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La
notizia della rottamazione delle cartelle di Equitalia, che per ora, in
attesa del decreto annunciato da Matteo Renzi, si esaurisce in una
slide illustrata dallo stesso premier, ha oscurato la Relazione
sull'evasione fiscale e contributiva. Un testo di 150 pagine frutto del
lavoro della commissione di esperti presieduta dall'ex presidente
dell'Istat, Enrico Giovannini, che lo stesso governo ha allegato al
Documento di economia e finanza presentato in Parlamento. La Relazione,
nel giorno in cui il presidente del Consiglio se la prende con il
metodo «punitivo» e «vessatorio» di Equitalia e decide di chiuderla, ci
ricorda che ogni anno a causa dell'evasione fiscale e contributiva
vengono a mancare alle casse dello Stato 109 miliardi di euro, ovvero
quattro volte il valore della manovra 2017. Allo stesso tempo Renzi, a
chi lo accusa di abbassare la guardia sull'evasione, ribatte: «Nessuno
ha fatto quanto noi, nel 2015 abbiamo recuperato 14,9 miliardi di euro,
è un record».
Ma allora uno si chiede: se la riscossione va così bene, perché
liquidare Equitalia? Se il problema era di tagliare interessi e
sanzioni sulle cartelle, lo si poteva fare anche mantenendo in vita chi
ha concorso al «record». Sulla scelta di Renzi, dunque, ha pesato
l'impopolarità di Equitalia.
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Nel
2014 le 142mila ispezioni mirate su aziende sospette hanno fatto
emergere 78 mila lavoratori irregolari contro 73 mila regolari. Perfino
l'Imu sulla casa viene evasa, per un minor gettito di circa 5 miliardi
l'anno. A fronte di questa situazione, nel 2015, ricorda la stessa
relazione, si sono recuperate «somme evase pari a 14,9 miliardi», di
cui però solo «4,5 miliardi derivano dalla riscossione coattiva», le
famose cartelle esattoriali. Il resto, più di 10 miliardi, è arrivato
da versamenti diretti in seguito ad accertamenti e versamenti
spontanei, dietro i quali spesso si nascondono errori e dimenticanze
causate anche dalla giungla di norme. In questi 10 miliardi, spiega la
relazione al Parlamento, sono però compresi i 4 miliardi di «incassi da
voluntary disclosure» sui capitali nascosti all'estero: un'entrata
straordinaria, al netto della quale il famoso record si sgonfia.
Conclusione.
L'evasione è alta e lo Stato non ha le risorse (e la volontà) per
combatterla adeguatamente. Gli accertamenti presso imprese e lavoratori
autonomi sono stati meno di 280 mila nel 2015, in diminuzione rispetto
al 2014, anche perché l'Agenzia delle Entrate è stata assorbita dalle
pratiche della voluntary.
La linea scelta per combattere gli evasori punta, nelle condizioni date,
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Al
Sud, nei centri di ascolto della Caritas gli italiani che chiedono
aiuto per arrivare a fine mese hanno superato gli immigrati. E in tutta
Italia esiste una vera e propria emergenza giovani, dovuta alla crisi
del mercato del lavoro che continua a penalizzarli: più diminuisce
l'età, più cresce la povertà. Sono alcuni degli aspetti che emergono
dal rapporto 2016 della Caritas italiana su povertà ed esclusione
sociale dal titolo 'Vasi comunicanti', elaborato sui dati del 2015, che
affronta questi temi confrontano la situazione in Italia e quel che
accade oltre i confini nazionali.
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I DATI DEI CENTRI DI ASCOLTO: SEMPRE PIU' UOMINI E DISOCCUPATI –
Accanto ai dati dell'Istat il rapporto fornisce quelli raccolti presso
i centri di ascolto promossi dalle Caritas diocesane o collegati con
esse (1.649 centri di ascolto dislocati su 173 diocesi). Nel corso del
2015, le persone incontrate sono state 190.465. Ed ecco un'altra
novità. “Come nel passato – spiega il dossier – il peso degli stranieri
continua ad essere maggioritario (57,2%), ma non più in tutte le aree
del Paese”.
Nel Mezzogiorno la percentuale di italiani è pari al 66,6%. Il 2015
segna anche un ulteriore cambio di tendenza: per la prima volta risulta
esserci una sostanziale parità di presenze tra uomini (49,9%) e
donne(50,1%), a fronte di una lunga e consolidata prevalenza del genere
femminile. L'età media delle persone che si sono rivolte ai centri di
ascolto è 44 anni. Disoccupati e inoccupati insieme rappresentano il
60,8% del totale.
Tra i beneficiari dell'ascolto e dell'accompagnamento prevalgono le
persone sposate (47,8%), seguite dai celibi o nubili (26,9%). Si tratta
di persone con la licenza media inferiore per il 41,4%, lalicenza
elementare (16,8%) o la licenza di scuola media superiore (16,5%). I
bisogni o problemi più frequenti che li hanno spinti a chiedere aiuto
sono soprattutto materiali: povertà economica (76,9%), disagio
occupazionale (57,2%), problemi abitativi (25%) e familiari (13%). Ma
la verità è che in molti casi queste difficoltà si sommano l'una
all'altra rendendo la situazione ancora più complessa.
LA POVERTÀ DEI RIFUGIATI E DEI RICHIEDENTI ASILO
A questi dati, si aggiungono quelli relativi ai rifugiati e
airichiedenti asilo. Nel 2015 sono sbarcati sulle coste italiane
153.842 migranti, provenienti soprattutto da Eritrea, Nigeria, Somalia,
Sudan, Gambia, Siria, Mali. i richiedenti asilo sono stati 83.970,
mentre dieci anni fa (nel 2005) erano poco più di 10mila. “Nel corso
del 2015 i profughi e i richiedenti asilo in fuga da contesti di guerra
che si sono rivolti ai Centri di Ascolto Caritas sono stati 7.770”,
spiega il rapporto. Si tratta per lo più di uomini (92,4%), con un'età
compresa tra i 18 e i 34 anni (79,2%), provenienti soprattutto da Stati
africani e dell'Asia centro-meridionale. Basso risulta essere il loro
capitale sociale e culturale. Numerosi i casi di analfabetismo (26,0%).
Il 61,2% si trova in situazioni di povertà economica (povertà estrema o
mancanza totale di un reddito). Oltre la metà (il 55,8%) non ha un
posto dove vivere. Queste persone chiedono beni e servizi materiali
(pasti alle mense,vestiario, prodotti per l'igiene) oltre a un
alloggio. “Il 2015 è stato definito come 'l'annus horribilis' per i
movimenti migratori – chiosa la Caritas – per l'elevato numero di
rifugiati, sfollati e morti, ma anche per la debolezza e l'egoismo che
molti Paesi hanno dimostrato nell'affrontare l'emergenza umanitaria”.
Infatti “la politica europea è risultata frammentata, disunita e per
molti aspetti inadeguata e le immagini di muri e fili spinati stridono
con gli ideali e i principi del grande 'sogno europeo', quello di un
continente senza più confini”.
Luisiana Gaita
Il Fatto Quotidiano
17 ottobre 2016
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Il
documento, frutto dell'analisi dei dati e delle esperienze quotidiane
delle oltre duecento Caritas diocesane operanti sul territorio
nazionale, arriva nella Giornata internazionale della povertà e a due
giorni dal varo di una legge di bilancio che, stando alle slide
presentate da Matteo Renzi, rinvia al 2018 l'aumento di 500 milioni del
Fondo per la lotta alla povertà. Quelle risorse, necessarie per far
partire il Reddito di inclusione attiva, come fatto notare dalla Cisl
erano state al contrario promesse per il 2017. “Un errore ed un danno
all'intero Paese”, accusa il sindacato. Intanto l'Eurostat ha reso noto
che la Penisola è al quarto posto nella Ue per aumento (+3,2%) del
rischio di povertà tra il 2008 e il 2015, alle spalle di Grecia
(+7,6%), Cipro (+5,6%) e Spagna (+4,8 per cento).
LA POVERTÀ INVERSAMENTE PROPORZIONALE ALL'ETA'
Secondo i dati Istat in Italia vivono in uno stato di povertà1,58
milioni difamiglie, per un totale di quasi 4,6 milioni di individui.
Si tratta del numero più alto dal 2005 ad oggi. “Le situazioni più
difficili sono quelle vissute dalle famiglie del Mezzogiorno – spiega
il rapporto – da quelle con due o più figli ancora minorenni, dalle
famiglie di stranieri, dai nuclei il cui capofamiglia è in cerca di
un'occupazione o operaio, ma anche dalle nuove generazioni”. Ed è
quest'ultimo un elemento inedito messo in luce dall'analisi della
Caritas, che stravolge il vecchio modello italiano: “La povertà
assoluta risulta inversamente proporzionale all'età, diminuisce
all'aumentare di quest'ultima”. La crisi del lavoro, infatti, continua
a penalizzare soprattutto giovani e giovanissimi sia in cerca di una
prima occupazione sia di un nuovo lavoro, ma anche gli adulti rimasti
senza un impiego. D'altro canto, secondo gli ultimi dati Istat,
l'incidenza più alta di povertà si registra proprio tra i minori, gli
under 18, seguita dalla classe 18-34 anni. Al contrario gli over 65,
diversamente da quanto accadeva meno di un decennio fa, si attestano su
livelli contenuti di disagio. Il risultato è che degli oltre 4,5
milioni di poveri totali, il 46,6% ha meno di 34 anni (si tratta di 2
milioni e 144mila persone).
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Ma
ciò che è peggio è che, anche se i 15 miliardi di evasione recuperata
fossero veri (e vedremo che non è così) sarebbero pur sempre non più
del 13% di quanto sottratto all'erario. Ora Renzi scommette che
cambiando approccio e alleggerendo le cartelle esattoriali si
incasseranno 4 miliardi in più. Il provvedimento però potrebbe avere
accanto a questi benefici, difficilmente stimabili prima, anche dei
costi in termini di riduzione del potere di deterrenza. Vedremo.
Intanto, come stanno le cose?
L'evasione fiscale e contributiva in Italia è maggiore che negli altri
Paesi avanzati, per motivi culturali e a causa di una struttura
produttiva frammentata, con una quota elevata di lavoro indipendente.
La fotografia dei redditi Irpef con il 46% dei contribuenti che
dichiara un imponibile Irpef inferiore a 15 mila euro annui è
inverosimile. La propensione media ad evadere l'Irpef da parte dei
lavoratori autonomi e delle imprese, dice il rapporto del governo, è
pari al 56%, «in continua crescita dal 2010 al 2014, anno in cui si
avvicina al 60%». L'evasione Iva è tra le più alte in Europa e fa
mancare ogni anno incassi per 40 miliardi.
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su
un mix di deterrenza, affidato molto allo spauracchio dell'anagrafe
finanziaria, e di compliance , cioè il vecchio «concilia?». I più
deboli in genere conciliano, gli altri vanno dall'avvocato. Equitalia
ha fatto meglio del precedente sistema di riscossione affidato alle
concessionarie locali, che non incassavano nulla. Del resto, la lotta
all'evasione non ha mai funzionato se non dal centro, lontano dalle
pressioni locali. L'ultima prova? La legge attribuisce il
100% degli incassi ai Comuni che segnalano casi sospetti di evasione
che vanno a buon fine. Bene, in 7 anni sono arrivate solo 82mila
segnalazioni per un gettito di 85 milioni. La classifica 2014 vede in
testa Milano con 2,1 milioni. A Roma si scende a 469mila euro. A Napoli
a zero. Equitalia chiude, i problemi restano.
Enrico Marro
Corriere della Sera
18 ottobre 2016
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