NUMERO 256 - PAGINA 1- CERCARE UN FUTURO





































































Un articolo di Roberto Scaramella si interroga sulla necessità che l’Ue si dia un piano contro la povertà che ormai investe endemica le genti d’Europa. L’articolo di Massimo Muchetti -deputato PD-  si interroga dopo un’ampia riflessione se il Renzi farà la stessa fine di Hillary Clinton. La classe media americana impoverita e senza prospettive non ha risposto alla sirena clintoniana ed ha assunto il rischio Trump. Muchetti pensa che qualche timore dovrebbe averlo anche il Renzi .
Il problema è che nessuno dei due da una risposta  a quello che dovrebbero fare i rispettivi governi in una situazione in cui l’imperialismo occidentale è completamente mutato come natura e non può più essere replicato come fino a venti trenta anni or sono. Oggi l’operaio cinese ipersfruttato può produrre da solo quello che ieri gli vendeva l’Occidente, qui realizzato da una classe operaia abbastanza soddisfatta. Oggi la povertà investe sia l’operaio occidentale costretto a pochissima occupazione e l’operaio cinese ipersfruttato.










































Nuovi poveri: è necessario un piano Ue.

Roberto Sommella
Il Corriere della Sera, 15 novembre 2016

Quando ha cominciato a diventare obsoleto il lavoro di una volta? È luogo comune dare la colpa alla digitalizzazione dell'economia ma le avvisaglie partono da lontano. Se è vero che la globalizzazione ha trascinato fuori dalla povertà un miliardo di persone, milioni di giovani occidentali vivono ormai svolgendo lavoretti mordi e fuggi, prigionieri di un precariato stabile. Alcuni dati dimostrano che ciò avviene anche dove l'occupazione è ai massimi. Negli Stati Uniti, il Paese che più degli altri ha mostrato capacità di rialzarsi dalla crisi, l'1 per mille della popolazione ha goduto del 60% dell'aumento della ricchezza nazionale, percentuale che sale al 90% se si considera l'1% degli americani. Una grande crescita ma per pochi, fattore che sta dietro il successo di Donald Trump alle elezioni presidenziali. L'Ocse ha rilevato che i posti «non standard» (tempo determinato, part time o autonomi) rappresentavano il totale dell'aumento netto dei posti nel Regno Unito sin dal 1995, ben nove anni prima della nascita di Facebook e di tanti altri over the top. Secondo un rapporto della Joseph Rowntree Foundation, in Gran Bretagna quattro lavoratori sottopagati su cinque non riescono ad ottenere salari decenti neanche dopo dieci anni, mentre il 30% delle persone in età lavorativa non può permettersi un piano pensionistico privato.
Se negli Usa, entro il 2020 metà degli individui lavorerà come free lance, è però dall'inizio del nuovo millennio che le multinazionali hanno cominciato a guadagnare di più con le loro controllate finanziarie piuttosto che con le unità di core business . Basta rileggere le cronache. Nei primi anni duemila la General Motors incassava dalla Gmac l'80% degli utili derivanti dal credito al consumo. Nello stesso periodo Unilever ha dimezzato i propri dipendenti diretti, mentre Kraft e Nestlé hanno preso misure analoghe. I giganti dell'economia reale hanno insomma incentivato i lavori esterni, riducendo i posti interni e con loro salari e costi. Si è trattato di un'involuzione industriale, di uno sboom silenzioso, ben prima della Gig Economy. Emblematico il caso delle auto: per Jeremy Rifkin ad ogni vettura presa in sharing se ne produrranno una dozzina in meno.
Sundar Pichai, amministratore delegato di Google, ha detto che il futuro del mondo digitale «sta evolvendo dal primato del mobile a quello dell'intelligenza artificiale»; Tom Barrack, consigliere ascoltato di Trump, ha scritto che «i maggiori beneficiari delle attuali politiche monetarie sono una piccola e già ricca classe di investitori» mentre la middle class ha perso «ogni speranza».
Non ci si può però arrendere a queste evidenze, soprattutto in Europa. I vertici dell'Unione dovrebbero cogliere i molteplici segnali di destabilizzazione della società per mettere a punto un piano d'emergenza contro precarietà e nuove povertà.



I due articoli di Sommella e Mucchetti (l'estratto) trattano praticamente il medesimo problema  e gli effetti nemmeno troppo collaterali sotto punti di vista differenti. L'articolo di Mucchetti é riportato per esteso al link in testata.
Sotto riportiamo due articoli sulle modifiche che Facebook e Google avrebbero portato  per evitare la diffusione delle c.d. "bufale on line" per avvantaggiare qualcuno o qualcosa in danno della concorrenza.
Senza volere apparire come difensore di due mostri tecnolgici ed economici come Google e Facebook, pur condividendo l'analisi di Mucchetti e l'opinione di Sommella mi sento di dire che ancora una volta la politica arriva in ritardo nel capire gli effetti che determina lo sviluppo di internet e sopratutto la  sua velocità nella trasmissione delle informazioni. Cui poi si aggiunge il fatto che ormai i telefoni (dov'é la novità?) sono diventati dei veri e proprio computer sempre connessi ed a costi decrescenti.
Sostanzialmente queste società esattamente come i trader on line, fanno affari non violando leggi ma utilizzando proprio la mancanza di leggi.
L'idea che siano istallati dei cani efficaci per tenere il guinzaglio alla costruzione delle informazioni dentro questi mostri si concluderà sempre tardi rispetto ai danni che i medesimi infieriscono urbi et orbi per fare soldi.









































































http://massimomucchetti.it/blog/hillary-renzi-e-zuckerberg/





























(...)Zuckerberg? Che c'entra? C'entra tantissimo se lo consideriamo il futuro che ha già avviato la sua sfida all'uomo-cittadino. Cioè a noi.
Allora, guardatelo. Maglietta, jeans e faccia da college. In effetti, lui sembra uno di noi. Stessa uniforme. Sembra, ma non è. Zuckerberg è molto diverso.
Non so se, come dice Bersani, con Bernie Sanders i democratici americani avrebbero vinto. Non conosco abbastanza quel vecchio socialista che scalda i cuori.
Ma sono quasi sicuro che le sinistre politiche formalizzate dell'Occidente non si sono interrogate abbastanza su chi sia Mark Zuckerberg, a suo tempo ottimo interlocutore di Obama. Anche se non di casa alla Casa Bianca come gli esponenti di Google. Questa pigrizia preclude alle sinistre la chance di formulare una proposta che riporti in gioco gli esclusi della globalizzazione finanziaria.



Dopo 19 anni di storia, Google vale 540 miliardi, ha 80 miliardi in cassa e occupa 53 mila persone. Dopo 12 anni, Facebook vale 360 miliardi, ne ha 26 in cassa e impiega 15 mila persone. Daimler, il maggior gruppo manifatturiero del mondo, 90 anni di storia, vale 66 miliardi di euro, ha 96 miliardi di debiti finanziari netti e occupa 284 mila persone.
Il colosso industriale sembra avere piedi di argilla dal punto di vista finanziario a fronte delle tre OverThe Top americane. Vero. Ma chi dà da mangiare a chi? Come si formano i prezzi dei beni e dei servizi reali? E qual è la loro proiezione in Borsa?
Dove sono i nuovi Monopoli?
Chi assume più ingegneri? Chi investe di più? E' curioso osservare come la minore (per ora) delle tre americane sia anche la meglio valutata a Wall Street. La più piccola, la più aggressiva, la più irresponsabile.



Zuckerberg li userà altrove. Dove le opportunità dischiuse dalla libera circolazione dei capitali gli sembreranno più convenienti. Oppure li terrà in cassaforte, estraendo solo il necessario per oliare le lobby. Il fisco americano non e' accordo. Zuckerberg avverte i soci che Facebook potrebbe dover versare dai 3 ai 5 miliardi di dollari al Tesoro, ma giura che non accadrà.
La convinzione del signor Facebook non è infondata. Il fisco americano punzecchia, ma il governo USA frena l'Ocse dove si dovrebbero ridefinire le regole comuni per evitare queste e altre forme di elusione fiscale. Tra loro le Over The Top non si amano. Facebook dice cose orrende di Google, ma quando si tratta di imposte marciano unite.
Ora, la prima legge di un grande Paese per contrastare questo fenomeno l'ha varata il Regno Unito, primo ministro il conservatore Cameron.




























































































































































































































































































































































































































































































































































































Il problema é che non basta immaginare di istallare dei cani da guardia efficaci ma di capire cosa si vuole fare senza fare censura. Perchè  qualunque filtro -costruito con un algoritmo o fatto da un giovanotto in carne ed ossa- così come il primo chiunque lo può orientare altrettanto il secondo é orientato e si autoorienta continuamente.
L'osservazione di Mucchetti secondo la quale "Dopo 19 anni di storia, Google vale 540 miliardi, ha 80 miliardi in cassa e occupa 53 mila persone. Dopo 12 anni, Facebook vale 360 miliardi, ne ha 26 in cassa e impiega 15 mila persone.



Per svelare l'uomo Zuckerberg può bastare il film “The social network”. Ma se vogliamo saperne di più sull'uomo di potere Zuckerberg, esemplificazione dell'establishment ieri democratico oggi chissà, dobbiamo capire meglio che cos'è Facebook e quali squilibri genera.
Primo, lo squilibrio del mestiere.
Facebook offre al pubblico informazioni e immagini gratuite. Più o meno come una TV commerciale. D'altra parte, i ricavi di Facebook derivano dalla pubblicità. Per la tipologia dei servizi offerti e della loro remunerazione, Facebook è un editore.
Il più grande del mondo: 2 miliardi di soggetti registrati che producono e usano i contenuti sul suo sistema di social media, scegliendoli secondo gerarchie offerte a ciascuno per mezzo di segretissimi algoritmi di proprietà aziendale.
Però Facebook rifiuta i doveri dell'editore. Non paga diritti d'autore e non intende rispondere dei contenuti veicolati dai suoi social media, anche quando tali contenuti ledono la reputazione di terzi o sostengono la violenza e il terrorismo. Sostiene Zuckerberg: “Il nostro modello di business non lo prevede, siamo una piazza virtuale che non deve rispondere di quanto liberamente fanno i cittadini che la frequentano”. Falsa coscienza. Questa fuga dalle responsabilità regala enormi risparmi. E si traduce in valore di Borsa.
Secondo, lo squilibrio della democrazia.
I mass media del Novecento hanno esercitato una potente influenza sulla formazione dell'opinione pubblica. Nel bene e nel male. In ogni caso erano e sono riconoscibili e dunque, in qualche modo, responsabili.
Facebook, editore sedicente non editore, no. Si chiama fuori. Il suo golden boy non si pone il problema degli effetti dei suoi algoritmi sulla democrazia.
Questi algoritmi tendono a orientare le segnalazioni alle persone sulla base delle informazioni sulle medesime che l'azienda nel frattempo raccoglie. Una personalizza- zione che favorisce non solo l'efficacia degli annunci pubblicitari ma anche la radicalizzazione delle opinioni.
Giorno dopo giorno, infatti, ciascuno si abitua a rapportarsi soltanto con i propri simili e non anche con i diversi. Invece di aprire, Facebook chiude. In modo nuovo, controintuitivo, ma chiude. Le conseguenze politiche sono evidenti e pericolose.
A suonare l'allarme è stata Angela Merkel, non Hillary Clinton. E nemmeno Obama. Nemmeno i cinesi. Forse perché, delle prime 18 comunità di utenti del mondo, 10 sono americane e 6 cinesi. Merkel chiede disclosure sugli algoritmi. Zuckerberg nega. Libertà o portafoglio?
Terzo, lo squilibrio del lavoro.
Si può sospettare che la cancelliera tedesca attacchi Facebook per proteggere la propria manifattura, quella automobilistica in primis, dalla conquista delle Over The Top, da Apple e da Google che lavorano ai droni. Bene: se così fosse, farebbe il suo mestiere.
E noi? Dopo 40 anni di storia, Apple vale 560 miliardi di dollari, dispone di 230 miliardi di liquidità e da' lavoro a 115 mila dipendenti.




































































































































































































































































































































































































Daimler, il maggior gruppo manifatturiero del mondo, 90 anni di storia, vale 66 miliardi di euro, ha 96 miliardi di debiti finanziari netti e occupa 284 mila persone.
Il colosso industriale sembra avere piedi di argilla dal punto di vista finanziario a fronte delle tre OverThe Top americane" é  senza dubbio vera.
Il fatto é che creare e produrre una Mercedes Benz costa moltissimo e viene venduta in pochissimi esemplari rispetto ad un algortimo di Google. La Mercedes  Benz é fabbricata ancora col cervello e le mani mentre il funzionamento di Google costa solo l'energia elettrica. Sostanzialmente sono due prodotti che hanno costi di produzione e funzionamento assolutamente distanti e inconfrontabili. Poi sostanzialmente Google é un'impresa imperialista e NON duplicabile mentre  una Mercedes Benz può essere benissimo replicata da una Lexus e doman l'altro da una impresa cinese.
La lettura che viene fatta di queste imprese mi pare fatta con un metodo del tutto superato, un metodo costruito  quando si tracciava la via della seta oppure l'Europa si invadeva l'America con la sua "feccia" .
Oggi basta un'antenna perchè lo stesso bit in pochi secondi sia disponibile in tutto il mondo (dotato di antenne).
Ma la rapidità delle comunicazioni non basta da sola a produrre ricchezza per sfamare i popoli. Sicuramente la rapidità e l'estensione delle comunicazioni favorisce la crescita del mercato ma la gggente deve avere dei soldi in tasca da spendere per comperare le cose suggerite sotterraneamente dagli algoritmi personalizati di Google a chi usa la rete.
I soldi in tasca te li da ogni mese una Mercedes Benz mentre da Google non hai queste certezze.
L'unica certezza che abbiamo é che oggi un sufficiente benessere é alla portata non solo degli USA e dell'Europa ma si estende  a Cindia, in parte nel Medio Oriente e  nel sud America. Nessuno ci avrebbe scommesso nel 1950  come nel 1980. Adesso siamo solo 36 anni dopo.
Abbiamo quindi bisogno di interrogarci per capire cosa vogliamo e dove vogliamo arrivare e con chi ed é probabile che d'ora in avanti questa crescita nella distribzione del benessere  si estenderà in altri continenti.
Ma il benessere di domani non sarà più grasso e inutile come quello di ieri.






















































































































































































E' la logica della finanza sposata a una tecnologia che, per la prima volta dalla rivoluzione industriale, non genera posti di lavoro migliori e più numerosi di quanti ne distrugga nel complesso della società.
Quarto, lo squilibrio sociale.
Le imposte non saranno bellissime, come diceva con candore illuminista Tommaso Padoa Schioppa, ma senza imposte gli Stati chiudono. Ovviamente nessuno pensa di pagare zero imposte. Nemmeno il più feroce liberista. E tuttavia….erodere legalmente la base imponibile può fare la fortuna delle multinazionali che ci riescono. Zuckerberg erode senza tregua. E come lui, i buonisti del web, Sergei Brin e Larry Page di Google (ora Alphabet), e il cattivista Tim Cook, erede del grande e terribile Steve Jobs. Non che Volkswagen sia una verginella. Ma sono le multinazionali digitali a raggiungere le roditrici più temibili.
Per restare al nostro eroe, Facebook scrive a bilancio imposte pari al 25% dell'imponibile. Tre anni fa era al 45%. Il risparmio fiscale è stato realizzato lasciando parcheggiata fuori dagli USA, in compiacenti paradisi fiscali, buona parte degli utili. Non saranno mai reinvestiti in patria, avverte la società.



L'ha poi applicata con il guanto di velluto, ma l'ha varata. E il nuovo primo ministro Theresa May promette il pugno di ferro.
Curioso. Merkel, Cameron, May, forse pure Trump. “The Economist”, pur difendendo la globalizzazione, si interroga sugli effetti negativi della circolazione dei capitali senza alcun vincolo. E apre, perfino, alla Tobin Tax. La destra sembra intestarsi la sinistra e i nipotini di Clinton e di Blair dove sono? Ma alla Leopolda, no? E là si sono fermati. (...)