NUMERO 259 - PAGINA 3 - NON SIAMO GIA' AL DOPO QUATTRO DICEMBRE





































E se invece questo referendum non fosse un finimondo? Se il 5 dicembre scoprissimo che non è cambiato nulla? Gettiamo in un cestino gli ansiolitici, proviamo a spalancare gli occhi sugli scenari che ci attendono. Sono quattro, come le stagioni.
Ma il loro paesaggio è già dipinto, quale che sia il responso delle urne. Primo: la Costituzione. Siamo alle prese con la sua riforma da trent'anni; se lasciamo passare questo treno, chissà quando ne incroceremo un altro. Quindi l'alternativa è fra rivoluzione e stagnazione. Sicuro? Dal 1989 in poi sono state approvate 13 leggi di revisione costituzionale, che hanno corretto 30 articoli della nostra Carta e ne hanno abrogati 5. Insomma: di riforme ne abbiamo cucinate, eccome. Però piccole, leggere. Sono le macroriforme che ci risultano indigeste. È successo con 3 Bicamerali, è risuccesso nel 2005 con la Devolution di Bossi e Berlusconi. Invece nel 2012 l'introduzione del pareggio di bilancio, promossa dal governo Monti, ottenne la maggioranza dei due terzi in Parlamento, tanto da rendere impossibile il referendum.
E adesso? Comunque vada, s'apre una stagione di microriforme. Se vince il Sì, perché la Grande Riforma sarà stata già timbrata, lasciando spazio solo a qualche aggiustamento; d'altronde anche il presidente Renzi, anche il ministro Boschi, ammettono che il loro testo presenta talune imperfezioni da correggere. Se vince il No, lo stesso. Ne trarremo giocoforza la lezione che gli italiani accettano soltanto interventi chirurgici, puntuali, sulla Costituzione. E in entrambi i casi procederemo a piccoli passi, senza sbalzi, senza troppi scossoni. Se non altro, eviteremo d'inciampare.
Secondo: la legge elettorale. Verrà emendata, a prendere sul serio il «foglietto » ( copyright Bersani), ovvero l'accordo siglato all'interno del Pd: e dunque via il ballottaggio, premio di governabilità, sistema di collegi. Ma anche a non prenderlo sul serio, resta pur sempre l'esigenza d'approvare una nuova legge elettorale, immediatamente dopo il referendum. O quella della Camera, o quella del Senato. Difatti: se la riforma costituzionale cade nelle urne, insieme ad essa cade anche l'-Italicum (che presume una sola Camera politica); quindi tocca rimpiazzarlo. Se invece la riforma sopravvive, ci sarà da scrivere la legge elettorale del Senato, per renderlo operante. Mutando l'esito del voto popolare, non mutano gli effetti.
Terzo: il governo. Dovrebbe restare indenne da un'eventuale bocciatura: è un esecutivo, non un'Assemblea costituente. E ha davanti un referendum, mica una mozione di sfiducia. Invece no, non in questo caso. Il quesito che ci interrogherà fra dieci giorni si è caricato d'elementi politici, fino a oscurare il merito costituzionale. Sbagliato, però inevitabile; dopotutto votiamo (per la prima volta) su una riforma battezzata dalla stessa maggioranza, dallo stesso esecutivo ancora in sella. Dunque se prevale il Sì, Renzi rimane a cavallo; altrimenti verrà disarcionato. Davvero? Lui è pur sempre l'azionista di maggioranza del partito di maggioranza alla Camera, grazie al premio somministrato dal Porcellum. Sicché dopo Renzi c'è Renzi, oppure un renziano.
Quarto: le elezioni. Quando si vota?
Dipenderà dal referendum, dicono tutti gli analisti. Se vince il No, elezioni anticipate; altrimenti la legislatura toccherà la sua scadenza naturale, nel 2018. Errore: si voterà comunque in primavera. Anche se vince il Sì, soprattutto in questo caso. Per una ragione politica: a quel punto, il presidente del Consiglio passerà all'incasso, come farebbe chiunque altro nei suoi panni. Per una ragione istituzionale: si può tenere in vita, per un paio d'anni ancora, un Senato abrogato dal voto popolare? Sarebbe come se nel 1948, dopo l'entrata in vigore della Carta repubblicana, si fosse lasciato sopravvivere il Senato regio, come un fantasma intrappolato nella città dei vivi. Sicché mettiamoci tranquilli: il voto del 4 dicembre è solo un antipasto. E il pasto cuoce già nel forno. Speriamo di non farne indigestione.

Miche Ainis
La Repubblica /25 novembre 2016









Con una molletta al naso voteremo SI al Referendum del quattro dicembre sperando che questo primo passo non sia anche l'ultimo. Contrariamente a tutti quelli che annunciano che il cinque dicembre sarà un giorno come il precedente sono convinto che a fine gennaio lo spread arriverà a 250 o 300. Già  due terzi dell'Italia é ferma perchè non sa cosa produrre e nemmeno saprebbe inventare qualcosa come sono fermamente convinti di stare fermi tutti quelli che voteranno NO.









Dopo il 5 dicembre, chiunque vinca, sarebbe bello se le due Italie che si sono volute dividere col voto tornas­sero a unirsi per affrontare il problema più importante: il declino italiano. Ho dedicato al tema del declino uno dei primi Contromano del Venerdì, oltre vent'anni fa, e molti altri da allora. Senza mai vedere un governo di qualsiasi colore capace di metterlo al centro della propria azione o almeno della discussione pubblica. La campagna elettorale che ci saremo lasciati alle spalle a dicembre è stata pessima, come del resto lo sono sempre di più le campagne elettorali in tutte le democrazie. Basti pensare al referendum inglese e alle presidenziali americane, che hanno prodotto la Brexit e la vittoria di Donald Trump. Del resto, perché l'imbarbarimento progressivo della politica non dovrebbe alla fine portare all'arrivo dei barbari?
Il 5 dicembre la smetteremo dunque tutti di pensare che la vittoria del No spalanchi le porte alla presa del Palazzo d'inverno o che la vittoria del Sì arresti di colpo la deindustrializzazione.
Il declino italiano in Europa non c'entra con la Costituzione, che per trent'anni dal Dopoguerra ha accompagnato la straordinaria
parabola dalle macerie belliche al ruolo di quarta o quinta potenza industriale, ma piuttosto deriva da anomalie degli ultimi decenni che ci si ostina a non affrontare. Un elenco sommario: 1) una colossale evasione fiscale, quasi la metà di tutta l'Unione, che ci costringe a una pressione fiscale intollerabile su lavoratori e imprese, con gravissimo danno competitivo; 2) Una corruzione da 60 miliardi all'anno; 3) Investimento pubblico insuffi­ciente e mal indirizzato, quasi tutto assorbito da spesa corrente. L'Italia è diventata il paese europeo che spende meno e peggio il denaro pubblico, ultima per investimenti strategi­ci e prima per opere pubbliche incompiute; 4) Un totale e drammatico disinvestimento in formazione, istruzione e cultura, tre settori nei quali siamo diventati ultimi o penultimi sui 28 paesi Ue; 5) Siamo un paese per vecchi, che continua a spendere troppo per le pensioni e non fa nulla per arginare un fenomeno crescente di emigra­zione giovanile unico fra le nazioni ricche del pianeta. Con il Sì o con il No, con o senza bicameralismo, dentro o fuori l'euro, fin tanto che non si affronteranno sul serio questi problemi l'Italia, come mai si è fatto negli ultimi vent'anni, l'Italia non potrà che continuare sulla strada del declino, della deindustrializzazione,  della progressiva deriva verso la marginalità in Europa e nel mondo.

Curzio Maltese
IL VENERDI/La Repubblica
25 novembre 2016














































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Per l'Italia dei parassiti e dei garantiti il NO é una asicurazione sulla vita. Per Grillo la certezza di governare. Per Renzi una sberla di quelle toste. Per il Parlamento -che ha votato a maggioranza la riforma- dovrebbe essere il decreto di sfratto ma sono certo che non ci pensano nemmeno.
Già questa riforma la voto  con la molletta al naso perchè non  abolisce del tutto il Senato e le Regioni. Anche se l'avere ricondotto in ambito nazionale certi indirizzi p.e. sulla sanità é un passo avanti.
Il cinque dicembre non sarà come il tre dicembre perchè  lo spread salterà sopra i 300 punti, perchè la legge di stabilità sarà massacrata dalla UE, perchè l'Italia si inchioderà di nuovo.
C'è solo da sperare che  quegli italiani che avevano un mutuo a tasso variabile in questi ultimi due anni  ne abbiano fatto uno a tasso fisso. Ma per le imprese che  avessero bisogno di denaro, saranno dolori.
Moltissimi sono i suonatori volontari arrualati a magnificare un governo tecnico di larghe intese per rifare una legge elettorale di un Paese che boh?!.
Il disincanto con cui osservo la voglia di farsi del male degli italiani vede gli amorosi consensi degli Italiani con una classe politica che mira solo a salvare  i propri privilegi.
Il cinque dicembre col NO inizia un percorso in salita.