NUMERO 262 - PAGINA 1- REINTERPRETARE IL RUOLO DEGLI ANZIANI




























































La risorsa anziani come bene comune
Carlo Gnetti

Nel nostro Paese si presta scarsa attenzione nei confronti della fascia di popolazione che va dagli anni del pensionamento a quelli della non autosufficienza. Una situazione confusa e contraddittoria cui tenta di porre rimedio la proposta di legge n. 3538








Nonostante o per via della crisi gli anziani sono più ricchi dei giovani come reddito e risparmi.
E si lamentano pure.





















































Secondo l'ultimo World Health Statistics (2015) dell'Organizzazione mondiale della sanità, l'Italia occupa il quarto posto al mondo per speranza media di vita alla nascita, dopo Giappone, Andorra e Australia. Per quanto riguarda l'aspettativa di vita in salute l'Italia è addirittura al secondo posto, assieme alla Spagna (73 anni) e alle spalle di Singapore (76 anni). Oggi nel nostro Paese quasi due milioni e mezzo di persone sono vicine alla soglia degli 80 anni, il 21 per cento della popolazione ha più di 65 anni (una quota che, si calcola, nel 2080 raggiungerà il 35 per cento). Eppure, il nostro sembra non essere un Paese per vecchi, come ormai ben sappiamo, dato che in pochi – sicuramente non i politici – sembrano cogliere le molteplici implicazioni legate al fenomeno dell'invecchiamento.
Tra le carenze più macroscopiche, c'è sicuramente la scarsa (o nulla) attenzione nei confronti di politiche destinate alla crescente fascia di età che va dagli anni del pensionamento a quelli della non autosufficienza, in media circa una quindicina. Non a caso, il fenomeno delle badanti ha un'ampiezza quasi unica al mondo in rapporto alla popolazione. I dati ufficiali (Inps) parlano di circa 800 mila, ma se si tiene conto del lavoro nero, arriviamo quasi a due milioni, mentre 360 mila sono le persone che occupano posti letto all'interno delle residenze sanitarie assistite.

Il miglioramento delle condizioni di vita della popolazione, anche in età avanzata, è in parte dovuto a una grande conquista sociale del secolo scorso: il sistema sanitario di tipo universalistico creato negli anni settanta, che dà accessibilità alle cure a tutta la popolazione, anche se lo fa in modo differenziato, dato che ormai abbiamo tanti servizi sanitari quante sono le Regioni. Attenzione però alla possibile inversione di tendenza: secondo l'ultimo rapporto Censis sono 11 milioni le persone che in Italia hanno rinunciato alle cure, vuoi per ragioni economiche, vuoi perché i centri di cura sono troppo lontani. E di questi il 24 per cento è composto da anziani. “Purtroppo i tagli allo Stato sociale – denuncia Enzo Costa, il presidente nazionale dell'Auser, l'associazione di volontariato e di promozione sociale costituita nel 1989 per iniziativa della Cgil e dei pensionati dello Spi – colpiscono le persone più fragili, come i bambini e gli anziani. L'invecchiamento della popolazione è un trend strutturale e, quindi, se non metti in atto politiche strutturali i problemi che questo fenomeno porta con sé non saranno più governabili”.
L'Unione europea sta cercando da tempo di correre ai ripari, tanto da avere proclamato il 2012 come “anno europeo del'invecchia
mento attivo e della solidarietà tra generazioni".
Una delle misure previste dall'Ue é stata la costruzione dell'indice di invecchiamento attivo, che -in base a indicatori come il tasso di occupazione, l'esercizio fisico, l'accesso ai servizi sanitari, l'uso delle tecnologie, lo svolgimento di attività in campo politico,



sociale, culturale – misura il grado di realizzazione degli anziani in termini di occupazione, autonomia e partecipazione. In base a tale indice, l'Italia risultava nel 2014 al quattordicesimo posto su 28 Paesi europei, mentre i primi posti erano occupati da Svezia, Danimarca e Olanda, e gli ultimi da Ungheria, Polonia e Grecia. Siamo più indietro, invece, per quanto riguarda l'apprendimento attivo, l'autonomia e l'occupazione lavorativa.

Tuttora gli italiani sono tra i meno occupati nella fascia d'età dai 60 ai 64 anni (diciannovesimo posto in graduatoria), nonostante le politiche mirate a prolungare l'età del pensionamento e a ritardare l'uscita dal mercato del lavoro. L'aspetto più negativo è che siamo molto indietro nella classifica per esercizio fisico. Si invecchia bene se ci si tiene in forma e se si è magri, non si prende peso, perché l'obesità è un fattore peggiorativo per quanto riguarda la qualità della vita. Secondo Help Age International, l'agenzia Onu che misura la qualità della vita a livello globale, l'Italia si colloca al 37° posto nella classifica mondiale, ultima tra i paesi Ue. L'Italia però è al secondo posto nell'Ue per quanto riguarda l'interessamento agli anziani e ai parenti non autosufficienti, e al primo posto per la cura degli anziani da parte dei nipoti, a dimostrazione che la cultura della solidarietà è dura a morire.







“Non c'è sistema sociale che valga l'affetto e la cura di un prossimo – commenta Alfredo Zanatta, direttore del dipartimento di Medicina e Geriatria dell'Ospedale Civile di Legnago, in provincia di Verona –. Senza apporto delle famiglie non c'è sistema sanitario che tenga”. Né va trascurato il fatto che la rete familiare è stata finora l'antidoto principale alla solitudine e alla depressione degli anziani, che sono tra i fenomeni più macroscopici legati all'invecchiamento. Ne sa qualcosa l'Auser, che al numero verde appositamente allestito riceve ogni anno un milione e 400 mila chiamate di anziani soli. I quali non chiedono altro che compagnia, seppure attraverso una semplice conversazione telefonica.
Il prossimo auspicabile obiettivo – per il nostro Paese, ma non solo –, dovrebbe essere quello di ridurre la disabilità nell'ultima parte di vita. C'è un progetto europeo ambizioso per alleggerire la disabilità di due anni entro il 2020 per le persone negli ultimi dieci anni della loro esistenza.
Un obiettivo possibile e auspicabile in un quadro tra i migliori del mondo,
perché abbiamo un sistema sanitario che costa poco ed è tra i più efficienti a livello globale.

“Teniamoci caro questo sistema – prosegue Zanatta –. Certamente va riformato, ma il suo impianto va difeso, perché ha portato risultati straordinari nell'ultimo secolo”. In questo quadro, però, risultano del tutto insufficienti











perché abbiamo un sistema sanitario che costa poco ed è tra i più efficienti a livello globale.

“Teniamoci caro questo sistema – prosegue Zanatta –. Certamente va riformato, ma il suo impianto va difeso, perché ha portato risultati straordinari nell'ultimo secolo”. In questo quadro, però, risultano del tutto insufficienti le politiche per l'invecchiamento attivo, che finora si sono limitate a incentivare la transizione graduale al pensionamento. D'altra parte, gli sforzi per mantenere i lavoratori anziani nel mercato del lavoro – contribuendo peraltro ad alleggerire i costi della previdenza pubblica – si sono scontrati con la necessità per molte aziende di ridurre la forza lavoro a causa della crisi.

Porre rimedio a questa situazione confusa e in parte contraddittoria è proprio l'obiettivo che si pone la proposta di legge n. 3538 “Misure per favorire l'invecchiamento attivo della popolazione attraverso l'impiego delle persone anziane in attività di utilità sociale e le iniziative di formazione permanente”, la cui discussione in sede parlamentare era prevista entro la fine del 2016  (ma l'onda lunga delle discussioni intorno al referendum costituzionale la sposterà prevedibilmente all'inizio del prossimo anno). Si tratta di una proposta presentata da un gruppo di deputati e fortemente voluta dalle associazioni che si occupano di anziani, tra cui in primo luogo l'Auser. “La risorsa costituita dagli anziani – si legge nella premessa ai 9 articoli previsti dalla legge – resta una delle principali ricchezze di ogni società evoluta, soprattutto per la vastità di conoscenza e di capacità e per la possibilità di







Il giorno successivo alla pubblicazione dell'articolo di Carlo Gnetti viene presentato anche il 50° Rapporto Censis sulla situazione sociale del Paese /2016 di cui pubblichiamo una prima sintesi:
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L'Italia rentier che non investe sul futuro. Le aspettative degli italiani continuano a essere negative o piatte. Il 61,4% è convinto che il proprio reddito non aumenterà nei prossimi anni, il 57% ritiene che i figli e i nipoti non vivranno meglio di loro (e lo pensa anche il 60,2% dei benestanti, impauriti dal downsizing generazionale atteso). Il 63,7% crede che, dopo anni di consumi contratti e accumulo di nuovo risparmio cautelativo, l'esito inevitabile sarà una riduzione del tenore di vita. Fare investimenti di lungo periodo è una opzione per una quota di persone (il 22,1%) molto inferiore a quella di chi vuole potenziare i propri risparmi (il 56,7%) e tagliare ancora le spese ordinarie per la casa e l'alimentazione (il 51,7%). L'immobilità sociale genera insicurezza, che spiega l'incremento dei flussi di cash. Rispetto al 2007, dall'inizio della crisi gli italiani hanno accumulato liquidità aggiuntiva per 114,3 miliardi di euro, un valore superiore al Pil di un Paese intero come l'Ungheria. La liquidità totale di cui dispongono in contanti o depositi non vincolati (818,4 miliardi di euro al secondo trimestre del 2016) è pari al valore di una economia che si collocherebbe al quinto posto nella graduatoria del Pil dei Paesi Ue
Così, con una incidenza degli investimenti sul Pil pari al 16,6% nel 2015, l'Italia si colloca non solo a grande distanza dalla media europea (19,5%), da Francia (21,5%), Germania (19,9%), Spagna (19,7%) e Regno Unito (16,9%), ma è tornata ai livelli minimi dal dopoguerra. Emerge una Italia rentier, che si limita a utilizzare le risorse di cui dispone senza proiezione sul futuro, con il rischio di svendere pezzo a pezzo l'argenteria di famiglia.










































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































utilizzare tali conoscenze per educare le giovani generazioni”.

La legge individua nei Comuni, d'intesa con le associazioni, i soggetti responsabili della realizzazione delle politiche per l'invecchiamento, incaricandoli di individuare e promuovere una serie di attività che vanno dalla formazione al turismo sociale, dal volontariato ai momenti di socializzazione, dalle attività di tutoraggio e di insegnamento alle iniziative di carattere culturale, dal recupero del territorio alla tutela dei beni culturali, fino all'assistenza dei soggetti svantaggiati. “Solo una legge nazionale può servire a questo scopo – osserva Costa –, essendo in grado di mobilitare risorse in modo omogeneo e non in relazione all'assetto variabile delle Regioni. Si tratta di creare un contesto favorevole all'impegno e all'autostima, in cui si possano coltivare amicizie e rapporti al di fuori delle pareti domestiche e in una logica che prescinde dai vincoli del lavoro. Di modo che l'anziano, quando si alza al mattino, sappia cosa fare e non si lasci prendere dal senso di vuoto e dalla depressione. In breve, la proposta di legge non solo riconosce agli anziani il diritto di essere trattati come persone, ma intende favorire, attraverso l'invecchiamento attivo, una logica di prevenzione che consenta di ridurre i costi della non autosufficienza a carico della società intera”.








Figli più poveri dei nonni: il ko economico dei giovani. Sono evidenti gli esiti di un inedito e perverso gioco intertemporale di trasferimento di risorse che ha letteralmente messo ko economicamente i millennial. Rispetto alla media della popolazione, oggi le famiglie dei giovani con meno di 35 anni hanno un reddito più basso del 15,1% e una ricchezza inferiore del 41,1%. Nel confronto con venticinque anni fa, i giovani di oggi hanno un reddito del 26,5% più basso di quello dei loro coetanei di allora, mentre per gli over 65 anni è invece aumentato del 24,3%. La ricchezza degli attuali millennial è inferiore del 4,3% rispetto a quella dei loro coetanei del 1991, mentre per gli italiani nell'insieme il valore attuale è maggiore del 32,3% rispetto ad allora e per gli anziani è maggiore addirittura dell'84,7%. Il divario tra i giovani e il resto degli italiani si è ampliato nel corso del tempo, perché venticinque anni fa i redditi dei giovani erano superiori alla media della popolazione del 5,9% (mentre oggi sono inferiori del 15,1%) e la ricchezza era inferiore alla media solo del 18,5% (mentre oggi lo è del 41,1%)."

I numeri del Censis nella loro crudezza ci dicono che gli anziani debbono fare qualche riflessione per rendersi conto che é giunto il momento di  sventrare il salvadanaio (INUTILE) in cui hanno accumulato una strepitosa ricchezza e nel contempo reclamano maggiore attenzione non solo economica. Generosità vado cercando sopratutto per il futuro dei figli.