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L'ascensore sociale va solo in giù: il populismo cresce.
Alberto Statera
Chi l'ha detto che l'élite - sondaggisti, professori, storici,
giornalisti, spin doctors - non ha capito ciò che stava capitando in
America.
O se invece sembrava talmente assurdo nel loro intimo che tutti i
rabbiosi d'America si affidassero a un pagliaccio come Trump, che hanno
conservato fino all'ultimo nell'anima la certezza che sull'orlo
dell'urna avrebbe prevalso la saggezza dei white collar e dei blu
collar senza laurea, quella disgraziata classe media che dal 2007 si è
sentita sempre più povera.
Per 120 milioni di loro il valore della ricchezza posseduta era di 160
mila dollari, oggi si è ridotto a 98 mila dollari. E mentre i redditi
diminuiscono, 48 milioni mangiano alla mensa dei poveri.
Tutte cose che le élites sanno benissimo, incollate alle statistiche
internazionali che non mentono, ma che hanno preferito interpretare con
la certezza che il sogno americano non poteva essere finito. E invece,
al netto delle menzogne di chi si vergognava di dire che avrebbe votato
per Trump, è ciò che è avvenuto.
Una bella lezione per l'Europa e soprattutto per l'Italia, il paese nel
quale le diseguaglianze sono tra le più marcate tra i paesi
industrializzati del continente. Basta dare un'occhiata al coefficiente
Gini, che non è mortadella come forse crede Salvini, ma che prende il
nome dallo statistico Corrado Gini. Il coefficiente ci dice che la
diseguaglianza in Italia è cresciuta da 0,313 nel 2007 a 0,325, con un
incremento dell'1,2 per cento, tra i più alti dell'Ocse.
Lo 0,1 per cento del reddito dei ricchi è pari a quello delle 100
persone più povere. Un solo italiano ricco ha un patrimonio pari a
quello di 300 mila italiani. Scusate per i troppi numeri, ma bisogna
che qualcuno in questo paese cominci a capire qual è l'origine di una
crisi da cui non usciremo, se, tra chiacchiere sconnesse di tutte le
parti, non si prenderà atto che il divario di reddito medio tra il 10
per cento più ricco della popolazione e il 10 per cento più povero è di
11,4 volte, contro una media Ocse di 9,4.
La ragione prima della crisi epocale che si è già manifestata in
America, dove la diseguaglianza è insopportabile, è nell'eccessiva
diseguaglianza nella distribuzione di redditi, rendita e ricchezza.
Una quasi scientifica cancellazione della middle class, di cui nessuna
delle forze populiste fiorite in Italia ha la minima percezione. È
comico Grillo quando grida "Tagliamo gli stipendi” riferendosi ai
quattro soldi delle indennità parlamentari, senza capire che il
problema è molto più grande di lui e del suo movimento, che gli
stipendi vanno se mai aumentati. Non considera che un addensamento di
redditi verso l'alto provoca livelli di domanda aggregata insufficienti
a sostenere la crescita economica, in un paese in cui c'è la più bassa
mobilità sociale.
L'ascensore ha solo il tasto verso il basso.
Ragioni sufficienti per detestare i politici, incompetenti e ladri,
mentre si corre sempre di più verso un capitalismo oligarchico,
incapace di giustizia sociale, che non si sa dove può condurci, se non
verso un populismo selvaggio capace soltanto di coagulare tutte le
frustrazioni della società, dando risposte (vedi re-immigrazione)
primitive e dannose. Non vorremmo immaginare un'evoluzione ancora
peggiore verso una strisciante repressione totalitaria.
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Siamo
alle prime fasi di quella che è stata definita la 4° Rivoluzione
Industria le, e per farci un'idea di cosa un passaggio del genere
voglia dire per il mondo intero basta dare uno sguardo alle tre che
l'hanno preceduta.
La prima è quella cominciata a metà del XVIII secolo con
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Se l’Europa regala
un mercato alla Cina
Fabio Bogo
Mentre l'America di Donald Trump si prepara a comprimere la
penetrazione cinese sui mercati e a difendere il made in Usa, a
Bruxelles c'è qualcuno che pensa invece di spalancare una porta a
Pechino e stendere un tappeto rosso ai prodotti della Repubblica
Popolare, convenienti e competitivi
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l'invenzione
del motore a vapore. Prima l'energia era quella muscolare dell'uomo e
degli animali che aveva imparato ad addomesticare. L'uomo aveva
imparato ad imbrigliare anche il vento nelle vele delle navi e nelle
pale dei mulini, e l'acqua, anch'essa nei mulini. Con il motore a
vapore il panorama cambia, quella forza mette in moto i telai ei treni,
e fa nascere l'industria. La seconda, partita negli ultimi decenni
dell'800, porta il segno dell'elettricità, dell'energia che si
trasporta e che trova infinite applicazioni, e poi quello delle catene
di montaggio, la grande fabbrica, la produzione di massa.
La terza comincia negli anni '60 del '900, e riguarda la capacità di
calcolo. Nascono i computer, i mainframe, poi i pc, arrivano la
trasformazione delle telecomunicazioni, la trasmissione dati, internet,
la comunicazione mobile, la digitalizzazione.
Ora siamo alla quarta, che è figlia diretta della terza perché sono i
passi avanti giganteschi della capacità di calcolo e della
digitalizzazione i suoi motori.
Questa quarta rivoluzione industriale ha caratteristiche nuove, perla
sua velocità, che è diventata esponenziale ( il primo smartphone è
arrivato nel 2007 e ora, solo nove anni dopo, lo utilizzano oltre due
miliardi di persone); perla sua pervasività, perché tocca tutte le
attività umane ; perché è interdisciplinare fondendo e facendo
interagire le scienze e le tecnologie fisiche, digitali e biologiche,
il cui processo di innovazione viene amplificato e accelerato dalla
interazione. Alla base, come dicevamo, ci sono la capacità di calcolo e
la digitalizzazione. Non sarebbe stato possibile, per fare un esempio,
tracciare il genoma umano incirca 10 anni (con 2,7 miliardi di
dollari), senza la capacità di calcolo allora disponibile. Ora, che la
capacità di calcolo si è moltiplicata bastano poche ore e il costo è
intorno a mille dollari.
Questo nuovo balzo in avanti della storia tocca il mondo fisico, e le
principali manifestazioni che già oggi possiamo vedere muovere i primi
passi sono la guida autonoma, le stampanti a tre dimensioni, i nuovi
materiali e la robotica avanzata. Tocca il mondo digitale, e le
innovazioni in quest' area sono una valanga dalla quale dobbiamo fare
attenzione a non essere travolti.
Dall'internet delle cose ai Big Data, al blockchain, alle piattaforme digitali
(da Uber a BlaBlaCar, a AirBnb, ad Amazon e Google). Tocca il mondo
biologico e arriviamo qui alla parte più delicata, perché le
innovazioni consentite dalla evoluzione della genetica sono tanto
promettenti quanto terrorizzanti.
Insomma la quarta rivoluzione industriale cambierà tutto e lo farà
molto velocemente. Con grandi passi avanti ma anche prezzi elevati da
pagare: c'è un rapporto diretto tra l'evoluzione tecnologica e
l'aumento delle disuguaglianze, perché nella distribuzione della
ricchezza prodotta la quota che va al capitale è progressivamente
crescente rispetto a quella che va a remunerare il lavoro. E c'è un
rapporto diretto tra tecnologia e occupazione, in quanto il primo
effetto di ogni passaggio è la sostituzione di sempre più numerose
attività umane con le macchine. L'impatto di tutto ciò sarà, almeno per
una fase, maggiore disoccupazione, impoverimento delle classi medie,
maggiori tensioni sociali, più conservatorismo, protezionismo. È la
fase in cui siamo dentro.
Marco Panara
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grazie anche al mancato rispetto delle norme occidentali che regolano il lavoro, i diritti, i prezzi, la domanda e l'offerta.
Il regalo impacchettato dalla Commissione consiste nell'aver iniziato
il percorso di riforma della normativa antidumping concedendo di fatto
una sorta di status di economia di mercato alla
Cina, rendendola così più forte e quasi inattaccabile di fronte alle
azioni difensive dei produttori europei minacciati dalla concorrenza
sleale. La chiave per smontare la normativa in vigore è l'onere della
prova: prima era la Cina, di fronte ad una contestazione, a dover
dimostrare il rispetto delle regole. Nella proposta della Commissione
invece è il paese o il produttore che si sente leso a dover dimostrare
il dumping. La differenza non è di poco conto, perché le pratiche
legali e di intelligence per istruire un contenzioso sono complicate
nei tempi e impegnative nella spesa, che supera facilmente i l00 mila
euro.
Può sopportarli, ad esempio, un piccolo imprenditore della plastica?
L'Italia si è opposta con forza alla Ue, ed il ministro per lo sviluppo
economico Carlo Calenda è stato molto esplicito, definendo
inaccettabile la proposta: nel nuovo contesto dopo la vittoria di
Donald Trump negli Usa gli interessi difensivi italiani - ha detto -
diventano "imprescindibili. Fare compromessi prima che la Cina sia
effettivamente
Cina sia effettivamente un'economia di mercato rischia di mettere in
discussione molti posti di lavoro”. Quanti? Secondo stime prudenti
200mila in Europa e qualche migliaio in Italia. Secondo altri, meno
ottimisti, si creerebbero più di 3 milioni disoccupati. Perché dunque
questa spinta? Forse perché non tutti i paesi sarebbero danneggiati da
norme più favorevoli per la Cina Tempi duri per chi produce, tra cui
l'Italia. Orizzonte più roseo per citi vive di servizi, come il blocco
dei paesi del Nord. E allora forse non tranquillizzano le parole del
vicepresidente Jiri Katainen: “Il commercio è la migliore leva
economica". Katainen è finlandese. Nè quelle del commissario al
commercio Cecilia Malstrom: "non concediamo lo status alla Cina”. La
Malstrom è danese. È ovvio che un'Europa a 28 membri viva di
compromessi. L'importante è che il prezzo da pagare non sia troppo alto
solo per qualcuno
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