NUMERO 265 - PAGINA 1 - I GRILLINI ATTESI ALLA PROVA DI GOVERNO





















































«L'aereo dell'impossibile è decollato e ora deve salire di quota», aveva dichiarato Beppe Grillo dopo la presa di Roma e di Torino. Con la vittoria del No e le dimissioni di Matteo Renzi, il Movimento 5 Stelle  ha raggiunto la velocità di crociera e l'atterraggio a Palazzo Chigi diventa sempre più realistico. Grillo chiede elezioni subito. Vorrebbe andarci con l'Italicum, che potrebbe dargli, in caso di vittoria al secondo turno, una maggioranza schiacciante alla Camera. E vorrebbe estendere quel modello anche al Senato. «La cosa più veloce, realistica e concreta per andare subito al voto», ha scritto sul suo blog, «è andarci con una legge che c'è già».
«Abbiamo sempre criticato questa legge, ma questi partiti farebbero di peggio e ci metterebbero anni legittimando l'insediamento di un governo tecnico alla Monti», ha continuato sul blog. Se la legge sarà bocciata dalla Corte costituzionale, o comunque cambiata grazie a un accordo



Quale classe dirigente?

La notte della vittoria referendaria Luigi Di Maio ha commentato: «Oggi ha perso la casta, l'arroganza al potere da cui impareremo tante cose nella formazione della nostra squadra di governo e del nostro programma. Da domani saremo al lavoro sul governo dei Cinque Stelle, coinvolgeremo le energie e le persone libere che vorranno partecipare. Non esiste più l'uomo solo al comando ma i cittadini che governano le istituzioni». La dichiarazione rievoca il miraggio dell'uno vale uno alimentato negli anni delle origini con il MeetUp e la teorizzazione del continuo ricorso all'opinione dei militanti. Un ideale rapidamente svanito mano a mano che i successi elettorali rendevano necessaria la creazione di corpi intermedi e di un direttorio nazionale, e faceva emergere la nascita di correnti, il moltiplicarsi delle guerre intestine e dei personalismi.
Il tandem con Alessandro Di Battista, lo scapigliato scooterista che aizza 



L'assenza di una squadra

C'è poi il problema più spinoso per il M5S: l'inesistenza di una squadra di governo interna. Il movimento dice di voler puntare anche su «persone libere», ma senza una chiara visione politica, economica e sociale del Paese anche i tecnici più capaci rischiano di fallire. Per un civil servant è inoltre problematico convivere con le faide interne e i diktat dei fedelissimi di Grillo. Lo si è visto a Roma con le dimissioni a catena inaugurate da Carla Rainieri e Marcello Minenna, super assessore al Bilancio sponsorizzato proprio da Di Maio. E gli screzi, sempre smentiti, tra la sindaca e l'assessore all'Urbanistica Berdini. È immaginabile esportare quel modello a livello nazionale? E, alla luce dell'esperienza romana, ci saranno ancora tecnici pronti a farsi avanti per fare i ministri in un futuro governo dei Cinque Stelle?
"Il movimento é una forza tenuta in piedi da un'agenzia di marketing" sbotta




In settimana il movimento ha iniziato a presentare il suo programma di governo, partendo dalle politiche energetiche. Non a caso. Quello dell'energia, spiega chi conosce bene le dinamiche interne ai 5 Stelle, è forse l'unico tema in grado di mettere tutti d'accordo. Sugli altri capitoli invece – per quanto le direttrici siano chiare e rigide – manca una visione economico-sociale condivisa. In caso di vittoria, quando si tratterà di prendere decisioni su economia, fisco, salute, istruzione, diritti civili, le contraddizioni tra le due anime dei 5 Stelle – quella più di sinistra, prevalente valente tra i parlamentari, e quella di destra – potrebbero deflagrare.
 
La politica del No
Il Movimento ha macinato consensi e successi forte del suo ruolo di anticorpo del sistema. Portando avanti un'opposizione feroce, aggressiva, senza aperture.
Ma quando ci si siede dalla parte opposta della barricata, il gioco cambia.




Tanto che Grillo, insoddisfatto dell'immobilismo e degli equilibrismi di Raggi, sarebbe pronto a intervenire in prima persona.

Il tradimento della Rete
Anche la Rete, che doveva essere la casa della nuova democrazia dal basso, ha mostrato tutti i suoi limiti. Il Blog e la neonata Rousseau, il back office del Movimento, restano in mano alla Casaleggio Associati, tanto che i critici parlano di partito azienda. E i social dei portavoce si sono trasformati in vetrine per sponsorizzare la partecipazione ai talk show più che in spazi di discussione.
Contraddizioni che non sembrano toccare la maggior parte degli attivisti, che restano fedeli al verbo del capo.
E che pur di arrivare a Palazzo Chigi sono pronti a sacrificare i principi-slogan: dall'uno vale uno all'onestà.
«Dall'essere i migliori», chiosa Defranceschi, «siamo passati a essere i meno peggio".




chi ha paura dei.. grillini al governo?

























































































































































Il più puntuale giudizio complessivo dato dei grillini é stato quello di Massimo Cacciari: hanno evitato una accentuata deriva a destra degli italiani. Fine del cinema.
Cacciari dixit: metà dell'elettorato e dei militanti 5 Stelle hanno una storia che è Ulivo, è centrosinistra; sono persone che la sciagurata direzione del centrosinistra, dell'Ulivo prima e del Pd dopo, ha perso per strada. Non hanno nulla a che fare, antropologicamente, col Fronte Nazionale e Lega, sono molto più simili agli Tsipras, ai Podemos.
Gli italiani sono dei veri specialisti nel farsi del male ma purtroppo questa volta non si rendono conto che il mondo non é più quello dei primi anni '90, quando un miliardario e uno straccione conquistarono il governo sulle ceneri calde di tangentopoli di cui lui (il miliardiario) aveva sommamente goduto e da cui si sarebbe tratto dall'impiccio con una miriade di leggi ad personam. Invece lo straccione sarebbe  finito malamente .






























































































































































































































































































































































































































































































































































































Perché se hanno ragione certi gruppi del NO nel ritenersi offesi di essere accusati da Renzi d'essere un'accozzaglia contraddittoria è altrettanto vero che gli Italiani hanno la buona  abitudine di affidarsi al primo imbonitore che  prometta loro un po' di soldini.
Nell'”accozzaglia” del NO ci sono una casta che non molla sui 950 parlamentari; c'è una casta di burocrati che non vuole essere licenziata; ci sono persone che credono di essere ancora al 26 aprile1945: cioè hanno poca fiducia nella tenuta della democrazia dopo 70 anni.
L'impressione mi ricorda i tempi degli scioperi: c'era sempre un solido gruppetto che non partecipava asserendo “che tanto non cambia niente” salvo poi intascare i vantaggi nel nuovo contratto senza dire grazie a nessuno di quelli che avevano scioperato anche per loro.
Perché poi l'idea penta stellata del reddito di cittadinanza è assai golosa. La loro proposta prevede che un nucleo familiare composto da 1 persona avrà diritto a percepire un reddito di 780 euro; un nucleo familiare composto da 2 persone avrà diritto a percepire un minimo di 1.014euro ed un massimo di 1.170 euro; un nucleo familiare composto da 3 persone avrà diritto a percepire un minimo di 1.248 ed un massimo di 1.560 euro. Mica paglia: sarebbe superiore alla media delle pensioni. I 17 miliardi necessari sarebbero recuperati  dal'evasione fiscale.
Ma il problema maggiore dei 5S sta nel fatto che non avendo mai governato, non si riesce a capire quali saranno le dinamiche interne nel periodo medio lungo, oltre ai potenti scazzi che già oggi, per quanto sopiti da Grillo, se vedono o si  intravedono.
Comunque senza cedere ad alcuna  conversione, nessuna paura se i grillini vanno al governo: dopo tutto quello che abbiamo sopportato non ci fanno paura.
Per molte ragioni.
L'Italia ormai si avvia definitivamente a dividersi un due. Chi osserva il territorio se ne avvede facilmente.
La via dell'internazionalizzazione di molti soggetti è bene intrapresa. Può e deve ancora migliorare: ma li si va avanti. Lo si vede nei settori industriali come in agricoltura come nei settori moda e disegno. Fai da te oppure appoggiandosi a strutture pubbliche e private il paese si sta dividendo tra chi ha lo sguardo sull'Europa e sul mondo e chi aspetta ancora la nonnina da spennare in bottega o in studio.
C'è un'Italia che è ormai parte del mondo e un'Italia che per diverse ragioni non riesce a farne parte; non ne vuole far parte perché perderebbe vantaggi esclusivi: si pensi al solo settore dei servizi…; non riesce nemmeno a vedere che la terra è una sfera.
La prima Italia non teme  l'avvento dei grillini. La seconda li vuole senza nemmeno rendersi conto che sta rigiocando una partita già persa nel 1994 o giù di li.




















tra gli altri partiti in Parlamento, Grillo potrà comunque lamentare una manovra per rendere più difficile al M5S governare. E in questo non avrà tutti i torti.
Lo sbarco del movimento a Palazzo Chigi fa paura un po' a tutti. In primo luogo ai mercati finanziari e all'Ue. Dopo lo choc della Brexit e l'ascesa di Donald Trump, la possibile vittoria dei 5 Stelle sarebbe il terzo segnale di un mondo che procede a passi rapidi verso nuovi equilibri.
E la fine dell'euro e la disintegrazione dell'Europa non apparirebbero più eventi fantapolitici. In un rapporto riservato, Hsbc scrive che la vittoria del No non aumenta le probabilità di vittoria del M5S perché il governo dovrebbe approvare una nuova legge elettorale più orientata al proporzionale che toglierebbe al movimento la possibilità di andare al potere, non volendo stringere alleanze con altri partiti. Mentre Goldman Sachs, per le stesse ragioni, ha alzato dal 20 al 25% la probabilità che si vada al voto nel 2017, in ogni caso con una legge diversa dall'Italicum, fatto che contribuirà a ridurre il rischio di ascesa al potere di forze anti-sistema.

I 5 Stelle alla prova del governo

La vittoria del No, che ha dimensioni schiaccianti nelle aree dove la crisi economica



le piazze, è funzionale a rassicurare gli attivisti affezionati al movimentismo iniziale. La coppia piace, funziona, è telegenica, ma non convince. Soprattutto all'interno del movimento.

Sarà il giovane DiMaio il candidato presidente?

La sua scarna biografia non è rassicurante: trent'anni, diploma classico, una carriera interrotta di studente di Giurisprudenza, una candidatura al Parlamento per i 5 Stelle ottenuta “dalla Rete” grazie a 189 voti, l'investitura a leader dal guru Gianroberto Casaleggio. Per il resto, nessuna esperienza amministrativa e – in qualità di Responsabile enti locali del M5S – una serie di fallimenti. In occasione delle inchieste  sulle firme false a Bologna e Palermo ha dovuto difendere goffamente il M5s dalle accuse di scarsa trasparenza. A Roma ha dovuto ammettere di avere tenuto nascosta la notizia dell'inchiesta sull'assessore Muraro. È stato lui a gestire la normalizzazione del movimento, la metamorfosi dal Vaffa incondizionato al pragmatismo in giacca e cravatta.
Il tandem con Alessandro Di Battista, lo scapigliato scooterista che aizza le piazze, è funzionale a rassicurare gli attivisti affezionati al movimentismo iniziale.










































































































































































































































































































































































































































































































































































Federica Salsi, tra le prime espulse eccellenti. «Al di là degli evidenti problemi di democrazia interna il problema sta proprio nel know how. Sono bravissimi a ottenere consenso di pancia con messaggi a effetto. Ma non entrano nel merito. Sono ostaggi di un blog. Non sono liberi d'agire per il bene dei cittadini che rappresentano».
Il pensiero va all'inchiesta sulle firme irregolari che a Bologna ha portato all'autosospensione del consigliere Marco Piazza, raggiunto da avviso di garanzia. «Si è autosospeso», dice Salsi, «ma solo per non danneggiare il M5S. Non per rispetto delle istituzioni o dei cittadini, tanto che è rimasto vicepresidente del Consiglio comunale e nei vertici di Rousseau. È stata solo una mossa di marketing».

Marketing e programmi
Marketing, dunque. Comunicazione e pancia. Non è un caso che Grillo abbia invitato a votare al referendum ignorando di fatto le ragioni del SI e del NO. Dice Lorenzo Andraghetti, ex militante cacciato dopo aver sfidato il candidato sindaco di Bologna Massimo Bugani: «Casaleggio ha capito che per vincere è inutile proporre un programma razionale e fare una seria campagna sulle proposte. Quello che serve è puro marketing elettorale: la prossima campagna che potrebbe portare il M5S al potere non sarà basata sulla credibilità ma sulla comprensibilità, in perfetto stile Trump». Salvo poi abbassare i toni.



Ne sa qualcosa Federico Pizzarotti, enfant prodige rinnegato da Grillo con il pretesto di non aver chiuso l'inceneritore di Parma. Anche Chiara Appendino ha dovuto presto ingoiare la pillola del compromesso. Per fare quadrare i conti del Comune di Torino, non ha rinunciato a incassare 19,6 milioni di euro per la costruzione del super centro commerciale alle porte della città. Poco importa se durante la campagna elettorale suquel no avesse messo la faccia.
Rispettato o meno, il No comunque paga. E non solo al referendum. Raccoglie il malcontento, conquista fasce di elettorato, polarizza l'opinione pubblica. E così negli anni è stato detto no alla Tav e recentemente Torino è uscita dall'Osservatorio sull'Alta velocità; no «all'Europa dei poteri forti e della Merkel»; no all'euro. Anche se Di Maio aveva fatto un passo indietro per tranquillizzare Bruxelles. Il no ha colpito pure sulle unioni civili, deludendo non poco gli elettori Lgbt. E ha seguito il M5s anche sui banchi del Campidoglio.
A Roma la Giunta Raggi ha detto no alle Olimpiadi, nonostante le aperture di Di Maio.
Un ostruzionismo letto da molti anche come una ammissione di incapacità.
E no anche alla linea C della metropolitana, dimezzata da una decisione della sindaca che non brilla certo per il suo attivismo propositivo. Non a caso la campagna elettorale appena cominciata sarà centrata in buona parte sulla Capitale, che rischia di diventare il vero tallone d'Achille dei 5 Stelle.




































































































































































































































































































































































spinge il voto di protesta, fa emergere un interrogativo: il M5S è in grado di governare? Se davvero salirà a Palazzo Chigi, quali scelte farà? L'interrogativo non è di lana caprina perché ogni volta che si è trovato ad amministrare la cosa pubblica il movimento non ha dato brillanti prove di sé.
Per Mauro Calise, professore di Scienza politica alla Federico II di Napoli, la stessa domanda in realtà non ha senso. «È una trappola di Grillo», spiega, «al momento non c'è alcun presupposto per andare al voto senza una legge per il Senato. I Cinque Stelle non hanno i numeri in Parlamento per mettere mano a una legge elettorale, nemmeno se si accordassero per assurdo con la Lega, il che è impossibile visto che è nel loro statuto genetico, ancor prima che nel loro Non Statuto formale, il rifiuto di alleanze».



La coppia piace, funziona, è telegenica, ma non convince.
Soprattutto all'interno del movimento.
Dove c'è chi, piuttosto, spinge per scalzare Di Maio – considerato il designato di Grillo e Davide Casaleggio – e incoronare candidato premier Di Battista (che fin qui si è sempre sfilato).
DiMaio non ha carisma», sottolinea Andrea Defranceschi, ex consigliere regionale espulso nell'ottobre 2014, «è bravo, riesce ad argomentare in modo interessante, parla bene in tv. Ma fare il premier significa saper guidare una squadra, gestire stress ed emergenze. A Roma, Palermo e Bologna ha dimostrato la sua incapacità».