NUMERO 270 - PAGINA 1 - CAMUSSO/GIANNINO SUI VOUCHERS

































































Camusso: “Non bastano maquillage, i buoni lavoro sono irriformabili”

Massimo Franchi /UNITA' TV




     Voucher: correggerli,
non rottamarli come dice la Cgil

      Oscar Giannino





















































Susanna Camusso, partiamo dalla stretta attualità. Nella conferenza stampa di fine anno il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ha definito il Jobs act “un'ottima riforma del lavoro”.Si aspettava un minimo di autocritica dal nuovo capo del governo?
«Intanto mi pare che anche i dati di ieri (mercoledì, ndr)
confermano che non ci sono i tanto decantanti effetti miracolosi che continuano a raccontarci. Quel poco di trasformazioni di contratti a a tempo indeterminato col tutele crescenti era figlio degli incentivi che stanno finendo. Il tutto con una sproporzione pesante tra i miliardi dati alle imprese e risultati. In più c'è un forte indebolimento dei diritti dei lavoratori, gli investimenti pubblici e privati languono e le imprese non si sono ingrandite come ci avevano prospettato».

Intanto come previsto dall'elenco dei sottosegretari manca il nome di Tommaso Nannicini l'uomo che in questi mesi ha trattato con voi il capitolo pensioni. Le dispiace?




Il quesito più a rischio dei tre è unanimemente considerato quello sull'articolo 18 in cui chiedete di ripristinare il reintegro in caso di licenziamento illegittimo allargandolo alle imprese fino a 5 dipendenti. Se la Consulta lo dovesse bocciare cosa fareste?
«Non partecipo a questo circo. Ormai sembra rivoluzionario avere rispetto istituzionale ».

Nella campagna referendaria vi aspettate il supporto di Cisl e Uil?
«Il referendum sulla responsabilità sociale negli appalti –di cui a torto si parla pochissimo – faceva parte della piattaforma unitaria presentata per il nuovo Codice degli appalti. Sui voucher il giudizio con Cisl e Uil è comune e se sulla legislazione dei licenziamenti ci sono state opinioni differenti sui vari provvedimenti il patrimonio di contrattazione portavo avanti nel frattempo per rimediare al Jobs act è unitario».







Lo abbiamo scritto e lo ripetiamo. In vista dei tre quesiti referendari sul lavoro presentati dalla Cgil e su cui si deve pronunciare a gennaio la Corte Costituzionale, il Pd sembra mostrare un problema serio. Diverse tra le sue componenti si iscrivono al partito dei “pentiti del riformismo”.  Se così fosse tanto da implicare un cambio di linea complessivo del Pd, sarebbe l’autorottamazione del Jobs Act: non certo il massimo, per chiedere futuri consensi all’elettorato.

Il problema si pone non solo sull’articolo 18, che la Cgil vuole ripristinare nella sua disciplina vincolistica anteriore al Jobs Act non solo, com’era prima, per le aziende con più di 15 dipendenti, ma per quelle con oltre 5 lavoratori. Sarebbe un referendum “creativo” e non abrogativo, e vedremo cosa la Consulta avrà da dire in proposito (sulla Stampa, oggi Roberto Giovannini scrive che secondo indiscrezioni si sta irrobustendo l’opinione avversa all’accoglibilità). Ma analoga questione si pone anche per i voucher, i buoni per il lavoro accessorio che nella vulgata sono diventati nuovi strumenti di un odioso precariato di massa. Le domande alle quali rispondere sono, nell’ordine, tre. I voucher sono davvero come li si dipinge? Oppure hanno espresso una domanda e offerta di lavoro positive? Che lezione trarre, che cosa fare in concreto?

Premessa su cosa siano, i voucher. I buoni per il lavoro accessorio sono diffusi da molti anni nel Nord Europa, hanno dato buona prova di sé in Francia e Belgio. Introdotti nel 2003 in Italia dalla legge Biagi, per anni non trovano applicazione. Nel 2008, l'allora ministro Damiano che si opponeva alla Biagi



Per capire che cosa fare é essenziale conoscere
chi siano davvero i percettori del voucher, e quali le forme prevalenti di utilizzo. Nell’ultimo rapporto annuale INPS di qualche mese fa, quindi aggiornato ai dati 2015, apprendiamo che Il guadagno netto medio dei lavoratori retribuiti con i voucher negli ultimi anni non è mai arrivato a 500 euro, e che comunque raramente supera i 600. da questo dato, si direbbe che i voucher sono simili ai Mini-Jobs tedeschi. Il numero dei lavoratori è cresciuto costantemente negli anni, ma il numero medio di voucher riscossi dal singolo lavoratore è sostanzialmente invariato: circa 60 l’anno, dal 2012 in avanti. L’età media è andata sempre decrescendo, così come il differenziale di età tra i sessi. La percentuale di ragazze e donne è progressivamente aumentata, ed è attualmente superiore al 50%. Il ricorso ai voucher è concentrato nel Nord: il Nord-Est incide per il 36,8%, il Nord-ovest per il 29,5%.  La regione con maggiore ricorso ai voucher è la Lombardia, seguono Veneto ed Emilia- Romagna.

Il tipo di attività per la quale è stato acquistato il maggior numero di voucher è il commercio con un 16,8%, ma vanno forte anche l’assistenza alle persone e la manutenzione delle abitazioni. Il 36,7% include invece ”attività specifiche d’impresa”, ed è su questo terzo abbondante di utilizzo che si appuntano i sospetti di abuso. Che generano letture divergenti. Da una parte lo stesso presidente dell’INPS, Tito Boeri, a maggio ha lanciato un vero e proprio atto d’accusa. “I voucher – ha detto -sono nati per regolarizzare il lavoro accessorio, ma hanno avuto uno sviluppo diverso: in alcuni casi abbiamo una precarizzazione evidente, con lavoratori a tempo indeterminato o determinato che adesso hanno i voucher, e in questo senso sono anche controproducenti. Non sono tanti i lavoratori nelle fasce centrali d’età, si vedono poche persone che prima non lavoravano che di colpo prendono voucher.
































































































































































































































































































































































































































































































































































































































«Non commento le scelte, dico solo che non dimentichiamo il tema “Previdenza 2” con il confronto soprattutto sulle pensioni dei giovani.
È un impegno preso dal governo per quest'anno, chiederemo che lo rispetti».

Veniamo ai vostri tre referendum.
Voi decideste di raccogliere le firme – prima volta nella storia della Cgil – non senza discussioni interne in un momento in cui il “renzismo” pareva trionfante mentre i sindacati erano sull'orlo del baratro. Due anni più tardi la situazione sembra invertita. Se l'aspettava?
«No. Prendemmo questa decisione all'epoca della totale disintermediazione sociale, scelta come strategia politica. Pensammo che davanti a questa scelta le tradizionali forme di lotta sindacale non davano effetti e decidemmo di utilizzare strumenti propri della lotta politica come i referendum abrogativi. Con una convinzione, quella sì ben chiara: le riforme imposte dal governo che si basavano essenzialmente su una compressione dei diritti non servivano al Paese e non avrebbero retto al quadro economico di stagnazione e deflazione. Su questo abbiamo avuto ragione».

Ora dunque i vostri tre referendum sono al centro del dibattito politico con polemiche molto forti che lambiscono addirittura alcuni membri della Corte Costituzione che l'11 gennaio si pronuncerà sulla loro legittimità.
«Da un lato la scelta di pressione sulla Corte – perché una cosa è il dibattito giuridico, un'altra è l'ossessivo tentativo di spingere su come debba decidere – mi pare figlio di pura volontà politica. Noi abbiamo discusso con i nostri giuristi e pensiamo di aver correttamente interpretato le regole. Attenderemo con molta tranquillità e serenità l'esito della Camera di Consiglio. Dall'altro lato però ritengo grave che l'intero mondo che adesso si agita sui nostri referendum nei mesi scorsi abbia volutamente ignorato milioni di persone che hanno discusso e raccolto firme. Credo che gran parte della politica stia dando un cattivo spettacolo di sé».

In questi giorni anche dal governo ci sono stati interventi in materia. Il ministro Poletti ha parlato – seppur correggendosi dopo – di elezioni politiche che farebbero slittare i referendum al 2018 e il presidente Gentiloni ha detto che l'art. 18 non va toccato.
«Mi sono sembrate dichiarazioni strumentali che dimostrano il non rispetto delle istituzioni, delle regole. Quelle di Poletti non tengono conto che il potere di scioglimento delle Camere è in capo al Presidente della Repubblica. Se sono convinti che i nostri referendum non sono un problema, perché tanta agitazione? Se sono un problema, perché non sono intervenuti prima. Quelle di Gentiloni dimostrano miopia politica visti gli effetti drammatici confermati dai dati sul forte aumento dei licenziamenti disciplinari».

Entriamo nel tema più caldo, quello dei voucher. Anche Gentiloni parla di “revisione necessaria”: per voi un intervento legislativo che limiti l'uso dei “buoni lavoro” ad alcuni settori sarebbe una mediazione accettabile?
«Vorrei essere chiara. Noi diciamo una cosa precisa: lo strumento voucher per noi è irriformabile. E lo è perché essenzialmente il voucher è utilizzato in assenza di rapporto di lavoro considerando il lavoratore alla stregua di una merce da utilizzare senza vincoli. Ci si dice: “E il lavoro occasionale?”. E io rispondo: guardate che il lavoro occasionale non significa lavoro di breve periodo, per quello lo strumento c'è già, è il lavoro in somministrazione, l'ex interinale. Ora il voucher invece è diventato dilagante in tantissimi settori andando a sostituire altri tipi di contratto. Nel turismo ad esempio: ci rendiamo conto che chi prima aveva un contratto stagionale a tempo determinato ora viene pagato a voucher? Infine ricordo a tutti che ormai con i voucher si sostituiscono i lavoratori in sciopero come è successo a Modena l'altro giorno e che ci sono imprese intere che utilizzano solo quelli e nessun rapporto di lavoro contrattuale. Non siamo davanti a piccoli abusi. Noi queste cose le abbiamo sempre dette, anche al governo. Mi stupisce che improvvisamente la politica scopra il tema dei voucher senza capire però realmente la portata del problema».

Se i «voucher sono irriformabili» mi sembra dunque che lei chiuda a qualsiasi compromesso, anche alla proposta Damiano di tornare al 2003, ai voucher come solo “lavoro accessoio e occasionale”. E che in caso di modifica legislativa voi chiederete comunque di andare al voto sul referendum per cancellarli. È così?
«Io penso sempre che i risultati che si riescono a raggiungere sono importanti. Non è che abbiamo la paranoia da voto. Se ci sarà una legge valuteremo con attenzione il contenuto. Ma insisto: il senso della nostra operazione non è quello di ottenere un maquillage. Con la Carta universale dei diritti del lavoro noi puntiamo a ripristinare il diritto del lavoro in Italia. Il nostro obiettivo è molto più alto».















































































































né da una prima attuazione nelle vendemmie e per lavori dunque stagionali agricoli.

L’idea diventa nel tempo quella di utilizzare i voucher per lavoretti occasionali per cui mai si stipula un contratto: assistenza a malati e portatori di handicap, lezioni private, giardinaggio, manutenzione edifici. Fatto sta che da poco più di 24 mila lavoratori “accessori” che lo utilizzano nel 2004, si passa nel 2015 a un milione e trecentomila percettori di voucher. Dal 2012 i voucher vengono infatti estesi dalla Fornero a tutti i settori. Nel 2013 col governo Letta si cancella il riferimento a mansioni “di natura occasionale”.

Perché la liberalizzazione? Perché nel frattempo si rafforzava sempre più l’idea di rafforzare i contratti a tempo indeterminato, e aumentavano le restrizioni alle forme di lavoro coordinato e continuativo: idea che di tappa in tappa sfocia nel Jobs Act, con la fine dei cosiddetti “co.co.co” e “co.co.pro”.  Nasce da questa premessa il duplice sospetto che l’enorme estensione negli anni del ricorso ai voucher sia il bacino i cui confluiscono mascherate le precedenti tipologie di precariato. E che, invece di far emergere lavoro prima offerto in nero senza tasse né contribuiti, il voucher finisca invece per coprire altro lavoro nero dietro la maschera di un buono da 10 euro di cui 7,5 di paga oraria per il beneficiario, e 2,5 euro per i contributi INPS e INAIL previdenziali, senza però aver diritto alle prestazioni a sostegno del reddito come disoccupazione, maternità, malattia, assegni familiari.

A onor del vero, il Jobs ACT ha già introdotto limitazioni. E’ stato introdotto il massimale annuale pagabile a voucher in 7mila euro, oltre a quello di 2mila euro annuali per lavoratore da parte di ogni singolo datore di lavoro. E’ stato inibito l’utilizzo dei voucher negli appalti. Ed è stato previsto l’obbligo di comunicazione all’INPS di tutte le caratteristiche d’uso del voucher, preventivamente al suo utilizzo. In teoria, apposta per impedire che il voucher copra lavoro nero. E il governo Renzi, fino a qualche settimana fa, ripeteva infatti che era anche per questo, che nei primi 10 mesi del 2016 sono sì stati venduti 121,5 milioni di voucher, ma con un incremento del 32,3% sull’analogo periodo del 2015, non più del 67,6% di crescita tra gennaio-ottobre 2015 rispetto al 2014.

















Il livello dei contributi che raccogliamo è basso, circa 150 milioni, lo 0.2% dei contributi totali dei lavoratori dipendenti, mentre i lavoratori che percepiscono voucher sono l’8%: è molto meno di quello che si potrebbe pensare alla luce del numero delle persone coinvolte. Sembrerebbe esserci un fenomeno di datori di lavoro che usano i voucher in maniera disonesta, per evitare un controllo o per pagare solo in parte le ore di lavoro”.

Senonché proprio uno studio INPS diretto da Bruno Anastasia nel 2015 mostra come i percettori dei voucher siano quasi al 10% pensionati, mentre il 55% si divide tra chi ha un altro lavoro e percettori di ammortizzatori sociali. Sommando queste tipologie si direbbe che i due terzi dei percettori utilizzano il voucher davvero per attività accessorie, e per tipi di mansioni in cui prima il nero era considerato imperante.

E’ solo dal miglioramento della raccolta sistematica di questi dati e la loro incrocio interpretativo, che può venire la migliore risposta al “che fare”. Se si vogliono identificare sulla base di dati concreti alcuni settori precisi di attività in cui forte è il sospetto di abusi, dopo quello degli appalti come già si è fatto, allora si possono e si devono adottare restrizioni a quelle tipologie. Le costruzioni sono per esempio, a mio giudizio, fondatamente sospettate. E anche l’utilizzo nei grandi gruppi industriali e nel settore pubblico va chiarito molto, dati alla mano. Ma buttare a mare i voucher in quanto tali, come pretendono la CGIL e molti “pentiti”, è un triplice errore. Ignora il fatto che in almeno i due terzi dei casi l’evidenza empirica sin qui raccolta comprova l’idea che il fine di contrasto al nero sia ottenuto. Rifiuta l’evidenza che per quei lavori mai e poi mai si stipulerà un contratto a tempo indeterminato. Respinge l’idea stessa che il lavoro – la sua cultura e la sua dignità – sia espressione di una società flessibile e in continua trasformazione, non immobilizzato in antiche forme ideologiche. In più, se avvenisse l’abiura, per il Pd sarebbe un clamoroso autogol: non per Renzi come pensano in tanti, ma per il Pd in quanto tale.















LA TABELLA VERTICALE AL CENTRO
Indica il numero di posti per insegnanti disponibili nelle varie regioni e quelli degli insegnanti disoccupati locali.

«Si favoriscono necessità personali penalizzando gli studenti»
Mario Rusconi, vicepresidente dell'Associazione nazionale dei presidi, è netto: «È un passo indietro rispetto alla Buona scuola, si tornano a favorire le necessità personali degli insegnanti a scapito dei diritti degli studenti disinteressandosi al loro successo formativo, poi ci si meraviglia se noi italiani slamo in fondo alle classifiche». Questa, aggiunge, «è la vera privatizzazione della scuola con i docenti proprietari del posto di lavoro, allora abbiano il buon gusto di dire “cambiamo la 107*». Il dirigente boccia del tutto raccordo firmato dalla ministra Valeria Fedeli con i sindacati: «Mi sembra che complichi ancora di più le procedure: questo meccanismo della mobilità va a scapito delia funzionalità delle scuole stesse». Il Miur prevede che almeno 50 mila docenti chiederanno il trasferimento. «Saranno molti di più, basti pensare ai 200mila che lo scorso anno hanno approfittato della mobilità straordinaria: anche il prossimo settembre avremo il caos». Per Rusconi «questo è il primo passo per smontare la riforma», perché poi toccherà «alla chiamata diretta»: la possibilità per i presidi di scegliere il professore che serve alla propria scuola è uno dei punti più contestati della legge 107, insieme con il bonus di merito per i docenti più bravi, sempre assegnato dal dirigente scolastico con un comitato di valutazione. «Ma le leggi — insiste Rusconi— le cambia il Parlamento non il sindacato, trovo aberrante che la ministra si sia piegata in questo modo ai sindacati».
Claudia Voltattorni   




































































































































































































































































































































































































































































Molti pensano che la campagna sul Jobs act possa riunire il fronte anti Renzi che ha vinto il referendum costituzione del 4 dicembre. Per voi sarebbe un problema avere a fianco partiti politici lontani dalla vostra tradizione? Brunetta ne è entusiasta ma è stato un vostro grande avversario nel passato…

«Nella primavera scorsa abbiamo presentato la nostra Carta a tutti i gruppi parlamentari.  A tutti abbiamo detto che nelle migliaia di assemblee tenute per la prima volta registravamouna straordinaria distanza tra il mondo del lavoro e la politica e una diffusa convinzione dell'incapacità della politica a rispondere sui temi del lavoro. Il problema è che se al mondo del lavoro non dai rappresentanza il rischio poi è che ai lavoratori non interessa che a difenderli sia la destra e non più la sinistra. Fui stupita dalla supponenza con cui le nostre proposte furono considerate anche dal mio campo politico».

Oggi il quadro è molto diverso. Lei considera finita l'epoca del renzismo o teme una sorta di vendetta contro di voi nei prossimi mesi?
«Penso che in questi anni a sinistra ci siano state trasformazioni profonde che Renzi ha interpretato facendo sparire dal vocabolario del suo partito parole come diseguaglianza, lavoro, disagio sociale. Oggi, al di là delle personalizzazioni, queste parole sono riemerse e tutti, nessuno escluso, dovranno farci i conti».

Massimo Franchi
UNITA'/TV