NUMERO 255 - PAGINA 4 -TRE PEZZI SU CUI RIFLETTERE




























































































L'America  é uscita dalla crisi al rovescio di com'era sempre accaduto.
Gli esclusi e i senza speranza
hanno votato Trump.



E' partita la 4.a Rivoluzione Industriale. Un libro ne illustra le potenzialità (;-)).



La Commissione vuole concedere
alla Cina lo status di economia di mercato. I pericoli per l'Italia.













































































L'ascensore sociale va solo in giù: il populismo cresce.

Alberto Statera

Chi l'ha detto che l'élite - sondaggisti, professori, storici, giornalisti, spin doctors - non ha capito ciò che stava capitando in America.
O se invece sembrava talmente assurdo nel loro intimo che tutti i rabbiosi d'America si affidassero a un pagliaccio come Trump, che hanno conservato fino all'ultimo nell'anima la certezza che sull'orlo dell'urna avrebbe prevalso la saggezza dei white collar e dei blu collar senza laurea, quella disgraziata classe media che dal 2007 si è sentita sempre più povera.
Per 120 milioni di loro il valore della ricchezza posseduta era di 160 mila dollari, oggi si è ridotto a 98 mila dollari. E mentre i redditi diminuiscono, 48 milioni mangiano alla mensa dei poveri.
Tutte cose che le élites sanno benissimo, incollate alle statistiche internazionali che non mentono, ma che hanno preferito interpretare con la certezza che il sogno americano non poteva essere finito. E invece, al netto delle menzogne di chi si vergognava di dire che avrebbe votato per Trump, è ciò che è avvenuto.
Una bella lezione per l'Europa e soprattutto per l'Italia, il paese nel quale le diseguaglianze sono tra le più marcate tra i paesi industrializzati del continente. Basta dare un'occhiata al coefficiente Gini, che non è mortadella come forse crede Salvini, ma che prende il nome dallo statistico Corrado Gini. Il coefficiente ci dice che la diseguaglianza in Italia è cresciuta da 0,313 nel 2007 a 0,325, con un incremento dell'1,2 per cento, tra i più alti dell'Ocse.

Lo 0,1 per cento del reddito dei ricchi è pari a quello delle 100 persone più povere. Un solo italiano ricco ha un patrimonio pari a quello di 300 mila italiani. Scusate per i troppi numeri, ma bisogna che qualcuno in questo paese cominci a capire qual è l'origine di una crisi da cui non usciremo, se, tra chiacchiere sconnesse di tutte le parti, non si prenderà atto che il divario di reddito medio tra il 10 per cento più ricco della popolazione e il 10 per cento più povero è di 11,4 volte, contro una media Ocse di 9,4.
La ragione prima della crisi epocale che si è già manifestata in America, dove la diseguaglianza è insopportabile, è nell'eccessiva diseguaglianza nella distribuzione di redditi, rendita e ricchezza.
Una quasi scientifica cancellazione della middle class, di cui nessuna delle forze populiste fiorite in Italia ha la minima percezione. È comico Grillo quando grida "Tagliamo gli stipendi” riferendosi ai quattro soldi delle indennità parlamentari, senza capire che il problema è molto più grande di lui e del suo movimento, che gli stipendi vanno se mai aumentati. Non considera che un addensamento di redditi verso l'alto provoca livelli di domanda aggregata insufficienti a sostenere la crescita economica, in un paese in cui c'è la più bassa mobilità sociale.
L'ascensore ha solo il tasto verso il basso.
Ragioni sufficienti per detestare i politici, incompetenti e ladri, mentre si corre sempre di più verso un capitalismo oligarchico, incapace di giustizia sociale, che non si sa dove può condurci, se non verso un populismo selvaggio capace soltanto di coagulare tutte le frustrazioni della società, dando risposte (vedi re-immigrazione) primitive e dannose. Non vorremmo immaginare un'evoluzione ancora peggiore verso una strisciante repressione totalitaria.







Siamo alle prime fasi di quella che è stata definita la 4° Rivoluzione Industria le, e per farci un'idea di cosa un passaggio del genere voglia dire per il mondo intero basta dare uno sguardo alle tre che l'hanno preceduta.
La prima è quella cominciata a metà del XVIII secolo con




Se l’Europa regala
un mercato alla Cina


Fabio Bogo

Mentre l'America di Donald Trump si prepara a comprimere la penetrazione cinese sui mercati e a difendere il made in Usa, a Bruxelles c'è qualcuno che pensa invece di spalancare una porta a Pechino e stendere un tappeto rosso ai prodotti della Repubblica Popolare, convenienti e competitivi























































































































































l'invenzione del motore a vapore. Prima l'energia era quella muscolare dell'uomo e degli animali che aveva imparato ad addomesticare. L'uomo aveva imparato ad imbrigliare anche il vento nelle vele delle navi e nelle pale dei mulini, e l'acqua, anch'essa nei mulini. Con il motore a vapore il panorama cambia, quella forza mette in moto i telai ei treni, e fa nascere l'industria. La seconda, partita negli ultimi decenni dell'800, porta il segno dell'elettricità, dell'energia che si trasporta e che trova infinite applicazioni, e poi quello delle catene di montaggio, la grande fabbrica, la produzione di massa.
La terza comincia negli anni '60 del '900, e riguarda la capacità di calcolo. Nascono i computer, i mainframe, poi i pc, arrivano la trasformazione delle telecomunicazioni, la trasmissione dati, internet, la comunicazione mobile, la digitalizzazione.
Ora siamo alla quarta, che è figlia diretta della terza perché sono i passi avanti giganteschi della capacità di calcolo e della digitalizzazione i suoi motori.
Questa quarta rivoluzione industriale ha caratteristiche nuove, perla sua velocità, che è diventata esponenziale ( il primo smartphone è arrivato nel 2007 e ora, solo nove anni dopo, lo utilizzano oltre due miliardi di persone); perla sua pervasività, perché tocca tutte le attività umane ; perché è interdisciplinare fondendo e facendo interagire le scienze e le tecnologie fisiche, digitali e biologiche, il cui processo di innovazione viene amplificato e accelerato dalla interazione. Alla base, come dicevamo, ci sono la capacità di calcolo e la digitalizzazione. Non sarebbe stato possibile, per fare un esempio, tracciare il genoma umano incirca 10 anni (con 2,7 miliardi di dollari), senza la capacità di calcolo allora disponibile. Ora, che la capacità di calcolo si è moltiplicata bastano poche ore e il costo è intorno a mille dollari.
Questo nuovo balzo in avanti della storia tocca il mondo fisico, e le principali manifestazioni che già oggi possiamo vedere muovere i primi passi sono la guida autonoma, le stampanti a tre dimensioni, i nuovi materiali e la robotica avanzata. Tocca il mondo digitale, e le innovazioni in quest' area sono una valanga dalla quale dobbiamo fare attenzione a non essere travolti.
Dall'internet delle cose ai Big Data, al blockchain, alle piattaforme digitali
(da Uber a BlaBlaCar, a AirBnb, ad Amazon e Google). Tocca il mondo biologico e arriviamo qui alla parte più delicata, perché le innovazioni consentite dalla evoluzione della genetica sono tanto promettenti quanto terrorizzanti.

Insomma la quarta rivoluzione industriale cambierà tutto e lo farà molto velocemente. Con grandi passi avanti ma anche prezzi elevati da pagare: c'è un rapporto diretto tra l'evoluzione tecnologica e l'aumento delle disuguaglianze, perché nella distribuzione della ricchezza prodotta la quota che va al capitale è progressivamente crescente rispetto a quella che va a remunerare il lavoro. E c'è un rapporto diretto tra tecnologia e occupazione, in quanto il primo effetto di ogni passaggio è la sostituzione di sempre più numerose attività umane con le macchine. L'impatto di tutto ciò sarà, almeno per una fase, maggiore disoccupazione, impoverimento delle classi medie, maggiori tensioni sociali, più conservatorismo, protezionismo. È la fase in cui siamo dentro.

Marco Panara





grazie anche al mancato rispetto delle norme occidentali che regolano il lavoro, i diritti, i prezzi, la domanda e l'offerta.
Il regalo impacchettato dalla Commissione consiste nell'aver iniziato il percorso di riforma della normativa antidumping concedendo di fatto una sorta di status di economia di mercato alla
Cina, rendendola così più forte e quasi inattaccabile di fronte alle azioni difensive dei produttori europei minacciati dalla concorrenza sleale. La chiave per smontare la normativa in vigore è l'onere della prova: prima era la Cina, di fronte ad una contestazione, a dover dimostrare il rispetto delle regole. Nella proposta della Commissione invece è il paese o il produttore che si sente leso a dover dimostrare il dumping. La differenza non è di poco conto, perché le pratiche legali e di intelligence per istruire un contenzioso sono complicate nei tempi e impegnative nella spesa, che supera facilmente i l00 mila euro.
Può sopportarli, ad esempio, un piccolo imprenditore della plastica? L'Italia si è opposta con forza alla Ue, ed il ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda è stato molto esplicito, definendo inaccettabile la proposta: nel nuovo contesto dopo la vittoria di Donald Trump negli Usa gli interessi difensivi italiani - ha detto - diventano "imprescindibili. Fare compromessi prima che la Cina sia effettivamente
Cina sia effettivamente un'economia di mercato rischia di mettere in discussione molti posti di lavoro”. Quanti? Secondo stime prudenti 200mila in Europa e qualche migliaio in Italia. Secondo altri, meno ottimisti, si creerebbero più di 3 milioni disoccupati. Perché dunque questa spinta? Forse perché non tutti i paesi sarebbero danneggiati da norme più favorevoli per la Cina Tempi duri per chi produce, tra cui l'Italia. Orizzonte più roseo per citi vive di servizi, come il blocco dei paesi del Nord. E allora forse non tranquillizzano le parole del vicepresidente Jiri Katainen: “Il commercio è la migliore leva economica". Katainen è finlandese. Nè quelle del commissario al commercio Cecilia Malstrom: "non concediamo lo status alla Cina”. La Malstrom è danese. È ovvio che un'Europa a 28 membri viva di compromessi. L'importante è che il prezzo da pagare non sia troppo alto solo per qualcuno