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Mediaset
News. Adesso vallo a capire se c'è una dose, sia pur minima, di gioco
delle parti tra Fininvest e Bollorè nello scontro per il controllo di
Mediaset o se è guerra vera. L'impressione, però, è che il colosso
televisivo italiano sia una specie di gorilla nella nebbia, costretto
sicuramente a replicare in qualche modo alle non-preannunciate mosse
del gruppo Vivendi per arginarle ma privo di una strategia lucida per
farlo, che quindi può solo appellarsi alla magistratura ordinaria e
all'Autorità per le garanzie nelle telecomuni cazioni, cercando al di
fuori del mercato quelle difese che ormai in Borsa non può più trovare.
Da quando Bollorè ha gettato la maschera e ufficializzato la sua
strisciante scalata a Mediaset, il vertice dell'azienda controllata
dalla famiglia Berlusconi non ha fatto altro che appellarsi all'Agcom
denunciando che il gruppo Vivendi, già socio di controllo di Telecom
Italia, se acquisisse il controllo di Mediaset violerebbe l'articolo 43
del Testo Unico dei Servizi di Media Audiovisivi e Radiofonici che
regola le posizioni dominanti nel “sistema integrato delle
comunicazioni” (in sigla: Sic) e proibisce a chi abbia più del 40% dei
ricavi del mercato nazionale in un settore di acquisire ricavi
superiori al 10% dell'intero “Sic”. Ma siamo ai cavilli da legulei.
I fatti della Borsa dicono una cosa diversa. Con il 25,7% del capitale
rastrellato in questi giorni, Vivendi di fatto può bloccare qualunque
maggioranza che dovesse costituirsi in un'assemblea dei soci
straordinaria, dove si delibera con i due terzi del capitale
rappresentato. Quel 40% risicato cui può arrivare la Fininvest
aggregando al proprio pacchetto azionario i voti di qualche socio
istituzionale amico è “bloccatole” con un semplice 21%. E anzi
Fininvest deve stare bene attenta a non dar l'impressione alla Consob
di aver chiamato a raccolta soci amici, per non incorrere nel rischio
di vedersi intimare un'Opa per azione di concerto...
Peraltro, si sa: senza gover nare l'assemblea straor dinaria non si può
gestire un'azienda! E quindi effet tivamente Fininvest è sotto scacco.
Dunque la trattativa è fatale: per giungere a uno dei molti accordi
possibili. Ma al di là delle espressioni durissime usate ieri dal
fondatore di Mediaset Silvio Berlusconi - “da Vivendi ricatto ed
estorsione” -, la parte italiana dovrà combattere o negoziare con una
mano legata dietro la schiena. A legarle la mano, quattro fattori:
management, imprenditorialità, sistema bancario, leadership politica.
II management di Mediaset sa far bene il suo mestiere, ma è stato
sempre in qualche modo “coperto” dalla presenza in azienda
dell'imprenditore di controllo. Solo che quando costui coincideva con
la figura del fondatore, nel bene o nel male le cose ricevevano una
conduzione diretta, verticistica e agile; da quando la governance è
stata “tipicizzata” dall'uscita di sce na di Berlusconi, fago citato
dalla politica, e dalla sua sostituzione da parte del figlio Pier
Silvio, gli equilibri consolidati sono saltati.
Intendiamoci: fino all'avven tura di Mediaset Premunì esclusa,
Pier Silvio ha fatto bene, ha anche inventato prodotti nuovi e si è
fatto amare dai suoi; ma dopo i brutti risultati della pay-tv di casa
tutto ha iniziato ad andar peggio. Oltretutto proprio dal bisogno di
“accasare” Premium è nata la trattativa con Bollorè poi così mala mente
degenerata. Irrilevante valutare le pur indubbie capacità degli altri
manager: se il capo c'è, ed è fuori fase, tutto è più complicato.
A mancare è infatti l'antica imprenditorialità di Berlusconi padre,
quella che gli ha permesso di costruire oggettivamente dal nulla un
impero da 50 mila dipendenti. Quella che lo ha spinto a scendere in
politica
-sbalordendo tutti e vincendo, e segnando il Paese per vent’anni - per
salvare l'azien da dai debiti e dalla morsa delle inchieste
giudiziarie, più o meno speciosamente con dotte.
Ma oggi chi potrà mai fare lo stesso?
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Le
banche: in questi frangenti, possono giocare un molo dirimente, a
fianco di uno o dell'altro dei duellanti. Solo che la Francia può
schierare in campo - peraltro attivissime anche in Italia - delle
portaerei come il Credit Agricole, la Societé Generale, la Bnp Paribas;
l'Italia, di banche forti e autonome, ha soltanto Intesa Sanpaolo, non
certo vicina alla famiglia Berlusconi, mentre vede ormai presa in
tutt'altre faccende (e forse in un'orbita a sua volta francese)
Unicredit, in crisi nera il Montepaschi e assente Mediobanca, quella
che Cesare Geronzi in una recente intervista ha definito ormai come
“una media banca”.
Peraltro, per quel che vale (cioè come mero veicolo per influenzare le
Generali) anche Mediobanca è influenzata, eccome, da Bollorè, che vi
controlla l'8%, a un incollatura dal primo socio Unicredit. Infine la
politica. Nel marasma di questi giorni, con Telecom ormai
francese da mesi, lo stesso Bollorè all'attacco su Mediaset. Axa in
odore di scalata alle Generali e Societé Generale troppo vicina a
Unicredit, se
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Fidarsi
del galletto francese? Meglio si che no. Fin dal primo post che abbiamo
messo in tema abbiamo sostenuto che Mediaset non era certamente
un'impresa strategica per l'Italia ma era piuttosto una grande impresa
da collegare con un altrettanto grande gruppo europeo -che includesse
anche le linee di trasmissione- prima di tutto per inserire la
produzione italiana in un mercato più vasto e secondo perchè le linee
di trasmissione del segnale -benché sarebbe meglio stessero in mano
pubblica- é utile in questa prima fase siano molteplici e in mano
privata.
La lettera di Puyfontaine mira in primis a creare quel clima politico
che la recente e rapida scalata di Vivendi ha operato versus Mediaset
si attenui fino a spegnersi perchè così come sarebbe insensato
essere costretti a un'OPA (entrambi lo sarebbe ro)inutilmente costo sa
altret tanto insensata con tinuare a litigare o bloccarsi a vicenda.
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Caro Direttore,
In questi ultimi mesi sono state scritte molte cose sul gruppo Vivendi.
Alcune esatte altre meno, ma tutte hanno contribuito ad alimentare un
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acceso dibattito in Italia. In qualità di Ceo di Vivendi, ho deciso di
intervenire in prima persona per ristabilire qualche verità sull'azione
positiva svolta da Vivendi in Italia. Azione che in alcuni casi è stata
fraintesa o male interpretata. Tanto che alcuni hanno sintetizzato i
nostri sforzi come opachi, speculativi o dettati da sete di conquista,
suscitando in questo modo ostilità o sfiducia.
E' esattamente il contrario. Siamo in Italia per realizzare un progetto
ambizioso, di lungo termine, costruito su ciò che l'Italia e la Francia
hanno in comune: la vicinanza della loro tradizione latina. L'Italia,
poi, ha molto da offrire cultura, storia, esperienza, talento,
professiona lità, creatività, bellezza.
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È
importante sdrammatizzare i toni del dibattito ed evitare inutili
caricature. Nel 2015, la Francia ha investito in Italia 46 miliardi di
euro. A sua volta, la Francia è stata il principale destinatario degli
investimenti italiani. Un trend positivo, che dovrebbe essere valutato
come un arricchimento e un'opportunità di crescita per tutti.
Vivendi ha dichiarato fin dall'inizio qual è il suo progetto: costruire
e dar vita a un grande polo dell'Europa meridionale, che prevede di
creare una ampia convergenza tra contenuti e telecomunicazioni.
Francia, Italia e Spagna sono i tre principali Paesi da cui partire.
Rafforzandosi in Sud Europa, Vivendi sta scommettendo sulla cultura
europea per far fronte alla concorrenza sempre più agguerrita dei
colossi anglosassoni, americani e cinesi.
È in questa logica e per centrare questi obiettivi che Vivendi ha
investito negli ultimi due anni in Italia, prima in Telecom Italia e
successivamente in Mediaset. Non è stato un percorso facile.
Tutt'altro. Ma fino ad ora la nostra strategia, la nostra esperienza,
le sinergie e le energie profuse hanno pagato, con risultati positivi
per il mercato italiano delle Tlc e per i suoi utenti.
In effetti, dopo una fase difficile, oggi Telecom Italia è sulla buona
strada. Merito del suo presidente Giuseppe Recchi e del nuovo
amministratore delegato Flavio Cattaneo che hanno saputo voltare pagina
dotando l'azienda di una nuova struttura organizzativa e mettendo a
punto una missione al passo coi tempi e con le sfide che si profilano
all'orizzonte.
Si tratta di una strategia che è stata messa in campo di recente, ma
che già in questi mesi, e ancor più nei prossimi darà degli ottimi
frutti. Con beneficio di tutti i cittadini italiani che potranno
usufruire di una infrastruttura sempre più moderna ed efficiente, in
particolare attraverso gli investimenti dedicati alla banda larga.
Vivendi ha scelto di puntare sui contenuti e sulla convergenza con gli
operatori di telecomunicazioni per creare valore. Il nostro gruppo è
uno dei leader mondiali nei contenuti e continua a rafforzarsi con
investimenti mirati in aziende di punta del settore. Si tratta di un
gruppo diversificato -pay tv con Canal Plus, musica con Universal Music
Group, film e serie con StudioCanal, videogames con Gameloft - presente
in tutto il mondo e con un giro d'affari di circa 11 miliardi euro.
E' per questo che siamo interessati a un'alleanza con Mediaset,
un'azienda con una forte notorietà, ricca di professionalità e di
potenziali sinergie con Vivendi. Basti pensare quali risultati si
potrebbero raggiungere se Francia e Italia collaborassero nel campo del
cinema e delle serie televisive. Nonostante le difficoltà per trovare
un terreno comune con Mediaset, non abbiamo abbandonato il nostro
progetto iniziale finalizzato alla creazione di un grande gruppo
dell'Europa meridionale in cui convergano contenuti e tlc, di cui
Mediaset rimane, secondo noi, uno dei pilastri. È per questo, che nel
novembre 2016, abbiamo deciso di investire direttamente in Mediaset,
diventandone il secondo azionista.
Noi siamo, ci tengo a ribadirlo, soci industriali che desiderano
apportare il loro contributo al progetto paneuropeo che abbiamo deciso
di sviluppare.
La nostra azione è di lungo termine ed è trasparente. Questo, il
senso delle mie dichiarazioni al Governo italiano e alla Consob. Non
voglio qui entrare nel merito delle voci e delle indiscrezioni di
mercato che circolano in continuazione. Desidero però ribadire il mio
totale impegno nel difendere la validità del nostro progetto e nel
ristabilire fiducia e serenità. Sono convinto che tutte le parti
interessate ne trarranno dei benefici, l'Italia in primis. Questi sono
i fatti e questi sono i nostri progetti.
Arnaud De Puyfontaine
Ceo Vivendi
Lettera a LaRepubblica
13 gennaio 2017
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Bollore
dopo aver acquisito Mediaset potrebbe poi cedere a Orange (la ex France
Telecom) la propria quota in Telecom Italia, superando così la barriera
del Sic.
O magari diluire a sua volta nel capitale di una maxi-conglomerata
Telecom-Mediaset- Vivendi... Meglio avere il 10% di tanto che il 30% di
qualcosa che magari cosi bene non va.
In fondo, la confluenza tra Mediaset e Telecom l'aveva discussa nel '99
addirittura l'allora ministro deH'Industria Pier Luigi Bereani con
l'amministratore delegato di Mediaset Ubaldo Livolsi. Non se ne fece
nulla e su Telecom calò l'era Colaninno. E si sa: la storia si può
sempre ripetere...
www.informazioni.it |
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In
questo momento meglio destinare le risorse ad investimenti sui prodotti
nuovi da sviluppare (dove Mediaset avrebbe tanto da dire) e sulle
linee di trasmissione.
Le risorse finanziarie per le OPA non rendono mai tanto come i nuovi
prodotti e il miglioramento dell'accessi bilità della proposta.
Semmai oggi il problema sta nella RAI che non ha linee proprie
tranne l'etere. Un'alleanza con scambio di azioni della RAI con un
partner delle trasmissioni sarebbe una scelta opportuna sia dal punto
di vista dell'offerta (e quindi del ritorno: il "magazzino" RAI e la
sua capacità di inventare prodotti é decisamente superiore a Mediaset)
che del profitto e del suo riequilibrio.
Ma l'idea di una RAI in buona parte privatizzata pochi o nessuno la vogliono.
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In altre parole, voglio
sottolineare che è proprio l'italianità al
centro del nostro progetto. In
particolare, pensiamo che essa sia una
risorsa formidabile per generare crescita sia in Italia, sia in
Francia. Ecco perché vogliamo dare più importanza e valore
all'italianità delle aziende di cui siamo azionisti, consolidando le
loro radici. Un modo per farlo è quello di dare un contesto europeo
alla loro azione. Raggiungere una dimensione europea è un'opportunità
unica per cogliere al meglio le sfide che offre un mondo ormai
globalizzato.
Una delle caratteristiche riconosciute all'Italia in tutto il mondo è
la sua elevata capacità imprenditoriale. Proprio per questo vogliamo
fare leva su questo atout per rafforzare gli scambi tra i nostri due
Paesi, la cui vicinanza è una realtà e rappresenta un significativo
potenziale da valorizzare.
Il nostro approccio non è per nulla opportunistico ma finalizzato a
rafforzare l'unicità, l'eccellenza e la competenza delle aziende
italiane, combinandole con le peculiarità di altri Paesi europei, come
la Francia o la Spagna. Si tratta di un progetto ambizioso ed
equilibrato, che però ha bisogno di adesione e sostegno. I miei recenti
contatti con il governo italiano, le istituzioni, le autorità di
mercato, gli azionisti, i dipendenti, hanno un unico obiettivo: creare
quella fiducia indispensabile, per portare avanti con successo un tale
progetto. Spesso il confronto è stato acceso, ma io sono sempre stato
attento affinché avvenisse in modo trasparente e nel rigoroso rispetto
delle leggi e delle regole del mercato.
A questo proposito, mi fa piacere evidenziare e riconoscere le qualità di accoglienza e di ascolto delle istituzioni italiane.
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