NUMERO 255 -PAGINA 3 - BERSANI&D'ALEMA:PROMEMORIA PER IL 5 DICEMBRE









































































Pier Luigi Bersani
Caro direttore, le ipotesi sensate diventano sogni, come scrive Ezio Mauro, quando il tempo si consuma. Da oltre un anno a questa parte se avessi avuto l'inedita occasione di essere seriamente e direttamente ascoltato avrei detto quel che andavo dicendo pubblicamente e che devo ripetere oggi. Aver messo in gioco il governo sui temi costituzionali ed elettorali ha acceso la miccia scoperchiando il vaso di Pandora delle tensioni accumulate in questi anni, non solo da noi. Al fondo, in realtà, c'è una enorme questione sociale mondiale e italiana che meriterebbe almeno di essere nominata e compresa, e non taciuta o negata dalla gufologia. Senza rimettere i piedi nella realtà non se ne viene fuori. Questo vale per la politica e vale per l'informazione.




Questo spazio lo lasciamo libero per compilarlo "dopo" il referendum, verso fine anno.
Vedremo cosa hanno combinato i due del titolo.



«Renzi si è posto fuori dai valori pd Se passa il Sì nascerà un partito suo»
di Dario Di Vico
L’ex premier: in ogni caso dopo il 4 dicembre non mi occuperei più di politica in Italia

«Una cosa è la campagna elettorale, altro è governare. Vedremo Trump alla prova e comunque non sarà un arbitro incontrollato. Non dimentichiamo il Congresso, il Senato, il peso del Pentagono, del dipartimento di Stato, della Cia e, non ultime, le divisioni tra i Repubblicani».
Massimo D’Alema è cauto e vede il tratto saliente del voto Usa nella capacità di Trump di sfondare tra i perdenti della globalizzazione. «Per la sinistra è la sconfitta dell’idea che le elezioni si vincono al centro. Così ci sono sfuggiti le periferie e i poveri, le forze



E comunque non sottovaluto i rischi della politica estera di Trump. Come può pensare di dar via libera a Israele di annettere Gerusalemme? Si accentuerebbero i conflitti con il mondo islamico e non ne abbiamo proprio bisogno. E poi come fa a pensare, dopo una svolta simile, di accordarsi con Putin? Vedremo, anche cosa farà l’Europa».

Non è un gran momento per il presidente Juncker.
«Juncker ha reagito con grande dignità all’elezione di Trump interpretando in modo efficace il punto di vista dell’Europa. Anche per questo motivo non ha senso indebolire la Commissione e le istituzioni europee. Le colpe sono dei governi nazionali e di alcuni in particolare. Se fossi in Renzi allenterei la polemica con Bruxelles».



Nel libro di Vespa Renzi sostiene che le sue critiche sono figlie della mancata nomina a ministro degli Esteri della Ue.
«Fino al 4 dicembre non discuterò di retroscena. A tempo debito avrò modo di ricostruire l’intera vicenda, con ampia dovizia di particolari».
Aspettiamo. Ma a questo punto, con il rischio che ’ondata di rivolta anti élite si allarghi, votare Sì al referendum non stabilizza ed evita nuovi traumi?
«Non sono stato io a convocare il referendum e dargli la valenza di un plebiscito. Avremmo potuto esprimerci su singoli quesiti e non si sarebbe spaccato il Paese. Sarebbe bastato leggere la Carta dei Valori del Pd laddove si dice che “il partito si impegna a ristabilire la supremazia della Costituzione e a difenderne la stabilità contro i colpi di mano delle maggioranze del momento mettendo fine alla stagione delle riforme costituzionali imposte dai governi a colpi di maggioranza”. È Renzi che si è posto fuori dai valori del Pd. Eppure votò No anche lui nel 2005 contro la riforma Berlusconi che prevedeva abolizione del bicameralismo e riduzione dei parlamentari.Sono contro i plebisciti oggi come ieri e voterò contro la revisione costituzionale di Renzi. La Carta non si riforma con il voto di metà del popolo



Ma lei non si dimise per la sconfitta in una consultazione regionale?
«Siamo diversi. Se restasse a Palazzo Chigi con più capacità di ascolto e meno arroganza potrebbe persino creare le condizioni per rilanciarsi».

Se invece si dimettesse, penso che lei vedrebbe bene un governo Padoan.
«Il presidente Mattarella saprebbe indicare una personalità super partes. Non speri di tirarmi fuori un nome. Ci sarà bisogno di un governo capace di allentare le tensioni e di prendere l’iniziativa per una legge elettorale condivisa»

Non c’è già una proposta elaborata da un comitato del Pd? E condivisa da Gianni Cuperlo, che lei conosce bene.
«Il referendum deciderà la sorte dell’Italicum, non un comitato del Pd. In quel foglietto sono enunciati principi confusi: delineano una legge elettorale non condivisibile. Rappresenta solo una via d’uscita per 4-5 persone che non se la sentivano di votare No».

Aumentano però gli ex dalemiani per il Sì: oltre Cuperlo ricordo Vacca, Velardi, Rondolino, Romano, Orfini, Gualtieri.
Non ho mai voluto che esistesse la nozione stessa di dalemiano e si é rivelata una scelta saggia.




































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Ciò che si può fare in superficie e nell'immediatezza di questi venti giorni è lavorare per raffreddare il clima ragionando responsabilmente sul dopo. Diciamo dunque assieme che sul referendum non è in gioco il governo. Diciamo al mondo che la riforma del senato è una vicenda italo-italiana e che non siamo né su un crinale né su un precipizio. Diciamo assieme che è ovvio e giusto che il Pd dia la sua indicazione di voto e che è altrettanto ovvia e giusta la libertà di ciascuno davanti a temi costituzionali. Il segretario potrà ben dire che spera di poter convincere i democratici che vogliono votare No, ma ovviamente ritiene che quelle realtà associative e quelle persone hanno piena cittadinanza nel Pd e nel centrosinistra.

Il dopo referendum per me è fatto di un Pd unito che si organizza per una discussione politica vera sui temi di fondo a partire dalla natura e dai compiti della sinistra nella fase di ripiegamento della globalizzazione e dell'insorgere di una nuova destra protezionista. Il dopo referendum per me è fatto di un governo che corregga la narrazione e l'agenda. È fatto di una impostazione politica sfidante verso i 5 Stelle e alternativa alla destra, da subito non accettando che questi si intestino la rappresentanza politica del No; anche perché il No esprime, in particolare nel rapporto inestricabile con la legge elettorale, una radicale questione democratica che non si risolve a parole ma a fatti. Cercare la governabilità in una concentrazione incontrollata del potere e in una drastica riduzione della rappresentanza è una strada sbagliata e pericolosa.

Su ciascuno di questi punti sono intervenuto già molte volte e da tempo e potrei avanzare qualche idea di dettaglio piuttosto precisa, giusta o sbagliata che sia. Ma vorrei discuterne nel collettivo e non nei riti della comunicazione. La grande e radicale novità sarebbe infatti la disponibilità a una vera e onesta riflessione collettiva. Purtroppo un sogno, a cui tuttavia non rinuncio.









































































































































































































































































































italiano, altrimenti si stabilisce un precedente e domani potremo avere la Costituzione di Beppe Grillo».

E della lettera inviata da Renzi agli italiani che vivono all’estero cosa pensa?
«Bisogna vigilare sul voto all’estero, anche perché il meccanismo si presta a manipolazioni e brogli. Da ex ministro degli Esteri spero che tutti i diplomatici italiani ricordino di essere al servizio dello Stato e non del governo. E poi, nel merito, la riforma toglie agli italiani all’estero spazio di rappresentanza. Non eleggerebbero più i loro senatori».

Che effetti avrebbe sul Pd la vittoria del Sì? Una scissione?
«Nascerebbe il PdR, il partito di Renzi. Tra i 2 e i 3 milioni di nostri elettori si sono silenziosamente scissi dal Pd, e il sentimento di estraneità crescerebbe. Di più non le so dire. Non ho né l’età né la volontà di fondare altri partiti».

Ma resterà iscritto al Pd?
«Sono iscritto al mio circolo anche per solidarietà e affetto verso il gruppetto ormai esiguo delle militanti che lo fanno sopravvivere. Dopo il referendum ho intenzione di tornare ai miei studi brussellesi, quindi non mi occuperei di politica italiana».

Se dovesse vincere il No avremmo le dimissioni di Renzi e un vuoto di potere.
«Non credo che si debba dimettere».



«Non ho mai voluto che esistesse la nozione stessa di dalemiano e si è rivelata una scelta saggia. L’unico dalemiano, peraltro critico, sono io».

Battute a parte, con il No le riforme andranno in soffitta per sempre.
«Chi lo dice? In questi 70 anni, come ricorda il professor De Siervo, si sono fatte 16 modifiche della Costituzione e 20 leggi costituzionali. Inoltre, esiste già un testo di nuova riforma costituzionale elaborato da parlamentari di schieramenti diversi, come Quagliariello e Zoggia, e che in concordia propone una riduzione dei parlamentari ancora più drastica, l’abolizione della navetta legislativa Camera-Senato e il principio che il suffragio universale serve a scegliere le persone. Penso che anche da parte dei Cinque Stelle non dovrebbe maturare un’ostilità preconcetta e quindi in 6 mesi si può approvare».











































































































































































































































































































































































tradizionali del lavoro e le nuove. Non solo nel Wisconsin, ma anche a Roma.
È la conclusione del percorso di una Terza Via che non ha saputo leggere le nuove diseguaglianze e ha visto troppo spesso la sinistra a braccetto con il potere economico, lontana dalla base sociale e sindacale».

Anche lei è stato clintoniano.
«Considero una disgrazia la sconfitta di Hillary ma non chiudo gli occhi sugli errori. In America con Obama è aumentata l’occupazione, ma anche precariato, bassi salari e super sfruttamento. È da questa miscela che è nata la rivolta contro le élite.



Ma Renzi contesta le politiche per l’austerità. Lei no?
«Condivido, non da oggi, la sua critica all’austerità. Ci sono però due modi di combatterla: il primo è chiedere più soldi per i singoli Paesi, l’altro è promuovere scelte comuni su infrastrutture, ricerca, politica industriale. Temo che Renzi abbia scelto la prima strada con il risultato di aumentare il deficit per di più con un impatto assai modesto sulla crescita, che ci vede agli ultimi posti in Europa. Bisogna battersi per rafforzare la Ue, non per rilanciare gli egoismi nazionali. E le priorità sono due: una politica della difesa comune e un salto nella cooperazione tra i Paesi pronti a farlo. Meglio un’Europa a due velocità che non la stagnazione».