NUMERO 278 - PAGINA 1 - MEDIASET & VIVENDI : MEGLIO SI METTANO ASSIEME








































































Mediaset News. Adesso vallo a capire se c'è una dose, sia pur minima, di gioco delle parti tra Fininvest e Bollorè nello scontro per il controllo di Mediaset o se è guerra vera. L'impressione, però, è che il colosso televisivo italiano sia una specie di gorilla nella nebbia, costretto sicuramente a replicare in qualche modo alle non-preannunciate mosse del gruppo Vivendi per arginarle ma privo di una strategia lucida per farlo, che quindi può solo appellarsi alla magistratura ordinaria e all'Autorità per le garanzie nelle telecomuni cazioni, cercando al di fuori del mercato quelle difese che ormai in Borsa non può più trovare. Da quando Bollorè ha gettato la maschera e ufficializzato la sua strisciante scalata a Mediaset, il vertice dell'azienda controllata dalla famiglia Berlusconi non ha fatto altro che appellarsi all'Agcom denunciando che il gruppo Vivendi, già socio di controllo di Telecom Italia, se acquisisse il controllo di Mediaset violerebbe l'articolo 43 del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici che regola le posizioni dominanti nel “sistema integrato delle comunicazioni” (in sigla: Sic) e proibisce a chi abbia più del 40% dei ricavi del mercato nazionale in un settore di acquisire ricavi superiori al 10% dell'intero “Sic”. Ma siamo ai cavilli da legulei.

I fatti della Borsa dicono una cosa diversa. Con il 25,7% del capitale rastrellato in questi giorni, Vivendi di fatto può bloccare qualunque maggioranza che dovesse costituirsi in un'assemblea dei soci straordinaria, dove si delibera con i due terzi del capitale rappresentato. Quel 40% risicato cui può arrivare la Fininvest aggregando al proprio pacchetto azionario i voti di qualche socio istituzionale amico è “bloccatole” con un semplice 21%. E anzi Fininvest deve stare bene attenta a non dar l'impressione alla Consob di aver chiamato a raccolta soci amici, per non incorrere nel rischio di vedersi intimare un'Opa per azione di concerto...

Peraltro, si sa: senza gover nare l'assemblea straor dinaria non si può gestire un'azienda! E quindi effet tivamente Fininvest è sotto scacco.
Dunque la trattativa è fatale: per giungere a uno dei molti accordi possibili. Ma al di là delle espressioni durissime usate ieri dal fondatore di Mediaset Silvio Berlusconi - “da Vivendi ricatto ed estorsione” -, la parte italiana dovrà combattere o negoziare con una mano legata dietro la schiena. A legarle la mano, quattro fattori: management, imprenditorialità, sistema bancario, leadership politica.

II management di Mediaset sa far bene il suo mestiere, ma è stato sempre in qualche modo “coperto” dalla presenza in azienda dell'imprenditore di controllo. Solo che quando costui coincideva con la figura del fondatore, nel bene o nel male le cose ricevevano una conduzione diretta, verticistica e agile; da quando la governance è stata “tipicizzata” dall'uscita di sce na di Berlusconi, fago citato dalla politica, e dalla sua sostituzione da parte del figlio Pier Silvio, gli equilibri consolidati sono saltati.

Intendiamoci: fino all'avven tura di Mediaset Premunì esclusa, Pier Silvio ha fatto bene, ha anche inventato prodotti nuovi e si è fatto amare dai suoi; ma dopo i brutti risultati della pay-tv di casa tutto ha iniziato ad andar peggio. Oltretutto proprio dal bisogno di “accasare” Premium è nata la trattativa con Bollorè poi così mala mente degenerata. Irrilevante valutare le pur indubbie capacità degli altri manager: se il capo c'è, ed è fuori fase,  tutto è più complicato.
A mancare è infatti l'antica imprenditorialità di Berlusconi padre, quella che gli ha permesso di costruire oggettivamente dal nulla un impero da 50 mila dipendenti. Quella che lo ha spinto a scendere in politica
-sbalordendo tutti e vincendo, e segnando il Paese per vent’anni - per salvare l'azien da dai debiti e dalla morsa delle inchieste giudiziarie, più o meno speciosamente con dotte.
Ma oggi chi potrà mai fare lo stesso?



Le banche: in questi frangenti, possono giocare un molo dirimente, a fianco di uno o dell'altro dei duellanti. Solo che la Francia può schierare in campo - peraltro attivissime anche in Italia - delle portaerei come il Credit Agricole, la Societé Generale, la Bnp Paribas; l'Italia, di banche forti e autonome, ha soltanto Intesa Sanpaolo, non certo vicina alla famiglia Berlusconi, mentre vede ormai presa in tutt'altre faccende (e forse in un'orbita a sua volta francese) Unicredit, in crisi nera il Montepaschi e assente Mediobanca, quella che Cesare Geronzi in una recente intervista ha definito ormai come “una media banca”.
Peraltro, per quel che vale (cioè come mero veicolo per influenzare le Generali) anche Mediobanca è influenzata, eccome, da Bollorè, che vi controlla l'8%, a un incollatura dal primo socio Unicredit. Infine la politica. Nel marasma di questi giorni, con Telecom ormai francese da mesi, lo stesso Bollorè all'attacco su Mediaset. Axa in odore di scalata alle Generali e Societé Generale troppo vicina a Unicredit, se



Fidarsi del galletto francese? Meglio si che no. Fin dal primo post che abbiamo messo in tema abbiamo sostenuto che Mediaset non era certamente un'impresa strategica per l'Italia ma era piuttosto una grande impresa da collegare con un altrettanto grande gruppo europeo -che includesse anche le linee di trasmissione-  prima di tutto per inserire la produzione italiana in un mercato più vasto e secondo perchè le linee di trasmissione del segnale -benché sarebbe meglio stessero in mano pubblica- é utile in questa prima fase siano molteplici e in mano privata.
La lettera di Puyfontaine mira in primis a creare quel clima politico che la recente e rapida scalata di Vivendi ha operato versus Mediaset si attenui  fino a spegnersi perchè così come sarebbe insensato essere costretti a un'OPA (entrambi lo sarebbe ro)inutilmente costo sa altret tanto insensata con tinuare a litigare o bloccarsi a vicenda.





Caro Direttore,
In questi ultimi mesi sono state scritte molte cose sul gruppo Vivendi. Alcune esatte altre meno, ma tutte hanno contribuito ad alimentare un 
acceso dibattito in Italia. In qualità di Ceo di Vivendi, ho deciso di intervenire in prima persona per ristabilire qualche verità sull'azione positiva svolta da Vivendi in Italia. Azione che in alcuni casi è stata fraintesa o male interpretata. Tanto che alcuni hanno sintetizzato i nostri sforzi come opachi, speculativi o dettati da sete di conquista, suscitando in questo modo ostilità o sfiducia.
E' esattamente il contrario. Siamo in Italia per realizzare un progetto ambizioso, di lungo termine, costruito su ciò che l'Italia e la Francia hanno in comune: la vicinanza della loro tradizione latina. L'Italia, poi, ha molto da offrire cultura, storia, esperienza, talento, professiona lità, creatività, bellezza.



È importante sdrammatizzare i toni del dibattito ed evitare inutili caricature. Nel 2015, la Francia ha investito in Italia 46 miliardi di euro. A sua volta, la Francia è stata il principale destinatario degli investimenti italiani. Un trend positivo, che dovrebbe essere valutato come un arricchimento e un'opportunità di crescita per tutti.
Vivendi ha dichiarato fin dall'inizio qual è il suo progetto: costruire e dar vita a un grande polo dell'Europa meridionale, che prevede di creare una ampia convergenza tra contenuti e telecomunicazioni. Francia, Italia e Spagna sono i tre principali Paesi da cui partire. Rafforzandosi in Sud Europa, Vivendi sta scommettendo sulla cultura europea per far fronte alla concorrenza sempre più agguerrita dei colossi anglosassoni, americani e cinesi.
È in questa logica e per centrare questi obiettivi che Vivendi ha investito negli ultimi due anni in Italia, prima in Telecom Italia e successivamente in Mediaset. Non è stato un percorso facile. Tutt'altro. Ma fino ad ora la nostra strategia, la nostra esperienza, le sinergie e le energie profuse hanno pagato, con risultati positivi per il mercato italiano delle Tlc e per i suoi utenti.
In effetti, dopo una fase difficile, oggi Telecom Italia è sulla buona strada. Merito del suo presidente Giuseppe Recchi e del nuovo amministratore delegato Flavio Cattaneo che hanno saputo voltare pagina dotando l'azienda di una nuova struttura organizzativa e mettendo a punto una missione al passo coi tempi e con le sfide che si profilano all'orizzonte.
Si tratta di una strategia che è stata messa in campo di recente, ma che già in questi mesi, e ancor più nei prossimi darà degli ottimi frutti. Con beneficio di tutti i cittadini italiani che potranno usufruire di una infrastruttura sempre più moderna ed efficiente, in particolare attraverso gli investimenti dedicati alla banda larga.
Vivendi ha scelto di puntare sui contenuti e sulla convergenza con gli operatori di telecomunicazioni per creare valore. Il nostro gruppo è uno dei leader mondiali nei contenuti e continua a rafforzarsi con investimenti mirati in aziende di punta del settore. Si tratta di un gruppo diversificato -pay tv con Canal Plus, musica con Universal Music Group, film e serie con StudioCanal, videogames con Gameloft - presente in tutto il mondo e con un giro d'affari di circa 11 miliardi euro.
E' per questo che siamo interessati a un'alleanza con Mediaset, un'azienda con una forte notorietà, ricca di professionalità e di potenziali sinergie con Vivendi. Basti pensare quali risultati si potrebbero raggiungere se Francia e Italia collaborassero nel campo del cinema e delle serie televisive. Nonostante le difficoltà per trovare un terreno comune con Mediaset, non abbiamo abbandonato il nostro progetto iniziale finalizzato alla creazione di un grande gruppo dell'Europa meridionale in cui convergano contenuti e tlc, di cui Mediaset rimane, secondo noi, uno dei pilastri. È per questo, che nel novembre 2016, abbiamo deciso di investire direttamente in Mediaset, diventandone il secondo azionista.
Noi siamo, ci tengo a ribadirlo, soci industriali che desiderano apportare il loro contributo al progetto paneuropeo che abbiamo deciso di sviluppare.

La nostra azione è di lungo termine ed è trasparente. Questo, il senso delle mie dichiarazioni al Governo italiano e alla Consob. Non voglio qui entrare nel merito delle voci e delle indiscrezioni di mercato che circolano in continuazione. Desidero però ribadire il mio totale impegno nel difendere la validità del nostro progetto e nel ristabilire fiducia e serenità. Sono convinto che tutte le parti interessate ne trarranno dei benefici, l'Italia in primis. Questi sono i fatti e questi sono i nostri progetti.

Arnaud De Puyfontaine
Ceo Vivendi
Lettera a LaRepubblica
13 gennaio 2017







































































































































































































































































































































































































































































ne sentono di tutti i colori.
Come la tesi di chi sostiene che sia stato proprio Matteo Renzi ad “apri re” alle mi re francesi nel vertice bila terale del giugno scorso con il presi dente Hollan de.
Ma non c'è gran che da crederci. Improbabile che Renzi l'abbia fatto - va bene il cinismo, ma insomma... -, inverosimile che il debole Hollande pos sa aver rappre sentato gli interessi “allar gati” delle sue aziende fino a questo punto.
Vera, piuttosto, mi'altra osservazione: che a Renzi e al Pd un Ber lusconi de bole fa gioco, per ché è un Berlusconi più sollecito nel sostenere la linea renziana in Parlamento - per ottenerne in cambio sup porto -di quanto sarebbe un
leader vincente. E intanto gli os servatori finan ziari calcolano che lo scontro degeneri in un'OPA vera e propria: volendo























































































































































































































































































































































































































































































































































































































Bollore dopo aver acquisito Mediaset potrebbe poi cedere a Orange (la ex France Telecom) la propria quota in Telecom Italia, superando così la barriera del Sic.
O magari diluire a sua volta nel capitale di una maxi-conglomerata Telecom-Mediaset- Vivendi... Meglio avere il 10% di tanto che il 30% di qualcosa che magari cosi bene non va.
In fondo, la confluenza tra Mediaset e Telecom l'aveva discussa nel '99 addirittura l'allora ministro deH'Industria Pier Luigi Bereani con l'amministratore delegato di Mediaset Ubaldo Livolsi. Non se ne fece nulla e su Telecom calò l'era Colaninno. E si sa: la storia si può sempre ripetere...

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In questo momento meglio destinare le risorse ad investimenti sui prodotti nuovi da sviluppare (dove Mediaset avrebbe  tanto da dire) e sulle linee di trasmissione.
Le risorse finanziarie per le OPA non rendono mai tanto come i nuovi prodotti e il miglioramento dell'accessi bilità della proposta.

Semmai oggi il problema  sta nella RAI che non ha linee proprie tranne l'etere. Un'alleanza con scambio di azioni della RAI con un partner delle trasmissioni sarebbe una scelta opportuna sia dal punto di vista dell'offerta (e quindi del ritorno: il "magazzino" RAI e la sua capacità di inventare prodotti é decisamente superiore a Mediaset) che del profitto e del suo riequilibrio.
Ma l'idea di una RAI in buona parte privatizzata pochi o nessuno la vogliono.



















In altre parole, voglio sottolineare che è proprio l'italianità al centro del nostro progetto. In particolare, pensiamo che essa sia una risorsa formidabile per generare crescita sia in Italia, sia in Francia. Ecco perché vogliamo dare più importanza e valore all'italianità delle aziende di cui siamo azionisti, consolidando le loro radici. Un modo per farlo è quello di dare un contesto europeo alla loro azione. Raggiungere una dimensione europea è un'opportunità unica per cogliere al meglio le sfide che offre un mondo ormai globalizzato.
Una delle caratteristiche riconosciute all'Italia in tutto il mondo è la sua elevata capacità imprenditoriale. Proprio per questo vogliamo fare leva su questo atout per rafforzare gli scambi tra i nostri due Paesi, la cui vicinanza è una realtà e rappresenta un significativo potenziale da valorizzare.
Il nostro approccio non è per nulla opportunistico ma finalizzato a rafforzare l'unicità, l'eccellenza e la competenza delle aziende italiane, combinandole con le peculiarità di altri Paesi europei, come la Francia o la Spagna. Si tratta di un progetto ambizioso ed equilibrato, che però ha bisogno di adesione e sostegno. I miei recenti contatti con il governo italiano, le istituzioni, le autorità di mercato, gli azionisti, i dipendenti, hanno un unico obiettivo: creare quella fiducia indispensabile, per portare avanti con successo un tale progetto. Spesso il confronto è stato acceso, ma io sono sempre stato attento affinché avvenisse in modo trasparente e nel rigoroso rispetto delle leggi e delle regole del mercato.
A questo proposito, mi fa piacere evidenziare e riconoscere le qualità di accoglienza e di ascolto delle istituzioni italiane.