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NUMERO 348

















































se le ricette nazionali non funzionano forse é il caso di pensare a soluzioni  nel contesto europeo piuttosto che preoccuparsi delle dimensioni dei baccelli in scatola.















Davanti a questi numeri forse occorre alzare lo sguardo oltre confine non per consolarci ma per cercare di vedere qualche soluzione. Per esempio come interpretare «complessivamente» il fatto che l’occupazuione cresca negli ultra 50enni? Oltre all’»effetto Fornero» qualcuno lo attribuisce al fatto che le aziende col jobs act hanno  «fatto pulizia» al proprio interno della manodopera meno gradita e vantaggio della più obbediente  lavoratrice meno assenteista. Ma qualcuno legge questo come il riflesso di un sistema imprese arretrato e poco propenso all’innovazione dove trovano spazio addetti meno  professionalizzati e tendenzialmente meno costosi anche se anziani. Non si parla mai della scarsa professionalità ne fare «l’imprenditore» però...
Adesso circolano  due idee. Una di ridurre in modo permanente il cuneo fiscale per i giovani assunti. L’altra per tutti. Oltre alla non indifferente questione del costo economico di queste scelte evidente che lì’operazione generalizzata conferma e mantiene la strutturale arretratezza del sistema imprese italiano anzichè stimolarne la modernizzazione.
I ragionamenti da afre sarebbero quindi molti e lunghissimi ma forse alzando lo sguardo verso l’alto davanti a una crisi economica che dura da dieci anni occorre cercare soluzioni altre e altrove.



Ricordo sempre questo esempio raccontato da mio padre che militava nelle file del Partito d’Azione durante il fascismo e nel secondo dopoguerra. Abitava in un grosso comune della Valle Seriana dove era insediata una fabbrica di gru da montare sui mezzi di trasporto. In quanto tale era una fabbrica di prodotti bellici ed era nel mirino degli inglesi per bombardarla. Le gru erano montate anche sui  vagoni ferroviari e la fabbrica era quindi collegata con la ferrovia della valle, con accesso direttamente alla stazione del  suo paese. Gli inglesi  avevano tentato di bombardare più volte la fabbrica ma per incapacità non avevano fatto danni tranne che... erano riusciti a distruggere la stazioncina e gli spazi esterni: un giardino parte publico e parte privato. Arrivata la Liberazione venne nominato dalle truppe occupanti un nuovo sindaco, un bravo avvocato vicino alle Fiamme Verdi. Intanto cominciavano a tornare in paese sia i militari che erano sbandati in mezza Europa



Economia: più posti agli over 50 e fra i giovani calano i senza lavoro
Disoccupazione all’11,5% e fra gli under 25 al 35,2 % ma sulla frenata ha un peso l’aumento degli inattivi

Rosaria  Amato / La Repubblica

A febbraio il tasso di occupazione in Italia è arrivato al 57,5%: 22.862 000 persone con un posto e uno stipendio. La percentuale è praticamente la stessa del 2004 (57,4) anno in cui cominciano le serie storiche dell’Istat sulle variazioni mensili del mercato del lavoro: in 13 anni la popolazione italiana è passata da 57.888.245 unità a 60.665.551, si sono avvicendati governi, sono state approvate riforme delle pensioni e dei contratti. Eppure il tasso di occupazione, che misura il rapporto tra gli occupati e la popolazione di riferimento (in questo caso compresa tra i 15 e i 64 anni) è rimasto inchiodato. È cambiata però la composizione: nel febbraio 2004 il tasso di occupazione femminile era al 45,3% e quello maschile al 69,7%. Nel febbraio 2017 quello femminile è passato al 48,4% e quello maschile al 66,7%: tre punti in più di là e tre in meno di qua. Un’analisi che non tiene conto, certo, di tutti gli altri indicatori che misurano le variazioni del mercato: il tasso di disoccupazione, le variazioni assolute, i contratti stipulati. L’offerta è anzi talmente vasta che ogni volta che vengono pubblicati gli aggiornamenti, ognuno si “sceglie” quelli che preferisce: il governo i dati dai quali emerge un miglioramento, le opposizioni quelli dai quali emerge un peggioramento. Sindacati, associazioni imprenditoriali e studiosi in genere














































































































































































































































































































































































































































































Lo confessiamo. La «madonnina» che appare in mezzo a questa aiuola davanti alle Poste di Curno l’abbiamo messa noi con un banale copia&incolla. Incollata apposta perché un lavoro così benfatto ed elegante eseguito da un privato dentro una aiuola pubblica, merita un «quid» supplementare di beltà e devozione e conoscenza. In tempi così neri.

In alto: Alfred Eisenstaedt, fabbrica di spaghetti a Napoli 1938
Prima di tutto occorre una riorganizzazione del sistema a livello europeo: stessa tassazione, medesima socialità, stesso livello di evasione elusione fiscale, stesso tenore di vita da  raggiungere entro un lasso di tempo ragionevole. Cinque anni.
Le imprese si  accorpano mentre gli stati restano derelitti e divisi: non vai da nessuna parte da solo.
Secondo l’Europa deve dare degli indirizzi scalari sugli investimenti: settore per settore decidere quali aiutare per svilupparli e quali lasciarli in totale balia del mercato.
Terzo ridurre i costi inutili alle famiglie nella burocrazia energia trasporti comunicazioni beni comuni (acqua ambiente ). Oggi sono eccessivi i carichi alle famiglie rispetto al risultato.
Ultimo decidere le relazioni tra l’Europa e gli stati in via di sviluppo, nel senso che se non li aiutiamo a crescere nemmeno il nostro sistema industriale può resistere.
Meno evasione fiscale (interna internazionale finanziaria) e più Europa quindi sono gli obiettivi complessivamente più sensati oggi, smettendo l’inutile enfasi sull’immigrazione.







e dai boschi uscivano anche quelli che s’erano nascosti per evitare l’internamento o la morte. In una delle prime riunioni del comitato che  governava il paese il sindaco decise di far lavorare un po’ di gente per rimettere a posto la stazione, rifare la strada, i giardini  adiacenti quello pubblico e anche quello privato. I contadini vennero invitati a dare  qualche albero  tolto dai loro boschi per abbellire di nuovo i giardini dove le antiche alberature erano state distrutte dai bombardamenti.
Ricordo le parole di mio padre. «Il sindaco  presentando l’idea di questi lavori concluse dicendo: dopo tutto quello che abbiamo visto e subito di brutto durante la guerra, adesso  facciamo questo paese anche un po’ più bello di prima. La bellezza ci aiuterà ad essere anche più buoni».
Non solo perché sono state parole di quel sindaco pure condivise da mio padre, ma credo che davvero nei momenti più difficili, la bellezza ci aiuta a vedere  e sperare nel futuro.



si posizionano in mezzo, con commenti che però tendono di solito più che allo scetticismo che all’entusiasmo.

Questo tipo di andamento non si riscontra solo nelle serie storiche, si conferma anche negli ultimi mesi. Tanto che il comunicato Istat sui dati di febbraio diffuso ieri non si apre con il tasso di disoccupazione che scende, attestandosi all’11,5%, lo 0,3% in meno rispetto a gennaio, e neanche sul tasso giovanile, che si riduce di 1,7 punti arrivando al 35,2%, livello che ci riporta ai minimi dell’agosto 2012. Invece si scrive in apertura che «a febbraio 2016 la stima degli occupati è stabile rispetto a gennaio, mantenendosi su livelli prossimi a quelli dei quattro mesi precedenti». E allora se gli occupati rimangono stabili come fa a calare la disoccupazione? Tra gennaio e febbraio ci sono 83.000 persone in meno in cerca di lavoro, e 51.000 inattivi in più. Il governo è ottimista: «Cala la disoccupazione, anche tra i giovani. L’impegno per le riforme ottiene risultati. E continua», twitta il premier Gentiloni, seguito dall’ex premier Renzi che esalta gli effetti positivi del Jobs Act. Mentre Brunetta (capogruppo FI alla Camera) accusa il governo di fallimento, e altri esponenti politici, da Fratelli d’Italia a Mdp, di mistificazione. Nessuno commenta dati Eurostat, dai quali emerge una distanza notevole dell’Italia dall’Europa: il tasso di disoccupazione dell’Eurozona è al 9,5%, la media Ue è all’8%.
Anche sul calo della disoccupazione giovanile c’è chi solleva dubbi: «Ultimi 3 mesi +86mila giovani inattivi e -86mila giovani disoccupati. Hanno ricominciato a studiare a febbraio o hanno smesso di cercare lavoro?», twitta Francesco Seghezzi, del centro studi Adapt. Su base annua gli occupati invece crescono davvero, 294.000, ma l’aumento si concentra tra gli ultracinquantenni, bloccati dalle riforme pensionistiche. Le altre fasce di età calano, anche se si tratta di un effetto in parte dovuto alle variazioni demografiche, che vedono un aumento degli anziani a discapito dei giovani. «Galleggiamo. – commenta Guglielmo Loy, segretario confederale Uil – I dati sono implacabili, con questo tasso di crescita non possono aumentare i posti di lavoro».