano cautelati al momento dell''ingresso nel 2014, avvenuto più per fare un favore agli italiani e poter fissare un prezzo per la pay tv che per vero interesse. Dunque Mediaset rischia di dover tirar fuori altri 100 milioni per salire al 100% di Premium che al metto della cassa viene valutata 656 milioni contro i 900 dell'accordo iniziale con Telefonica.

A questo punto bisognerà anche capire come sono andati i conti di Premium nel primo trimestre 2016 e se questi sono in linea con le aspettative dei francesi che stanno comprando. Premium non ha però pubblicato una sua relazione trimestrale nè il bilancio finale del 2015 che dovrebbe arrivare tra non molto.
Dalla trimestrale della casa madre Mediaset emergono però due dati fondamentali: il cash flow delle attività destinate alla vendita è stato negativo nel trimestre per 91,8 milioni contro il meno 1,5 dello stesso periodo 2015; e il risultato netto di Premium a fine marzo è stato in perdita per 56,6 milioni. Nel primo trimestre, inoltre, la spesa per investimenti in diritti di tutta Mediaset è salita a 204,4 milioni contro 98,4 milioni del primo trimestre 2015.
Cosa vuol dire tutto ciò? Significa che nonostante la crescita degli abbonati a Premium da 1,7 a 2 milioni (dati fine 2015) l'attività della pay tv rimane pesantemente in perdita.
Quanto in perdita nell'arco di un anno come il 2016?
Difficile dirlo poichè bisognerebbe sapere come viene scadenziata la spesa per diritti tv lungo l'arco dell'anno ma un semplice calcolo spannometrico ci dice che Mediaset spende circa 450 milioni all'anno per i diritti del calcio in tv, tra Serie A e Champions. Diviso proporzionalmente su quattro trimestri fanno 112 milioni a trimestre e questo dato sembra in linea con quello presentato nella trimestrale che indica una crescita di 106 milioni nella spesa in diritti nel primo trimestre 2016 rispetto al 2015. Dunque i 56,6 milioni di perdita di Premium nel primo trimestre non sembra siano da ritenersi straordinari ma semmai normali e ciò vorrebbe dire che la perdita della pay tv del Biscione in un anno come il 2016 può avvicnarsi ai 200 milioni a meno di impennate nella sottoscrizione di abbonamenti nella parte restante dell'anno.

E veniamo ora alle reazioni dei francesi.
Vivendi aveva bene in mente questi dati o è rimasta sorpresa anche lei della pesantezza dei conti presentati da Pier Silvio Berlusconi? Anche in questo caso è difficile fare delle affermazioni sicure, si può soltanto trarre qualche deduzione dalle parole pronunciate da Arnaud de Puyfontaine nella conference call con gli analisti di qualche giorno fa.
Innanzitutto l'ad di Vivendi fa sapere che su Premium è in corso la due diligence e che non è possibile al momento prevedere la data del closing dell'operazione in quanto dipende dall'iter autorizzativo presso l'Antitrust.
A questo riguardo, sempre dalla trimestrale Mediaset, apprendiamo che l'accordo "prevede clausole di conguaglio e/o aggiustamento del numero di azioni Vivendi e Mediaset oggetto dello scambio qualora, nel periodo tra la data della firma dell'accordo e la data del closing prebista entro il 30 settembre 2016, abbiano luogo operazioni straordinarie; e clausole di risoluzione e/od obblighi di indennizzo in caso di non veridicità di dichiarazioni e garanzie contenute nell'accordo".

Visto l'andamento non certo esaltante di Premium è quindi molto probabile che l'operazione possa essere chiusa tra giugno e settembre, in assenza di sorprese derivanti dalla due diligence. E ciò vorrebbe dire che almeno il secondo trimestre sarà ancora a carico di Mediaset con la sua cinquantina di milioni di perdite che allungano a 270 milioni il costo sopportato dal Biscione per liberarsi una volta per tutte della pay tv fortemente voluta da Pier Silvio Berlusconi. Vivendi se la accollerà per il secondo semestre dell'anno o solo per l'ultimo trimestre ma i 120 milioni di liquidità basteranno a coprire poco più di un anno di perdite in assenza di interventi strutturali di taglio dei costi. Ecco cosa ha detto de Puyfontaine punzecchiato dagli analisti: "La nostra ambizione è di essere in grado di creare una storia di successo e profittevole attraverso Mediaset Premium. E abbiamo eleborato un piano per realizzarla. Ma il piano, che a un certo punto contemplerà la fusione, è un piano che non è allineato con le nostre ambizioni iniziali. Perciò, attualmente, ciò che stiamo facendo è lavorare con il nostro nuovo partner e non appena la transazione sarà completata vogliamo essere in grado di guadagnare terreno e correre, per essere in grado di realizzare quella storia".

 
Tuttavia la storia dice anche che dall'inverno 2016/2017 Vivendi dovrà già mettere mano al portafoglio per partecipare all'asta dei diritti della Champions 2018-21 e nella primavera 2017 confrontarsi con Sky per il nuovo triennio di diritti per la trasmissione delle partite della Serie A.


L'anno tra le due estati sarà probabilmente ricordato come il più importante del secondo dopoguerra nel campo dei media.  Ai primi di marzo 2016 c'è l'accordo tra il Gruppo Espresso e la Itedi. L'unione di Repubblica, Stampa e Secolo XIX porterà alla creazione del primo gruppo italiano dell'informazione stampata e digitale. Viene promesso che le testate manterranno piena indipendenza editoriale. Ezio Mauro a ottobre 2015 si era dimesso da direttore di Repubblica ed era arrivato – accolto da mille musi storti- il direttore delLa Stampa Mario Calabresi.
Ad agosto 2015 erano arrivati i sette nuovi componenti del CdA della RAI coll'impronta di una sana lottizzazione interpartitica che finora – il CdA- non ha mostrato qualità eccelse. Idem per il neo direttore Campo Dall'Orto,che dopo nemmeno un anno viene dato in difficoltà con il suo designatore Matteo Renzi.  E Renzi non è scontento di lui come persona e suo fiduciario, ma perché i risultati non sono né buoni né promettenti e la strisciante delusione si riverbera sull'immagine del capo del governo.

A maggio 2016 Vivendi-Bollorè  stipula un contratto di acquisto di Mediaset Premium ma quando termina la vivisezione dei conti, si apre lo scontro (termine eccessivo, forse) tra il Biscione e il gruppo francese di Bolloré, che vorrebbe solo il 20% della pay-tv per poi lanciare la crescita direttamente in Mediaset e arrivare in tre anni al 15%. Accuse da Cologno Monzese: "Comunicazione grave, Vivendi non adempie gli impegni" e valuta una richiesta danni fino a 1,5 miliardi. La replica transalpina: "Divergenze su valutazione". Il titolo crolla, sullo sfondo la partita per Telecom.

Perché poi assieme o dietro o davanti a tutto questo sommovimento nel campo della carta e delle TV cuoce il tema della fibra ottica ed è li che si innesta o si collegano tutti i temi perché quando le famiglie e le imprese disporranno di un collegamento  davvero veloce, tutto il costosissimo mondo della carta stampata resterà appannaggio di una minoranza (ma non scomparirà, ovviamente).


Dalla promessa alleanza alla guerra senza esclusioni di colpi. Tra Mediaset e i francesi di Vivendi la rottura è netta con i transalpini che dopo mesi di trattative scoprono le carte: il vero interesse di Vincente Bollorè non è la pay tvPremium che continua perdere soldi, ma la casa madre Mediaset.
A schiarire lo scenario è la rinuncia da parte di Vivendi al 100% della pay tv - ufficialmente alla luce degli ultimi risultati - e la proposta di un piano alternativo che riduca l'impegno su Premium al 20% del capitale), ma che - entro tre anni - la porti al 15% dell'intero gruppo tricolore.
Insomma, Bollorè ha fretta di salire direttamente nel capitale della controllante, di cui Fininvest detiene ancora il 34,8%. Una nuova rotta che spiazza le televisioni della famiglia Berlusconi, che non riuscirebbero così a liberarsi subito di un asset che pesa sul bilancio ormai da tempo, vedendosi poi sconvolti i piani per recitare un ruolo a livello europeo nell'indusria della comunicazione del futuro.
Non è un caso che il titolo crolli a doppia cifra a Piazza Affari.

In una secca nota diffusa da Cologno Monzese si spiega la nuova offerta ricevuta da Vivendi che "confermato lo scambio del 3,5% del capitale di Vivendi e del 3,5% del capitale di Mediaset, propone di acquistare soltanto il 20% del capitale di Mediaset Premium e di arrivare a detenere in tre anni circa il 15% del capitale di Mediaset attraverso un prestito obbligazionario convertibile", dice il Biscione.
Un'offerta che il Biscione - in attesa del cda sui conti di giovedì prossimo - ha intenzione di rispedire al mittente anche perché dal punto di vista tecnico la conversione del prestito obbligazionario prevede l'emissione di nuove azioni che farebbero scendere la holding della famiglia Berlusconi sotto la minoranza di blocco perdendo di fatto il controllo di Mediaset.

Cologno quindi sottolinea con durezza come la lettera di Vivendi ricevuta solo ieri eluda "un riscontro puntuale ad un'intimazione rivoltale da Mediaset ad adempiere ai propri obblighi contrattuali - finora inadempiuti - in primo luogo quello di notificare tempestivamente l'acquisto del controllo di Mediaset Premium alla Commissione Antitrust della Ue".
D'altra parte, spiega che l'ad di Vivendi - Arnaud de Puyfontaine - "ha verbalmente comunicato che Vivendi non intende comunque onorare il contratto stipulato".

Mediaset definisce la presa di posizione di Vivendi, a valle della due diligence sui conti di Premium, "una novità assoluta e non concordata" che "rappresenta una palese contraddizione con gli impegni assunti da Vivendi mediante il contratto firmato l'8 aprile scorso, concluso dopo

Mediaset promette battaglia e minaccia una causa per danni fino a 1,5 miliardi di euro denunciando anche l'attuale cogestione di Premium, iniziata proprio ad aprile. Nell'intesa, inoltre, erano previsti patti per vincolare in via reciproca per tre anni la partecipazione (si tratta del cosiddetto lock-up).
Nel dettaglio dell'accordo, che doveva esser definito entro il prossimo 30 settembre, si diceva che nel primo anno Vivendi non avrebbe acquistato alcuna azione Mediaset, mentre nel secondo e terzo anno non avrebbe potuto superare una partecipazione del 5%.

Dura anche la presa di posizione di Fininvest che denuncia "l'eccezionale gravità e l'assoluta scorrettezza del comportamento di Vivendi.
L'annunciata decisione di non voler onorare un contratto valido e vincolante, regolarmente stipulato fra le parti e approvato da tutti i rispettivi organi competenti, viola - si legge in una nota - i più elementari principi del diritto oltre che dell'etica economica.
Vengono infranti i capisaldi che assicurano un corretto e ordinato funzionamento del mercato".
Il "vero" e "non dichiarato obiettivo" di Vivendi - prosegue Fininvest - era arrivare ad avere "una posizione di rilievo" in Mediaset "in modo surrettizio".

Dalla Francia si precisa cosa ha portato a questa nuova proposta e in particolare Vivendi spiega che aveva esposto a Mediaset, lo scorso 21 giugno, "divergenze significative nell'analisi dei risultati della sua filiale di Pay Tv Mediaset Premium su cui i due gruppi sono in trattativa".

Nel comunicato del colosso transalpino si precisa poi che "il presidente del suo consiglio di gestione - cioè Bolloré - con una lettera datata 21 giugno, ha comunicato ai dirigenti Mediaset delle divergenze significative nell'analisi dei risultati della sua filiale di pay Mediaset Premium, su cui i due gruppi sono in trattativa".
Il gruppo francese ha quindi "fatto, ieri, una proposta a Mediaset per trovare un nuovo accordo in termini differenti e proseguire le discussioni", dato che "conferma la sua volontà di costruire un'alleanza".

Presente in Italia per una conferenza stampa, De Puyfontaine ha detto di "non volere il controllo" di Mediaset e aggiunto: "L'obiettivo non cambia, è quello di creare un grande gruppo; cambia il modo per raggiungerlo. Stiamo discutendo - e vogliamo una soluzione che sia soddisfacente per entrambi".

Sullo sfondo, si gioca la partita di Telecom Italia della quale Vivendi è primo azionista al 24,68% e che nel lungo periodo è stata più volte accostata a Mediaset per un'integrazione sotto la regia francese: "Non ci sono preconcetti e abbiamo la mente aperta", ha detto in proposito il ceo francese.
Che poi ha aggiunto: "Siamo soddisfatti della nostra quota in Telecom e non abbiamo intenzione di incrementarla" o di cedere pacchetti a Orange.

Tornando alla questione Premium, quel che è certo è che con il cambio di rotta odierno prendono improvvisamente corpo i dubbi circa le valutazioni effettuate sulla televisione a pagamento, che erano montati già a qualche settimana di distanza dall'annuncio della collaborazione tra i due gruppi.
D'altra parte, anche nel primo trimestre dell'anno i conti della televisione a pagamento avevano fatto da macigno su quelli dell'intero gruppo,  portandoli in rosso di 18 milioni dopo la perdita da 85 milioni registrata dalla pay-tv nel 2015.
Agli addetti ai lavori sono sembrate mancare alcune informazioni relative alla cessione di Premium a Vivendi, il cui "100% (sulla base dei prezzi delle azioni francesi, ndr) è stato valutato 756 milioni inclusivo di una posizione finanziaria netta positiva al closing di 120 milioni", per valutare concretamente i razionali della stessa.
A cominciare dalla necessità o meno di Mediaset di rimpinguare quella stessa cassa, o del prezzo di riacquisto da Telefonica dell'11% di cui gli spagnoli si volevano disfare.

G.Balestrieri e R. Ricciardi
La Repubblica
26 luglio 2016












































































































































































































































































































































































































































Due appuntamenti che insieme valgono più di 1,3 miliardi e che se confermati rischiano di mandare all'aria i piano di rientro dei manager di Vivendi che non a caso puntano alla fusione tra Premium e Canal Plus per affogare il business italiano nel più allargato sistema di pay tv europea.
La quale, però, ha perso 180 milioni nel 2014, 250 milioni nel 2015 e 400 milioni nel 2016 portando l'indebitamento a un miliardo.
Ora sta facendo un grande sforzo di ristrutturazione per riportare i conti in ordine ma Bolloré non ha escluso che la cura possa passare per la chiusura di alcuni canali a pagamento, soprattutto in Francia.
Con Premium in pancia sarà ancora più difficile e diventa difficile capire perchè Vivendi abbia accettato di accollarsi la zavorra italiana. A meno che non sia un primo passo necessario per arrivare nell'arco di tre-quattro anni a mangiarsi tutta Mediaset, che senza la pay tv sta tornando a macinare utili.

G. Pons
16 maggio 2016
La Repubblica


La mia idea  sulla vicenda Mediaset-Vivendi è che sia in corso un ragionamento per vendere Mediaset a un soggetto meno esposto politicamente nel qual mentre il suo padrone sembra avere individuato quale sarà il suo successore ed erede  di Forza Italia.
Una vendita tutto sommata “anche auspicata” dal cavaliere che trova l'accordo di Renzi in vista delle prossime tornate referendarie ed elettorali avendo entrambi di fronte un solido avversario come i penta stellati.

Berlusconi non può lanciare Parisi nell'arena elettorale del CDX se non con Mediaset “neutrale” rispetto a certi aspetti e quella neutralità può essere spesa solo se sta in mano altrui.
Purtroppo con la crisi che gira il valore di Mediaset resta basso e quindi non c'è grande entusiasmo del suo padrone per la vendita ma adesso occorre combinare le diverse tempistiche.

Se il referendum costituzionale costringe Renzi alle dimissioni (e quindi, ipse dixit- delle nuove elezioni…) il CDX deve  disporre di un candidato premier di solide speranze che non può essere il cavaliere.

Se il referendum conferma la riforma costituzionale il cavaliere e Mediaset restano oberati da mille problemi che il Renzi non curerà granche di risolvere.



lunghe trattative con l'approvazione di tutti gli organi competenti di entrambe le parti".
Per questo, dal cda si aspetta una posizione ufficiale in risposta ai francesi e alla "gravissima comunicazione dell'Amministratore Delegato di Vivendi. Mediaset è fermamente determinata a far valere ogni proprio diritto in ogni sede".

Il riferimento è a quanto annunciato lo scorso aprile: i termini dell'accordo tra la società di Berlusconi e quella di Bolloré, che prevedevano lo scambio azionario di un pacchetto del 3,5% del capitale e la vendita della quota del Biscione nella pay-tv Mediaset Premium (l'89% della pay-tv, mentre il restante 11% acquistato dagli spagnoli di Telefonica sarebbe arrivato in un secondo momento).