|
|
Secondo
l'ultimo World Health Statistics (2015) dell'Organizzazione mondiale
della sanità, l'Italia occupa il quarto posto al mondo per speranza
media di vita alla nascita, dopo Giappone, Andorra e Australia. Per
quanto riguarda l'aspettativa di vita in salute l'Italia è addirittura
al secondo posto, assieme alla Spagna (73 anni) e alle spalle di
Singapore (76 anni). Oggi nel nostro Paese quasi due milioni e mezzo di
persone sono vicine alla soglia degli 80 anni, il 21 per cento della
popolazione ha più di 65 anni (una quota che, si calcola, nel 2080
raggiungerà il 35 per cento). Eppure, il nostro sembra non essere un
Paese per vecchi, come ormai ben sappiamo, dato che in pochi –
sicuramente non i politici – sembrano cogliere le molteplici
implicazioni legate al fenomeno dell'invecchiamento.
Tra le carenze più macroscopiche, c'è sicuramente la scarsa (o nulla)
attenzione nei confronti di politiche destinate alla crescente fascia
di età che va dagli anni del pensionamento a quelli della non
autosufficienza, in media circa una quindicina. Non a caso, il fenomeno
delle badanti ha un'ampiezza quasi unica al mondo in rapporto alla
popolazione. I dati ufficiali (Inps) parlano di circa 800 mila, ma se
si tiene conto del lavoro nero, arriviamo quasi a due milioni, mentre
360 mila sono le persone che occupano posti letto all'interno delle
residenze sanitarie assistite.
Il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, anche in
età avanzata, è in parte dovuto a una grande conquista sociale del
secolo scorso: il sistema sanitario di tipo universalistico creato
negli anni settanta, che dà accessibilità alle cure a tutta la
popolazione, anche se lo fa in modo differenziato, dato che ormai
abbiamo tanti servizi sanitari quante sono le Regioni. Attenzione però
alla possibile inversione di tendenza: secondo l'ultimo rapporto Censis
sono 11 milioni le persone che in Italia hanno rinunciato alle cure,
vuoi per ragioni economiche, vuoi perché i centri di cura sono troppo
lontani. E di questi il 24 per cento è composto da anziani. “Purtroppo
i tagli allo Stato sociale – denuncia Enzo Costa, il presidente
nazionale dell'Auser, l'associazione di volontariato e di promozione
sociale costituita nel 1989 per iniziativa della Cgil e dei pensionati
dello Spi – colpiscono le persone più fragili, come i bambini e gli
anziani. L'invecchiamento della popolazione è un trend strutturale e,
quindi, se non metti in atto politiche strutturali i problemi che
questo fenomeno porta con sé non saranno più governabili”.
L'Unione europea sta cercando da tempo di correre ai ripari, tanto da avere proclamato il 2012 come “anno europeo del'invecchia
mento attivo e della solidarietà tra generazioni".
Una delle misure previste dall'Ue é stata la costruzione dell'indice di
invecchiamento attivo, che -in base a indicatori come il tasso di
occupazione, l'esercizio fisico, l'accesso ai servizi sanitari, l'uso
delle tecnologie, lo svolgimento di attività in campo politico,
sociale,
culturale – misura il grado di realizzazione degli anziani in termini
di occupazione, autonomia e partecipazione. In base a tale indice,
l'Italia risultava nel 2014 al quattordicesimo posto su 28 Paesi
europei, mentre i primi posti erano occupati da Svezia, Danimarca e
Olanda, e gli ultimi da Ungheria, Polonia e Grecia. Siamo più indietro,
invece, per quanto riguarda l'apprendimento attivo, l'autonomia e
l'occupazione lavorativa.
Tuttora gli italiani sono tra i meno occupati nella fascia d'età dai 60
ai 64 anni (diciannovesimo posto in graduatoria), nonostante le
politiche mirate a prolungare l'età del pensionamento e a ritardare
l'uscita dal mercato del lavoro. L'aspetto più negativo è che siamo
molto indietro nella classifica per esercizio fisico. Si invecchia bene
se ci si tiene in forma e se si è magri, non si prende peso, perché
l'obesità è un fattore peggiorativo per quanto riguarda la qualità
della vita. Secondo Help Age International, l'agenzia Onu che misura la
qualità della vita a livello globale, l'Italia si colloca al 37° posto
nella classifica mondiale, ultima tra i paesi Ue. L'Italia però è al
secondo posto nell'Ue per quanto riguarda l'interessamento agli anziani
e ai parenti non autosufficienti, e al primo posto per la cura degli
anziani da parte dei nipoti, a dimostrazione che la cultura della
solidarietà è dura a morire.
|
|
|
|
|
|
|
|
“Non
c'è sistema sociale che valga l'affetto e la cura di un prossimo –
commenta Alfredo Zanatta, direttore del dipartimento di Medicina e
Geriatria dell'Ospedale Civile di Legnago, in provincia di Verona –.
Senza apporto delle famiglie non c'è sistema sanitario che tenga”. Né
va trascurato il fatto che la rete familiare è stata finora l'antidoto
principale alla solitudine e alla depressione degli anziani, che sono
tra i fenomeni più macroscopici legati all'invecchiamento. Ne sa
qualcosa l'Auser, che al numero verde appositamente allestito riceve
ogni anno un milione e 400 mila chiamate di anziani soli. I quali non
chiedono altro che compagnia, seppure attraverso una semplice
conversazione telefonica.
Il prossimo auspicabile obiettivo
– per il nostro Paese, ma non solo –, dovrebbe essere quello di ridurre
la disabilità nell'ultima parte di vita. C'è un progetto europeo
ambizioso per alleggerire la disabilità di due anni entro il 2020 per
le persone negli ultimi dieci anni della loro esistenza.
Un obiettivo possibile e auspicabile in un quadro tra i migliori del
mondo,
perché abbiamo un sistema sanitario che costa poco ed è tra i
più efficienti a livello globale.
“Teniamoci caro questo sistema – prosegue Zanatta –. Certamente va
riformato, ma il suo impianto va difeso, perché ha portato risultati
straordinari nell'ultimo secolo”. In questo quadro, però, risultano del
tutto insufficienti
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
perché abbiamo un sistema sanitario che costa poco ed è tra i
più efficienti a livello globale.
“Teniamoci caro questo sistema – prosegue Zanatta –. Certamente va
riformato, ma il suo impianto va difeso, perché ha portato risultati
straordinari nell'ultimo secolo”. In questo quadro, però, risultano del
tutto insufficienti le politiche per l'invecchiamento attivo, che
finora si sono limitate a incentivare la transizione graduale al
pensionamento. D'altra parte, gli sforzi per mantenere i lavoratori
anziani nel mercato del lavoro – contribuendo peraltro ad alleggerire i
costi della previdenza pubblica – si sono scontrati con la necessità
per molte aziende di ridurre la forza lavoro a causa della crisi.
Porre rimedio a questa situazione confusa e in parte contraddittoria è
proprio l'obiettivo che si pone la proposta di legge n. 3538 “Misure
per favorire l'invecchiamento attivo della popolazione attraverso
l'impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e le
iniziative di formazione permanente”, la cui discussione in sede parlamentare era prevista entro la fine del 2016
(ma l'onda lunga delle discussioni intorno al referendum costituzionale
la sposterà prevedibilmente all'inizio del prossimo anno). Si tratta di
una proposta presentata da un gruppo di deputati e fortemente voluta
dalle associazioni che si occupano di anziani, tra cui in primo luogo
l'Auser. “La risorsa costituita dagli anziani – si legge nella premessa
ai 9 articoli previsti dalla legge – resta una delle principali
ricchezze di ogni
società evoluta, soprattutto per la vastità di
conoscenza e di capacità e per la possibilità di
|
|
|
|
|
|
|
|
Il giorno successivo alla pubblicazione dell'articolo di Carlo Gnetti
viene presentato anche il 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale
del Paese /2016 di cui pubblichiamo una prima sintesi:
"
L'Italia rentier che non investe sul
futuro. Le aspettative degli italiani
continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio
reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti
non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti
dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi
contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile sarà
una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una
opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi
vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese
ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%). L'immobilità sociale genera
insicurezza, che spiega l'incremento dei flussi di cash. Rispetto al 2007,
dall'inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per
114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come
l'Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non
vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al
valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria
del Pil dei Paesi Ue
Così, con una incidenza degli
investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a
grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania
(19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi
dal dopoguerra. Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le
risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere
pezzo a pezzo l'argenteria di famiglia.
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
utilizzare tali
conoscenze per educare le giovani generazioni”.
La legge individua nei Comuni, d'intesa con le associazioni, i soggetti
responsabili della realizzazione delle politiche per l'invecchiamento,
incaricandoli di individuare e promuovere una serie di attività che
vanno dalla formazione al turismo sociale, dal volontariato ai momenti
di socializzazione, dalle attività di tutoraggio e di insegnamento alle
iniziative di carattere culturale, dal recupero del territorio alla
tutela dei beni culturali, fino all'assistenza dei soggetti
svantaggiati. “Solo una legge nazionale può servire a questo scopo –
osserva Costa –, essendo in grado di mobilitare risorse in modo
omogeneo e non in relazione all'assetto variabile delle Regioni. Si
tratta di creare un contesto favorevole all'impegno e all'autostima, in
cui si possano coltivare amicizie e rapporti al di fuori delle pareti
domestiche e in una logica che prescinde dai vincoli del lavoro. Di
modo che l'anziano, quando si alza al mattino, sappia cosa fare e non
si lasci prendere dal senso di vuoto e dalla depressione. In breve, la
proposta di legge non solo riconosce agli anziani il diritto di essere
trattati come persone, ma intende favorire, attraverso l'invecchiamento
attivo, una logica di prevenzione che consenta di ridurre i costi della
non autosufficienza a carico della società intera”.
|
|
|
|
|
|
|
|
Figli più poveri dei nonni: il ko
economico dei giovani. Sono evidenti gli esiti di un inedito
e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha
letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della
popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito
più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con
venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di
quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece
aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3%
rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani
nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per
gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%. Il divario tra i giovani e il
resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni
fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9%
(mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media
solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%)."
I
numeri del Censis nella loro crudezza ci dicono che gli anziani debbono
fare qualche riflessione per rendersi conto che é giunto il momento
di sventrare il salvadanaio (INUTILE) in cui hanno accumulato una
strepitosa ricchezza e nel contempo reclamano maggiore attenzione non
solo economica. Generosità vado cercando sopratutto per il futuro dei
figli.
|
|
|