NUMERO 247 - PAGINA 3 - AT&T & TIME WARNER






























































L’opérateur de télécoms AT&T rachète le groupe de médias Time Warner pour 86 milliards de dollars
La vente a été validée samedi, lors des conseils d’administration des deux entreprises. AT&T récupère ainsi des chaînes de télévision, dont HBO et CNN, et les studios Warner.

LE MONDE
Stéphane Lauer

Avec le rachat de Time Warner, AT&T complète son portefeuille de contenus.
Un nouvel empire des médias et des télécommunications est sur le point de voir le jour. Les conseils d’administration d’AT&T et de Time Warner se sont en effet réunis samedi 22 octobre pour avaliser le rapprochement des deux entreprises, confirmant ainsi les informations révélées dès jeudi par l’agence Bloomberg. L’opérateur de télécoms rachète le propriétaire des chaînes de télévision HBO et CNN pour un montant total de 108,7 milliards de dollars (99,8 milliards d’euros) en titres AT&T et en espèces. Avec cette transaction, Time Warner est valorisé à un montant de 85,4 milliards de dollars.
L’idée de cette fusion consiste à associer contenus et capacité de diffusion, tout en proposant de nouvelles offres sur Internet, dans un marché déclinant de la télévision payante. « Nous avons toujours été persuadés qu’un rapprochement entre les contenus et la diffusion font sens, estime Alan Gould, analyste chez Brean Capital, dans une note publiée vendredi. Etant donné l’évolution rapide du secteur de la diffusion, nous pensons qu’être propriétaire de contenus pourrait être bénéfique. »
Pour le numéro deux des télécoms américaines, ce virage stratégique est devenu de plus en plus évident. Dans un marché de la téléphonie mobile en voie de saturation, AT&T avait, dans un premier temps, décidé de croître par acquisition. En 2011, il avait ainsi fait une offre sur T-Mobile, la filiale américaine de Deutsche Telekom, mais la Federal Communications Commission (FCC), le régulateur du secteur, s’y était opposée, considérant que



Vitesse et précipitation
AT&T n’est pas le seul à lorgner Time Warner. En 2014, la 21st Century Fox a déjà proposé de racheter le groupe pour 80 milliards. Mais le PDG de Time Warner, Jeff Bewkes, avait repoussé les avances de Rupert Murdoch, considérant que sa stratégie était suffisante pour surmonter les défis du secteur. Pour endiguer la concurrence de services de streaming, comme Netflix, qui grignote des parts de marché à la télévision payante, Time Warner a ainsi lancé récemment son propre service de streaming. Parallèlement, le groupe mène une sévère restructuration pour maintenir ses capacités d’investissement dans les contenus. Mais les velléités de M. Bewkes de rester indépendant ont provoqué une bronca de la part de certains actionnaires qui estimaient, au contraire, que c’était le bon moment de vendre.
Dès lors, AT&T savait qu’il n’y avait pas de temps à prendre s’il voulait prendre le contrôle de Time Warner, tout en y mettant le prix. La pression est montée d’un cran quand, il y a quelques semaines, M. Stephenson a appris qu’Apple s’intéressait aussi au dossier, comme l’a fait savoir The Wall Street Journal.

AT&T est-il en train de confondre vitesse et précipitation ? Car si sur le plan stratégique le rachat de Time Warner apparaît comme pertinent, l’opération n’est toutefois pas sans risque. D’abord, le nouvel ensemble se retrouvera à la tête d’une dette de plus de 150 milliards de dollars, pour un chiffre d’affaires annuel de 175 milliards. Ensuite, la fusion sera scrutée à la loupe par le régulateur américain.
Dans une récente note, les analystes de Crédit Suisse ne cachaient pas leur scepticisme. « Au mieux, nous estimons qu’un examen fastidieux au résultat





AT&T-Time Warner, un'unione per la tv del futuro

Il gestore dell'infrastruttura acquisisce il produttore di contenuti puntando a una televisione smaterializzata, da fruire su supporti diversi e in qualsiasi luogo, svincolata da abbonamenti. Resta da vedere se il matrimonio funzionerà
Federico Rampini

New York - La televisione del futuro può nascere dalla fusione di questi due giganti: AT&T e Time Warner. Sempre che non vinca l'elezione Donald Trump: ha detto che la vieterebbe. Mentre se vince Hillary Clinton è da prevedere un'istruttoria dell'antitrust che può concludersi con la richiesta di dismettere qualche pezzetto della nuova entità.

AT&T, nella parte dell'acquirente disposto a spendere oltre 85 miliardi di dollari, è una telecom tradizionale, come tale gestisce un'infrastruttura a base di cavi, ripetitori per i telefonini o wifi, fibre ottiche e banda larga. AT&T, che nacque dallo spezzatino del monopolista Ma Bell, risale alle origini del telefono negli Stati Uniti. Più di recente aveva già fatto delle incursioni nel mestiere televisivo ma soprattutto dal lato delle infrastrutture attraverso DirectTV che offre i collegamenti via satellite.

Time Warner è un conglomerato dei media. I due marchi che danno il nome alla società sono facilmente identificabili: il magazine settimanale Time, e la casa di produzione cinematografica Warner Brothers. Ma in realtà non sono questi i pezzi importanti né i più redditizi del gruppo. Lì dentro c'è la Cnn, e soprattutto Hbo che è una miniera d'oro con i suoi programmi tv a pagamento. Qual è dunque l'idea di tv del futuro che può nascere dall'unione? È una tv smaterializzata, un flusso di contenuti che prescinde dal vecchio elettrodomestico che abbiamo chiamato televisione. È la presa d'atto che tra le giovani generazioni, e non solo loro, la fruizione di film, serie televisive, spettacolo e informazioni, avviene già oggi sempre meno attraverso uno schermo televisivo. C'è chi preferisce il computer, chi il tablet, chi lo smartphone. Questo significa anche una fruizione mobile, che non può essere vincolata da un cavo casalingo né da qualsiasi altra scatoletta elettronica situata a casa o in ufficio. Tv ubiqua e portatile, viaggiante. Tempi e momenti dell'ascolto decisi dallo spettatore, non dal palinsesto. Infine un regime tariffario conseguente: basta abbonamenti, mensili o annuali che siano, pago al consumo, se voglio. Questa è già una realtà di fatto e si accompagna all'emergere di nuovi protagonisti in questo settore: Netflix e Amazon dal lato della produzione di contenuti, Apple e Google per i supporti tecnici che sostituiscono la vecchia tv. In quest'ottica, l'acquisizione di Time Warner da parte di AT&T è solo in parte un'operazione avveniristica; sotto un altro punto di vista è una mossa difensiva in un paesaggio che è già cambiato profondamente.

L'idea si può anche descrivere in un altro modo, che ci è più familiare. È il matrimonio tra il medium e il messaggio, avrebbe detto il semiologo canadese Marshall McLuhan. È l'aggregazione tra un'infrastruttura AT&T fatta di cavi, ripetitori, banda larga, satelliti, con un'azienda come Time Warner che fa soprattutto produzione di contenuti, dal cinema alle serie televisive al giornalismo. Il punto di congiunzione è DirectTV che ha già cominciato a diversificarsi dalla sua vocazione originaria cioè la tv a pagamento via satellite, e viene offerta su più supporti: perfino il mini-schermo installato sui taxi newyorchesi che intrattiene noi passeggeri durante i lunghi ingorghi di Manhattan; o il mini-schermo installato sui sedili di molte compagnie aeree Usa. Il primo mercato su cui vuole puntare AT&T sono quei 20 milioni di americani che rifiutano la schiavitù della pay tv domestica, non hanno abbonamenti di sorta né "scatole" casalinghe di ripetitori digitali. AT&T scommette su un futuro in cui la modalità di accesso prevalente ai programmi televisivi sarà Internet, quindi un accesso wifi disponibile ovunque uno si trovi. E senza dover firmare un contratto di fornitura, come peraltro già prevedono le offerte di streaming di Netflix e Amazon. Il futuro della pay tv diventa molto simile ad una qualsiasi app dello smartphone: la uso quando mi serve, come faccio con la app di Uber quando ho bisogno di fare un tragitto in auto. Del resto già oggi nel suo mestiere originario l'AT&T ha una percezione precisa dell'evoluzione delle nostre abitudini.












































Da venditori di cellulari e tiracavi ad industria cultu rale nel pieno senso dei ter mini.

La definizione é ovviamen te riduttiva ma é sostanzial mente vera. Ed é il destino di gran parte delle aziende telefoniche e delle aziende che producono informazio ne e cultura. Quello che stanno cercando di combi nare Mediaset e Vivendi é più o meno la stessa cosa (tranne i rimedi a qualche errore di calcolo di Media set). Il mercato della telefo nia nei c.d. paesi sviluppati ormai ha davanti solo la fornitura di un servizio di alta capacità che comporta investimenti di spesa eleva ti sia per il sovrapporsi del le diverse reti che la lenta mutazione delle abitudini dei consumatori: spostare il guardare la TV (e il cinema e la radio e la musica...) dallo "stare seduto" in salot to a orari fissi allo "sta re dappertutto e in qualunque momento". Poi se c'é anche da telefonare ciattare o che altro, quello non sarà più il servizio da cui l'opera tore telefonico trarrà profitti.
Se le volontà matrimoniali Vivendi-Mediaset sono fini te in tribunale prima della prima notte perchè pare che una delle due non fosse proprio illibata (quanto ai debiti e alla possibilità di farvi contro) questo di AT&T+Warner é andato in porto perchè l'uno ha preso con una dolce violenza l'altra: l'ha comprata metà


































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































le poids du nouvel ensemble aboutissait à une position oligopolistique.
Dès lors, à l’instar de ses concurrents, comme Verizon et Comcast, AT&T s’est lancé dans une course aux contenus pour alimenter ses réseaux de diffusion. L’opérateur a ainsi racheté, en 2015, DirecTV, le spécialiste de la télévision par satellite, pour 48,5 milliards de dollars. Une acquisition qui a permis au groupe de devenir le premier diffuseur de télévision aux Etats-Unis, avec 26 millions d’abonnés, devant Comcast. L’opération lui a permis au passage de mettre la main sur les droits de la National Football League.

Proie idéale
Parallèlement, en 2014, AT&T a créé avec le groupe Chernin la coentreprise Otter Media, pour investir dans les médias et créer un service de vidéo en streaming. Le PDG de cette société, Peter Chernin, a d’ailleurs joué le rôle de conseil dans le rachat de Time Warner.
Avec le rachat de ce dernier, AT&T complète son portefeuille de contenus. Outre HBO et CNN, Time Warner est propriétaire de Cinemax, mais aussi de TBS, la chaîne spécialisée dans les émissions humoristiques, encore de Turner Sports, sans oublier les studios de cinéma Warner Bros. Enfin, AT&T met un pied dans le service de streaming Hulu, dont Time Warner détient 10 % au côté de Disney, 21st Century Fox et NBCUniversal.
Même si l’opérateur de télécoms est encore en pleine digestion de DirecTV, le PDG du groupe, Randall Stephenson, s’est laissé convaincre qu’il fallait continuer à accélérer, alors que le secteur est en pleine ébullition. Son concurrent dans les télécoms, Verizon, vient de racheter Yahoo pour 4,8 milliards, après avoir acquis AOL en 2015 pour 4,4 milliards. Et Comcast, après le rachat de NBCUniversal en 2009 pour 30 milliards, vient de mettre la main sur DreamWorks Animation pour 3,8 milliards de dollars.
Dans ce contexte, Time Warner fait figure de proie idéale, car l’une des dernières disponibles sur ce marché très convoité des contenus. Disney, valorisé en Bourse à 150 milliards de dollars, est un bien trop gros morceau à avaler. Quant à des groupes comme 21st Century Fox ou CBS et Viacom, ils restent contrôlés par un actionnaire familial. Les deux derniers, détenus par la famile Redstone, sont d’ailleurs en train d’envisager une fusion.







incertain va donner à réfléchir aux deux parties pour envisager un rapprochement. Au pire, cela peut agir comme un obstacle à l’opération qui est proposée. »

Enième péripétie
L’incertitude est d’autant plus grande que la FCC risque d’être profondément renouvelée après l’élection présidentielle américaine du 8 novembre. Il est ainsi difficile, à ce stade, d’anticiper la façon dont le dossier sera examiné dans les prochains mois par les membres nommés par la nouvelle majorité.
Le candidat républicain, Donald Trump, a déjà planté le décor, samedi, en s’engageant à faire échouer le projet s’il accédait à la Maison Blanche, considérant que ce genre de structure entraînerait une trop grande concentration de pouvoir. De son côté, Hillary Clinton a promis qu’elle renforcerait les autorités de la concurrence en cas de victoire.
La proposition d’AT&T constitue une énième péripétie pour Time Warner, dont l’histoire a été rythmée par les mariages et les séparations. Le groupe s’est constitué en 1989 par le rapprochement des activités de presse écrite (Time Magazine, Fortune…) avec les studios de cinéma de la Warner. Sept ans plus tard, le groupe rachetait CNN à Ted Turner, avant de fusionner avec AOL en 2000. Mais, avec l’éclatement de la bulle Internet, l’opération s’est transformée en cauchemar. Après avoir surpayé sa proie, Time Warner a ainsi été obligé d’encaisser une perte comptable de 99 milliards. Enfin, en 2009, Time Warner s’est séparé de son activité de câblo-opérateur, Time Warner Cable, et de ses titres de presse écrite.














































































































a suon di dollaroni e l'altra metà con scambio di azioni su azioni.
In Europa il mercato é ancora troppo frammentato come numero (elevato) di operatori telefonici e televi sivi (in gran parte con pochi soldi) e col calcio come contenuto principale. Calcio dove adesso stanno approdando nuovi padroni orientali e quindi chissà che evoluzione avranno i vari campionati.
Come abbiamo già scritto non vediamo bene l'idea che nella stessa società convivano interessi diversi in particolare che la società offra i contenuti ed anche il  sistema di trasmissione ricezione.
Restiamo dell'idea che le infrastrutture di trasmis sione debbano essere in mano mista a larga maggio ranza pubblica anche se il furto che commina ai consumatori il distributore elettrico ENEL (cui poi si adattano anche  i pochi privati che disponganno davvero di una rete propria) non é di grande soddisfa zione. Non vorremmo  che, come accade oggi per l'ener gia elettrica, i costi del l'energia pura (e quindi i contenuti informativi e cul turali dei sistemi prossimi venturi) fossero meno di un qaurto della bolletta finale.
Il problema però é che ci sono troppi operatori che non sono disposti a  dare una rete di alta capacità all'intero paese e quindi, promesse a parte, nel combi nato tra ignoranza italica e investimenti ridotti, noi res tiamo sempre indietro ris petto al resto.




Come operatore telecom, AT&T sa che il 60% del suo traffico di telefonia mobile serve a scaricare immagini video da Internet.

Attenzione, però: a volte i matrimoni falliscono. Il fatto che sembrino solidi, e proiettati verso un avvenire radioso, non è garanzia di successo. Proprio Time Warner ne è un esempio. In un'epoca che oggi ci sembra remota, ma che risale a un quindicennio addietro, durante la prima rivoluzione di Internet, fu Aol (America Online) ad acquisire Time Warner. Anche in quel caso si trattava dell'unione fra medium e messaggio: da una parte Aol come Internet service provider, dall'altra i contenuti di spettacolo e informazione. Fu un fallimento clamoroso anche perché Aol si avviò rapidamente al tramonto. Di recente Aol, che da acquirente di Time Warner ne era divenuta un ramo minore, è stata scorporata e rivenduta a un altro colosso delle telecom, Verizon. Il flop del matrimonio fra Aol e Time Warner rimane come un monito: non è detto che unire infrastrutture di comunicazione e contenuti sia un'idea vincente.

I vertici AT&T oggi sono convinti che un errore da evitare sia l'esclusività. Cioè l'idea di riservare i contenuti (Hbo e Cnn, ad esempio) ai soli abbonati telefonici di AT&T. Questo differenzia la strategia di AT&T dai nuovi rivali del settore come Amazon, Hulu e Netflix, che invece qualche forma di esclusiva preferiscono praticarla. Per adesso AT&T preferisce concentrarsi su un obiettivo diverso, quello di rendere più fluida la nostra esperienza quotidiana di spettatori. Un'espressione che usano - non proprio poetica - descrive la nuova AT&T come un "aggregatore di aggregatori", un hub aperto, dal quale si accede a tutto, possibilmente nel modo più facile e con un'esperienza di fruizione scorrevole, di alta qualità tecnica. Una previsione: gli altri concorrenti non staranno fermi.

Federico Rampini
La Repubblica