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NUMERO 220 - RACCONTIAMOCI LA VERITA' SULLA TURCHIA
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Furio Colombo
Turchia:tutto quello che sappiamo non e' vero
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Massimo Riva
la Merkel non tratti con la Turchia
da sola
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Soltanto
Emma Bonino, tra i pochi veri esperti di politica internazionale, ha
detto: “Abbiamo appaltato tutto alla Turchia, anche il nostro diritto
di sapere”. Soltanto Antonio
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Ferrari, fra i giornalisti di prima linea, professionale, ha scritto
subito sul colpo di Stato in Turchia (Corriere della Sera): “Non
vedete? È finto”.
Entrambi sono rimasti soli.
Erano le ore in cui, nel cuore dell'Alleanza Atlantica e in un Paese
candidato alla prossima Europa, la notte del 15 luglio stava nascendo,
con armi e danaro forniti dagli Stati Uniti e dall'Europa il grande
Stato islamico.
È del tutto estraneo alle regole democratiche e ai diritti umani, ma
con forte potere economico e di ricatto, che il mondo arabo non era ora
riuscito a fondare, salvo il tentativo del Califfato, che è diventato
solo un cartello di terrorismo free lance.
Ciò che è avvenuto (e non è avvenuto) la notte del 15 luglio 2016, e
che ha cambiato i destini del mondo, certo di questa area del mondo,
non è reversibile.
Non c'é alcuno spazio di normalizzazione senza sottomissio-
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Non ha
insospettito nessuno il fatto che Erdogan tenga anche adesso la sua
folla in piazza (le bandiere erano già pronte a centinaia, prima del
primo carro armato) e non voglia saperne di “tornare alla normalità”?
Perché Erdogan vuole la rabbia della folla contro un numero altissimo
di presunti colpevoli, invece di mettere in scena festa, affetto e
tributo per la sua salvezza e il suo ritorno?
Patetico è anche il suo continuo accusare un vecchio rivale in esilio,
che fino a un momento prima aveva esercitato una influenza forte e nota
(ci dice ogni notizia disponibile al riguardo) in tanti luoghi di
giornalismo e di cultura della Turchia, dove adesso decine di migliaia
di presunti colpevoli vengono arrestati.
Si intravede una serie di trappole, lungo questo percorso. Alcuni le
hanno viste (i deputati dell'opposizione, che già prima del golpe
venivano tenuti sotto accusa di tradimento) e non si sono mossi. Come
hanno fatto altri (generali, alti ufficiali, alti burocrati,
giornalisti importanti) a non vederle?
È possibile anche che ci sia stato un cambio di piani e che alcuni telefoni abbiano squillato e altri no.
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Le
reazioni europee alle ultime vicende turche mettono in luce uno stato
di marasma perfino concettuale nella politica dell'Unione verso il
regime di Ankara.
Particolare sconcerto suscita il fatto che numerose cancellerie
riparino i loro rapporti con il governo Erdogan dietro l'argomento
della sua investitura democratica attraverso il voto popolare.
Presa di posizione pericolosa oltre che sospetta.
Pericolosa perché fondata su una nozione di democrazia alquanto sbrigativa e superficiale.
Sospetta perché ricorda troppo una foglia di fico usata al fine di
coprire l'imbelle acquiescenza con la quale dalle capitali europee si è
seguito finora l'imbarbarimento liberticida della politica turca.
Certo che un'Europa, gelosa dei suoi valori, mai potrebbe schierarsi a sostegno di un golpe militare, né in Turchia né altrove.
Ma è altrettanto vero che questa stessa Europa quei valori li aveva già
traditi nei rapporti con Erdogan ben prima della comparsa dei carri
armati nelle vie di Istanbul.
E ora fa davvero specie che alcuni governi si siano come svegliati
all'improvviso — e solo quando Erdogan ha minacciato il ritorno alla
pena di morte — per proclamare che un tale passo farebbe cadere ogni
possibilità di ingresso della Turchia nell'Unione.
Ma come: la repressione delle libertà d'informazione, la carcerazione
degli oppositori, la persecuzione della minoranza curda non erano forse
già segnali più che clamorosi di una deriva autoritaria senza freni?
Scoprire adesso — dinanzi alle più violente epurazioni in corso — il dispotismo del regime di
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-ne (o
senza il ritiro di Erdo- -gan). Questa è sempre stata la
terribile alterna tiva da quando l'estre mismo islamico, trave -stito
da religio ne, ha comincia to a incarnarsi in partiti, eserciti e Stati.
L'incubo consiste adesso nella inaugurazione, aperta e improvvisa, nel mezzo di Paesi le
gati fra loro da
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una
alleanza stretta e difficile da sciogliere, di un regime ostentatamente
crudele che crede nel sangue, sul modello diSaddam Hussein e di
Muhammar Gheddafi.
Il primo colpo, la fuga di Erdogan per due ore, e la vendetta immensa e
ben preparata del suo ritorno, è stato assestato con esibizionismo
selvaggio.
Il nuovo Erdogan, dopo il “golpe” (golpe breve e ignoto, che ci è stato
raccontato come “il tentativo fallito di uno Stato parallelo”) lavora,
in assoluto isolamento, alla creazione di un mondo repellente a tutto
ciò che, in modo più o meno coerente, ha legato per decenni la Turchia
alla parte del mondo con cui ha convissuto.
Dunque non c'è speranza e non c'è ritorno.
Perché allora questo silenzio, che va da Obama alla signora May, nuova
leader inglese, dalle democrazie del Nord al Portogallo e alla Spagna,
e include una prudentissima Italia?
Anche i media non sono scatenati.
Se possono tacere tacciono, altrimenti l'uno gira la notizia di agenzia dell'altro e i commentatori si astengono o frenano.
La cosa più sicura e la meno discussa è il grido perduto di Antonio Ferrari: “Non vedete che è tutto finto”?
La sola verità disponibile sta nelle parole della Bonino: “Abbiamo ceduto alla Turchia persino le vite dei profughi”.
Purtroppo ha ragione Erdogan quando dice, con tono debitamente offeso e
offensivo: “Nessuno può darci lezioni di diritti umani”.
È vero. Nessuno lo fa e nessuno ci prova.
Corpi nudi ammucchiati a centinaia, con le mani legate, gettati per
terra in modo che non possano muoversi da posizioni umilianti e
impossibili, esibiti apposta per dire alto e chiaro che non c'è
ritorno, sono il camion impazzito di Erdogan che attraversa cancellerie
e parlamenti del mondo senza incontrare nessuno che lo fermi.
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Erdogan è malinconica prova di ipocrisia politica mista a stupidità.
Come mostra proprio il lunare dibattito sull'intangibile patente di democrazia che nascerebbe dal consenso elettorale.
Questa Europa sembra avere smarrito perfino la dura lezione delle sue stesse vicende storiche.
Adolf Hitler non è entrato armi in pugno in quel Reichstag che poi ha fatto bruciare, ma in forza di una larga messe di voti.
Ed è diventato capo dello Stato trionfando in un ampio plebiscito popolare.
Un po' di memoria, insomma: oggi come allora, la nozione di Stato
democratico implica parecchi requisiti in più rispetto alla sola
investitura delle urne.
Purtroppo si sa fin troppo bene chi e per che cosa ha trascinato l'Unione europea in questa disfatta morale sul fronte turco.
Si tratta, in particolare, della scelta della cancelliera Merkel di
imbastire con Erdogan un disonorevole contratto d'affitto di essere
umani per contenere un flusso di migranti che rischiava di esporla in
casa propria a sgraditi contraccolpi elettorali.
Non è la prima volta che le iniziative di Berlino creano seri imbarazzi
all'Europa: già era successo con i micidiali ritardi imposti alla
soluzione della crisi greca.
E perfino ora, dopo il caso Turchia, Frau Merkel vorrebbe essere sempre
lei a decidere modi e tempi dei negoziati con Londra sulla Brexit.
È ora e tempo che qualcuno parli forte e chiaro per spiegare alla
cancelliera che il suo continuo porre l'Europa dinanzi a fatti compiuti
ha provocato soltanto guai peggiori per tutti.
E, dato che Matteo Renzi guida la forza politica più votata al
Parlamento di Strasburgo, tocca a lui per primo pronunciare un ormai
indispensabile: “Adesso basta”.
Il prossimo incontro a Ventotene sarebbe l'occasione perfetta.
Massimo Riva
24 luglio 2016
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Ma
il fatto che un numero così alto di “colpevoli” venga perseguito e
perseguitato fa pensare a una preparazione preventiva e accurata.
Liste come quelle dei nemici della “democrazia” di Erdogan non si improvvisano.
Dunque una sola cosa è certa: qualunque cosa sia successa nella nuova
Repubblica islamica di Turchia, tutto quello che ci dicono della sua
nascita, tra inganno e violenza, non è vero.
Furio Colombo
24 luglio 2016
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