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La serie di attentati che sta colpendo i Paesi del Vecchio Continente ancor di più rafforza lo stato d'animo
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di sfiducia e di angoscia che si è insediato da tempo nelle opinioni
pubbliche europee. Ognuno di quegli attentati consolida l'idea che
bisogna «fare qualcosa», qualcosa di realmente efficace, reagire in
qualche modo. Ma ogni volta è giocoforza constatare che nessuno sa
indicare veramente che cosa si possa fare, e come. Tanto meno lo sanno
i governi e i partiti che li sostengono, i quali appaiono sempre più
destinati a perdere in tal modo autorevolezza e consensi.
Cresce così ogni giorno quel sentire venato di angoscia e nutrito
dall'impotenza che ormai si sente spirare un po' dappertutto in Europa.
Il sentimento della nostra decadenza, di una vera e propria crisi di
civiltà. Nutrito potentemente dall'idea — o forse bisognerebbe dire
dalla consapevolezza? — che una lunga fase felice della nostra storia
si è chiusa per sempre e che ne è iniziata una di segno contrario:
caratterizzata dalla dissoluzione dei precedenti equilibri mondiali
favorevoli, dalla progressiva perdita da parte delle nostre società di
una messe vastissima di opportunità preziose, dal subitaneo tramonto di
convinzioni, di abitudini, di modelli di relazioni interpersonali più
che degni e per l'innanzi radicatissimi.
Sempre più andiamo familiarizzandoci con l'idea di vivere un'epoca di
sconfitta e di ripiegamento, di declino. Che non a caso è innanzi tutto
un inquietante declino demografico:
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Penso
che noi (europei e italiani) non abbiamo ancora compreso che non
siamo più l'alfa e l'omega della civiltà e dello sviluppo economico e
sociale. Non abbiamo ancora compreso cosa significhi avere in tasca un
cellulare prodotto in Cina, avere in casa una lavatrice prodotta in
India. sapere che gran parte dei palazzi che svettano nelle
nostre metropoli sono di proprietà di fondi sovrani di qualche nazione
araba che finanzia il terrorismo. Ed alle quali noi vendiamo armi ben
contenti perchè così i nostri operai lavorano e il nostro PIL cresce.
Non abbiamo ancora realizzato che le armi di Erdogan con le quali
sta virando il mproprio paese nell'islamismo le abbiamo prodotte noi e
gliele abbiamo vendute noi.
Non ci rendiamo conto che quei popoli "sottosviluppati" ci vedono in
diretta sul cellulare o sulle tv e sognano chiedono pretendono la
nostra democrazia benessere welfare. Magari pure qualcosa di più:
essere trattati finalmente da pari a pari.
La differenza tra "noi e loro" sta nel fatto che "loro" hanno già
realizzato di essere come noi mentre noi non lo abbiamo ancora
realizzato.
Poi c'é il fattore demografico.
La nostra popolazione anziana difende coi denti i risparmi accantonati
e sogna almeno un'inflazione del 2% per pagarsi le pensioni e nel
contempo "se ne frega" che 1/3 dei giovani non abbiano ne un lavoro ne
una famiglia e forse non ce l'avranno mai.
Chiusa nel suo egoismo la popolazione dell'Occidente misura il suo
futuro nel perimetro del salotto, del dentista, del medico, nella
vecchia berlina e non s'é accorta che proprio quelli che ha eletto con
la sua democrazia malata ha diviso l'Europa tra una parte che corre e
s'arricchisce vieppiù e loro che -con parecchi soldi in banca-
annaspano coi tichet e il prezzo della benzina .
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La pervasività dei media elettronici, con il conseguente declino della
scrittura; la perdita di capacità formativa da parte dell'istruzione
scolastica, non più custode come un tempo di alcun legame con il
passato; infine la secolarizzazione, intrecciata a un sempre crescente
individualismo frantumatore di ogni legame a cominciare da quello
familiare: sono questi fattori che disegnano un orizzonte in cui una
parte non piccola (forse maggioritaria) della popolazione
dell'Occidente euro-americano fatica sempre di più a riconoscersi.
Accade, tra l'altro, che una popolazione sempre più composta di anziani
— quindi per forza di cose legata a costumi antichi — sia sospinta
invece, inesorabilmente quanto paradossalmente, verso abitudini,
valori, modelli di rapporti umani e stili di vita nuovi, nuovissimi
(penso ad esempio a quanto sta accadendo nella sfera della vita
sessuale) per essa inediti ed estranei, i quali richiedono un
adattamento e un abbandono del proprio retaggio personale spesso
penosi, non poche volte impossibili. Chi può dire il senso di frattura,
di spaesamento, che tutto questo produce? Il malessere che scava come
un tarlo nello spirito pubblico, e magari è destinato a toccare livelli
esplosivi quando vi si aggiunge con il fenomeno dell'immigrazione
l'arrivo di genti sconosciute? È un senso di frattura rispetto al
passato, di spaesamento, di non essere più padroni in casa propria, che
confluisce e a propria volta alimenta l'impressione di perdita, di
declino e di crisi di cui dicevo prima. Come se la storia, dopo avere
per tanto tempo lavorato a nostro favore, lavorasse ormai contro di noi.
Nasce da qui, da questi stati d'animo, la difficoltà psicologica di
credere nel futuro, di aprirsi ad esso, di cominciare a costruirne uno.
Ci sentiamo delle società vecchie, prive di energia. Alle quali proprio
mentre questo sentimento di sfiducia nell'avvenire andava prendendo
piede e divenendo dominante, dall'alto, dalle classi dirigenti,
paradossalmente non ci sono venuti altro in tutti questi anni che
inviti a cambiare. Dal suono sempre più insulso nella loro astrattezza,
dal momento che erano proprio i cambiamenti fin lì intervenuti a fare
paura, a essere visti con crescente inquietudine.
È in questo modo che si è creata in molti l'idea di un incombente
destino di decadenza, di una crisi di civiltà. Un'idea alla quale ha
dato un contributo decisivo — io credo, e lo dico sapendo di dire
qualcosa che a certe orecchie suona blasfemo — il constatare da parte
della gente comune, dell'uomo della strada, come stessero
progressivamente scomparendo dall'orizzonte del pensiero politico
dell'Occidente e dalla sua azione concreta, ambiti ideali, dimensioni e
modalità pratiche che non solo ne avevano caratterizzato la secolare
esistenza, ma ne avevano altresì assicurato un successo così rilevante.
Fatti oggetto a vario titolo, negli ultimi trent'anni (ma naturalmente
tutto è cominciato assai prima), di una delegittimazione
ideologico-culturale sempre più penetrante, l'impiego della forza, la
dimensione dello Stato, e il Cristianesimo, più in generale il nesso
religione-società, sono stati messi più o meno del tutto fuori gioco.
In certo senso sono virtualmente — e agli occhi di molti «semplici»,
sospetto, inspiegabilmente — scomparsi dall'orizzonte sia pubblico che
privato. È stata per gran parte l'opera di élite superficialmente
progressiste, di debolissima cultura storica e politica, succubi delle
mode, le quali hanno così creato un vuoto culturale e sociale enorme.
Quel vuoto che da tempo forze torbidamente eterogenee hanno facilità a
cercare di riempire con le loro ricette il più delle volte improbabili
ma dalla presa emotiva potenzialmente sempre più forte.
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-te
venendo meno l'ultima parte che ancora
resisteva della vecchia sistemazione territoriale della Pace di
Versailles — quella voluta a suo tempo dai franco-inglesi e poi
ereditata dagli americani — ratificando un vuoto di potere mondiale,
non proprio a noi propizio. Che ha il suo simbolo nelle ritirate e
nelle sconfitte strategiche Usa dell'ultimo quindicennio.
In tutt'altro campo, un trentennio di crescita debole e di salari
stagnanti in Europa e non solo, accompagnati da una prolungata
contrazione dovunque della spesa sociale, ci stanno conducendo a
dubitare sempre di più dell'antico sogno democratico. Ritornano
massicciamente tra noi antiche povertà e antiche diseguaglianze,
fratture e rancori antichi. Mentre i sistemi politici delle nostre
società appaiono sconvolti dalle conseguenze di quanto ho appena detto
e dagli effetti della globalizzazione pseudoliberista: con i poveri, le
vittime del disagio sociale, e parti massicce della classe operaia che
votano per la Destra, e invece la Sinistra che sempre più si qualifica
come il partito delle élite mondializzate, colte, moderniste e agiate.
Anche il quadro ideale cui eravamo abituati, l'insieme dei valori e
delle istituzioni deputati a incarnarli e preservarli, gli orizzonti
culturali che ci erano consueti, appaiono sconvolti e in buona parte
annichiliti.
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Stiamo diventando
più poveri proprio per via di quel cellulare prodotto in Cina e della
lavatrice prodotta in india ma anche perchè facciamo un figlio in meno
ogni cinque dei francesi.
Non siamo più quelli che hanno in mano il pallino del futuro ma siamo
quelli che saranno per sempre in balia dei migranti econo mici e
libertari di tutto il mondo se non smettiamo di produrre e vendere
armi in cambio degli enormi consu mi energetici di cui siamo
famelici.
Non é moralismo. Non dimentichiamo cosa ci dicevano i nostri genitori
quando nasceva un fratellino: ti accor ciamo la camicia. Per farne una
per il nuovo arrivato.
Ecco: il nostro domani sarà sicura mente anco ra com'era il nostro ieri che abbiamo troppo presto dimenticato.
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