NUMERO 269 -PAGINA 2 - MILIARDI PER IL MONTEPASHI E DISOCCUPAZIONE GIOVANILE



















































Che si tratti di nidi per la prima infanzia, della diffusione delle scuole a tempo pieno soprattutto nelle aree più povere ove oggi sono quasi assenti, dei servizi per le persone non autosufficienti o del contrasto alla povertà, il refrain ripetuto è che ci sono le norme sull'austerity da rispettare e che i fondi necessari possono solo derivare da risparmi e tagli.
Invece quando si tratta di banche....



È corretto che i creditori si facciano carico di parte delle perdite di una banca che va salvata con risorse dei contribuenti. Ma questo può valere solo per obbligazioni emesse dopo che le nuove regole siano entrate in vigore, in modo che chi le compra conosca e accetti i rischi.



Gli ultimi dati sull’occupazione dicono che lo zoccolo duro della disuguaglianza «abita» tra gli under 35: ma è proprio in questa fascia dove si dovrebbe investire per aumentare l’occupazione.

























































































































































Scrive Marco Galluzzo sul Corriere a proposito dell’investimento da parte della Repubblica Italiana per nazionalizzare quel disastro che è risultato (finora)MPS: «di certo la vicenda ha scontato in qualche modo l'incertezza politica italiana. Il referendum sulla Costituzione è stato una sorta di tappo, ha congelato tutto. Il premier uscente aveva dato una delega in bianco agli advisor americani. Il No al referendum ha cancellato le speranze residue di investitori esteri e la Bce ha riportato la vicenda su parametri finanziari, prima che politici. «Mario Draghi interviene solo c'è un rischio sistemico, non mette certo bocca sulle vicenda di una singola banca», è la conclusione di un altro banchiere. A maggior ragione se Bankitalia e il Mef sono stati in qualche modo bypassati dalla presidenza del Consiglio.»
La questione è che un cittadino lombardo o un siciliano che non hanno mai avuto a che fare con MPS, perché dovrebbero cacciare 105 euro  pro capite per salvare la banca? Si risponde: per interessi superiori che arrivano fino a loro.
L’Huffington Post calcola che  ogni italiano si accollerà 105 euro per il salvataggio di MPS. Abusdef e Confconsumatori parlano di 333 euro.
Ecco: dateci almeno una soddisfazione.
Noi cacciamo i 105 euro procapite (occhio a quanti ammontano poi per ogni famiglia: magari un salario di un mese....) ma tutti gli amministratori della banca senese da quando hanno comprato l’Antonveneta vanno in galera finché MPS ridiventa banca privata. Idem per tutte le altre che saranno salvate coi venti miliardi di debito pubblico .Se bastano venti miliardi. Già che ci siamo, quando quegli amministratori verranno messi in gattabuia «a scadenza», vedete di metterli in compagnia di quei due tre quattro segretari del PD e di FI cui facevano riferimento i sindaci di Siena.
Tanto per darci una soddisfazione. Una.



Ci sono molte buone ragioni perché lo Stato intervenga a sostegno delle banche. Accanto alla protezione dei piccoli risparmiatori ingannati da impiegati senza scrupoli e soprattutto da amministratori non particolarmente competenti, occorre anche evitare un effetto domino sull'intero sistema creditizio italiano, con conseguenze devastanti sulla tenuta dell'economia del Paese. Anzi, come è stato osservato da più parti, nel caso Monte dei Paschi l'intervento è stato troppo tardivo e preceduto da decisioni pasticciate e inefficaci, che hanno fatto ulteriormente alzare il prezzo del salvataggio.
In questa vicenda rimane tuttavia lo sconcerto per l'enorme scarto che c'è tra i fondi stanziati per questo e precedenti salvataggi più o meno riusciti, uniti alla inefficacia dei controlli e alla incompetenza degli “esperti, e l'estrema riluttanza con cui si procede nel campo delle politiche sociali, che pure dovrebbero essere considerate una forma indispensabile di investimento (in capitale umano e sociale). Che si tratti di nidi per la prima infanzia, della diffusione delle scuole a tempo pieno soprattutto nelle aree più povere ove oggi sono quasi assenti, dei servizi per le persone non autosufficienti o del contrasto alla povertà, il refrain ripetuto è che ci sono le norme sull'austerity da rispettare e che i fondi necessari possono solo derivare da risparmi e tagli.
Sono la prima a dire che occorre eliminare gli sprechi e la frammentazione nelle politiche




Non ha creato sorpresa né fastidio nella Commissione Ue ieri l'ultimo intervento da Berlino sulle vicende del Monte dei Paschi. Un portavoce del ministero delle Finanze ha chiesto che da Bruxelles si controlli con attenzione «che le autorità italiane si attengano alle regole europee» nell'immettere capitale pubblico nella banca di Siena. Com'è noto infatti la «Bank Recovery and Resolution Directive» (Brrd) limita e vincola il ricorso agli aiuti di Stato negli istituti di credito con una severità che, in precedenza, non è stata praticata in nessuna delle decine di crisi bancarie in Paesi avanzati o emergenti nell'ultimo quarto di secolo.
Non ha creato fastidio a Bruxelles il richiamo di Berlino, perché la Commissione Ue ha individuato una clausola (la «ricapitalizzazione precauzionale») che evita molte delle conseguenze traumatiche previste dalla Brrd per i risparmiatori. Alcuni nel Palazzo Berlaymont, che ospita l'amministrazione guidata da Jean-Claude Juncker, vi hanno letto persino un incoraggiamento dalla Germania ad andare avanti.




Anche gli ultimi dati sull’occupazione dicono che lo zoccolo duro della disuguaglianza «abita» tra gli under 35: ma è proprio in questa fascia dove si dovrebbe aumentare l’occupazione. Innanzitutto spiegando loro che il mercato del lavoro nel tempo di una sola generazione è uscito completamente stravolto e che devono essere essi stessi «gli imprenditori» della propria occupabilità.Sia chiaro però: se chiediamo loro uno sforzo inedito dobbiamo accompagnarli.

Non avevamo bisogno di conferme ma anche i dati sull’occupazione diffusi ieri congiuntamente (alleluja) da Istat, Inps e ministero del Lavoro ci dicono che lo zoccolo duro della disuguaglianza «abita» tra gli under 35, un segmento del mercato che nell’ultimo anno ha visto addirittura ridurre il numero degli occupati. Va da sé che è proprio in questa fascia che invece dovremo aumentare — e di tanto — l’occupazione e non ci riusciamo. Il punto rimane sempre lo stesso: non sappiamo ancora far funzionare le politiche attive del lavoro e dobbiamo attuare ancora le novità che il Jobs act ha introdotto in materia. Il 2017 che sta per partire non sembra però aver voglia di farci sconti e noi usciti da pochissimo da un dilaniante referendum abbiamo già trovato il modo di discutere e di litigare su


















































































































































































































































































































































































































































































































































Sono la prima a dire che occorre eliminare gli sprechi e la frammentazione nelle politiche sociali, cui lo stesso governo Renzi ha contribuito con la sua politica dei bonus, non in nome del risparmio, ma dell'equità e dell'efficacia. Tuttavia razionalizzare non basta se le risorse di partenza sono inadeguate rispetto al bisogno. Non si può non segnalare l'enormità della differenza tra i 5 miliardi e rotti (sui 20 complessivi del fondo salva banche) destinati a salvaguardare circa quarantamila piccoli risparmiatori di Mps a fronte del miliardo circa stanziato in legge di Stabilità per l'istituzione di un Reddito di inclusione (Rei) per chi si trova in povertà assoluta, un settimo di quanto sarebbe necessario per portare sopra la soglia della povertà assoluta il milione e 582 mila famiglie (4 milioni e 598 mila persone) che attualmente ne sono al di sotto.
L'esiguità delle risorse messe a disposizione a sua volta motiva l'introduzione di condizionalità talvolta assurde e controlli sui beneficiari ben lontani da quelli esercitati sui responsabili dei disastri bancari e non, i cui costi pure gravano sulla collettività. Con il risultato non solo di ledere la dignità dei beneficiari, ma di escludere molti che pure avrebbero bisogno di sostegno. È un rischio già visibile nell'antesignano del Rei, il Sia (Sostegno di inclusione attiva) che da settembre è stato esteso a tutti i Comuni. Non basta, infatti, accanto a una soglia di reddito più bassa della povertà assoluta, il requisito della presenza in famiglia di almeno un figlio minore, o di una donna incinta, che esclude in partenza, a parità di reddito, chi non presenta queste caratteristiche. Un complicato sistema di punteggi discrimina ulteriormente tra i potenziali beneficiari, per ridurre la quota degli “aventi diritto”. Per altro, c'è il rischio che neppure questo embrione di reddito minimo per i poveri veda la luce, dato che la legge delega che dovrebbe istituire il Rei è stata approvata dalla Camera in luglio, ma è da allora in attesa di approvazione del Senato (che non l'ha ancora calendarizzata) e non è stato ancora predisposto il piano nazionale contro la povertà di cui il Rei è solo un — importante — tassello.
Non vi è, per ora, alcun segnale che governo e Parlamento abbiano tra le priorità quella di concludere l'iter che porterebbe finalmente l'Italia ad avere tra i propri strumenti di politica sociale un parziale sostegno al reddito per chi si trova in povertà. È una preoccupazione condivisa anche dall'Alleanza contro la povertà, che ha pubblicato un appello a Parlamento e governo perché l'instabilità politica non venga fatta pagare ai più poveri. Eppure, anche lasciando da parte le questioni di equità, lungi dall'essere spesa improduttiva, l'introduzione del Rei costituirebbe un investimento dagli effetti positivi sull'economia, dato che si tradurrebbe in aumento diretto dei consumi.
È anche, se non soprattutto, nella persistente presbiopia di governo e Parlamento a sfavore di chi è in difficoltà nella vita quotidiana che si annidano le cause sia del populismo sia della disaffezione per la partecipazione politica e del disinteresse per un bene comune che appare troppo spesso il privilegio di altri.

Chiara Saraceno
La Repubblica










Resta però una tensione di fondo, che mette alla prova la tenuta politica dell'area euro. In Germania è sempre più radicata la diffidenza verso quella che è vista come la tendenza italiana a violare le regole. Resta però una tensione di fondo, che mette alla prova la tenuta politica dell'area euro. In Germania è sempre più radicata la diffidenza verso quella che è vista come la tendenza italiana a violare le regole. I responsabili tedeschi che nella prima metà del 2013 erano occupatissimi a immettere capitale pubblico nelle banche nel proprio Paese, senza un euro di sacrificio per i creditori e i risparmiatori, due mesi dopo avevano già cambiato atteggiamento. Messa in sicurezza senza strappi né colpi agli investitori l'ultima azienda finanziaria barcollante in Germania nel maggio 2013, dispiegando 238,9 miliardi fra il 2008 e il 2014 (secondo Eurostat), il governo di Berlino ha iniziato a predicare che i salvataggi pubblici europei avrebbero dovuto essere diversi. I detentori di obbligazioni e depositi andavano colpiti severamente, in modo che partecipassero delle perdite. Non solo: a differenza che in qualunque salvataggio mai praticato in qualunque Paese occidentale negli ultimi decenni, per accedere a qualunque aiuto di Stato una banca avrebbe dovuto affrontare una procedura fallimentare (a meno delle eccezioni che ora si applicano a Mps).
Nel maggio 2013 parte il salvataggio (con piena tutela dei creditori) nell'ultima banca tedesca in crisi, Hsh. Nel luglio di quell'anno la Commissione Ue pubblica all'improvviso la «comunicazione» che, di fatto, cambia in modo retroattivo la natura delle obbligazioni già vendute al pubblico e agli investitori. Da allora un intervento dello Stato sarebbe potuto arrivare solo dopo una robusta sforbiciata sul valore di quei titoli. Chi li aveva comprati ne ha visto cambiare per legge il livello di rischio, e cadere il prezzo, senza essere mai stato avvertito prima. Quindi nel 2014 tutti i governi dell'Ue — incluso quello di Matteo Renzi — rendono questi vincoli ancora più severi per tutti gli obbligazionisti e i depositanti approvando la Brrd.
È corretto che i creditori si facciano carico di parte delle perdite di una banca che va salvata con risorse dei contribuenti. Ma questo può valere solo per obbligazioni emesse dopo che le nuove regole siano entrate in vigore, in modo che chi le compra conosca e accetti i rischi. Cambiare retroattivamente la natura di un contratto finanziario è il modo migliore per generare sfiducia nell'economia e avversione verso l'Europa. Difficilmente l'area euro ritroverà un equilibrio, finché Italia e Germania non si capiscono su questo punto di fondo.

Federico Fubini
Il Corriere della Sera




quello successivo.
La verità è che un comizio/intervista lo si prepara in poco tempo mentre è assai più difficile per tutti -sindacati compresi- impegnarsi pancia a terra per salvare i nostri giovani.

Come? Innanzitutto spiegando loro che il mercato del lavoro nel tempo di una sola generazione è uscito completamente stravolto e che devono essere essi stessi «gli imprenditori» della propria occupabilità. Sia chiaro però: se chiediamo loro uno sforzo inedito dobbiamo accompagnarli, dobbiamo far sì che la politica attiva del lavoro diventi una sorta di servizio di prossimità. È un impegno che la Società degli Adulti deve prendersi al di là delle differenti opinioni e dei ruoli anch’essi differenti che si occupano. Il rischio di perdere una generazione è assai concreto ed ex post non ci saranno assoluzioni facili per nessuno.

In questo nostro impegno dobbiamo sapere che il mercato e le imprese chiedono (anche) una quota di flessibilità. Dobbiamo trovare i modi migliori per generarla e per controllarla ma non la possiamo negare. È l’economia moderna, il mutamento dei business, la competizione planetaria che la richiedono e alle legislazioni nazionali tocca individuare le metodiche migliori. Può darsi che l’accoppiata Jobs act più voucher non sia la soluzione ottimale per rispondere alla doppia esigenza di stabilizzare il lavoro e nello stesso tempo di tracciare «i lavoretti», ma quello che sta avvenendo in questi giorni non aiuta il sistema a emendarsi. Quando anche un politico mite come Roberto Speranza arriva a dire, in stile spaghetti western: «O Poletti o i voucher», vuol dire che la ragione sta abbandonando i nostri territori. Si sta delocalizzando. Discutiamo pure di come affinare le nostre leggi per far fronte alla grande trasformazione del lavoro che stiamo e continueremo a vivere ma facciamolo con giudizio e responsabilità. I nostri figli ci guardano.

Infine i dati di ieri ci dicono anche che l’occupazione nel lavoro autonomo diminuisce ed è francamente una sorpresa. Nel mutamento dell’economia è largamente prevedibile infatti che la tendenza all’auto-impiego si rafforzi e se non sta avvenendo un motivo ci deve essere. Molto probabilmente risiede nelle mille difficoltà che ancora deve affrontare chi vuole mettersi in proprio. Un giovane che ha intenzione di sfidare il mercato si trova prima di tutto a fare i conti con la burocrazia e con le sue mille trappole. E spesso perde prima di entrare in campo. Anche questo è un lusso che un Paese in ritardo d’occupazione non può permettersi, l’amministrazione dovrebbe essere grata a un under 35 che si mette in gioco rischiando di suo e invece gli rende difficile la vita. E per averne l’ennesima riprova basta guardare alla voce «partite Iva» del decreto fiscale collegato alla legge di Stabilità.

Dario Di Vico
Il Corriere della Sera