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9/10/201
SONO stato molto contento come vecchio fondatore di questo giornale che
il nostro direttore Mario Calabresi abbia deciso di aprire un dibattito
sulle varie tesi che riguardano il referendum costituzionale che sarà
votato dai cittadini il 4 dicembre prossimo e la vigente legge
elettorale che molti (e io tra questi) considerano malfatta o
addirittura pessima.
Il dibattito sulle nostre pagine è avvenuto anche perché
Repubblica ha ricevuto una quantità di lettere e di messaggi via web su
quei medesimi argomenti, esprimendo variamente il loro atteggiamento
sul voto Sì o il voto No o l'astensione attiva (come l'ha definita
Fabrizio Barca in un suo memorandum in circolazione nelle sezioni del
partito democratico).
Sono infine molto grato a Gustavo Zagrebelsky che ha dato il via a
questa discussione nel suo incontro televisivo di qualche giorno fa con
Matteo Renzi.
Desidero subito chiarire un punto: io non sono contrario al referendum
per ciò che contiene e che in sostanza consiste nell'abolizione del
bicameralismo perfetto. Esso esiste già in quasi tutti i Paesi
democratici dell'Occidente, rappresenta un elemento a favore della
stabilità governativa che non significa necessariamente autoritarismo:
può significarlo però se la legge elettorale è fatta in modo da
conferirgli questa fisionomia. Ragion per cui mi sembra onesto
dichiarare fin d'ora quale sarà il mio voto al referendum.
Se il Governo cambierà prima del 4 dicembre alcuni punti sostanziali
della legge elettorale o quanto meno presenterà alla Camera e al Senato
una legge elettorale adeguata che sarà poi approvata dopo il
referendum, voterò Sì; se invece questo non avverrà o se eventuali
modifiche a quella legge saranno di pura facciata, allora voterò No.
Coloro che non vedono (o fanno finta di non vedere) la connessione che esiste
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tra
un Parlamento monocamerale e l'attuale legge elettorale sono in
malafede o capiscono ben poco di politica ed oppongono il renzismo
all'antirenzismo, cioè la simpatia o l'antipatia verso l'attuale
presidente del Consiglio in quanto uomo. Evidentemente questo è un modo
sbagliato di pensare. Ricordo a chi non lo sapesse o lo avesse
dimenticato che Napoleone Bonaparte difese da capitano d'artiglieria
dell'esercito francese (lui era stato fino ad allora di nazionalità
corsa) il Direttorio termidoriano eletto dalla Convenzione dopo la
caduta di Robespierre che aveva provocato la reazione di piazza dei
giacobini. Questo avvenne nel 1795. Pochi anni dopo il 18 brumaio
Napoleone decise di sciogliere il Direttorio, lo sostituì con il
Consolato composto da tre Consoli due dei quali non contavano nulla e
il terzo che era lui aveva tutti i poteri. Di fatto era l'inizio
dell'impero che fu dopo un paio d'anni definito come tale.
Come vedete e già sapete gli umori cambiano secondo le circostanze
sicché votare pro o contro deve riguardare soltanto il merito e non il
nome di chi lo propone.
***
Fatte queste premesse debbo ora affrontare le questioni dell'oligarchia
e della democrazia, che hanno diviso Zagrebelsky e me. Crazia è un
termine greco che significa potere. Oli significa pochi, demos
significa molti, cioè in politica popolo sovrano. Il potere a pochi o
il potere a molti. Così dicono i vocabolari, così pensa la maggior
parte della gente e così ha sostenuto Zagrebelsky nel suo dibattito con
Renzi prima e con me due giorni dopo.
Al contrario io penso che la democrazia, di fatto, sia guidata da pochi e quindi, di fatto, altro non sia che un'oligarchia.
Una sola alternativa esiste ed è la cosiddetta democrazia diretta che
funziona attraverso il referendum. In quella sede infatti il popolo si
esprime direttamente, ognuno approva o boccia con un voto di due
monosillabi, ilSì e il No, il suo parere su un quesito. I singoli
cittadini quando raggiungono il numero previsto dalla legge, possono
presentare quesiti sotto forma di domanda e sottoporli al voto.
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Naturalmente
quel Paese è uno Stato che ha una sua Costituzione la quale, preparata
dai partiti o da un gruppo dei saggi, viene sempre approvata per via
referendaria.
Tutto ciò premesso riguardo alla democrazia diretta, va detto che
dirigere un Paese soltanto con i referendum è tecnicamente impossibile
in Stati la cui popolazione ammonti a milioni di abitanti e convive con
miriadi di Stati diversi con i quali esistono complessi rapporti di
amicizia o di conflitto, scambi economici o sociali, pace o guerra.
Pensare e supporre che tutta questa vita pubblica possa essere
governata attraverso i referendum è pura follia e non si può parlare
neppure in astratto di questa ipotesi.
Il dibattito dunque è un altro e le posizioni sono già state
presentate: io sostengo che la vera democrazia non può che essere
oligarchica, molti invece e Zagrebelsky per primo sostengono che quei
due temi sono opposti e che non possiamo da veri uomini liberi che
preferire i molti ai pochi. Quindi: partiti dove tutti i militanti
determinano la linea, il Parlamento (bicamerale o monocamerale che sia)
è la fonte delle leggi. Chi rafforza il Parlamento, eletto dalla
totalità dei cittadini aventi diritto o comunque dagli elettori che
usano il loro diritto di voto, rafforza la democrazia, cioè il governo
dei molti.
Questo è dunque il dissenso che personalmente giudico soltanto formale
e non sostanziale poiché non tiene conto della realtà. Naturalmente
questa mia affermazione va dimostrata.
Gli elettori il giorno del voto hanno davanti a loro la lista dei
candidati dei vari partiti. Qualche nome lo conoscono perché sono
rappresentanti di quei partiti, ma la maggior parte di quei nomi è
sconosciuta. Se comunque hanno scelto il partito per cui votano
condividendone il programma o addirittura l'ideologia, votano quel
partito e anche il nome di uno dei candidati. Ma chi ha scelto quei
candidati?
Dipende dalla dimensione dei singoli partiti. Se sono di molto piccole dimensioni
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la
scelta viene fatta dai leader e dai suoi consiglieri. Così avvenne
quando Fini e poco dopo Casini decisero di abbandonare Berlusconi e
così avvenne allo stesso Berlusconi che non ha mai avuto un partito.
Forza Italia non fu mai un partito ma un gruppo di funzionari della
società di pubblicità dello stesso Berlusconi. Così avvenne anche per
Vendola e per i radicali di Pannella. Ma se il partito è di ampie
dimensioni, come la Dc, il Partito socialista e quello comunista, la
scelta avveniva nel Comitato centrale. Il Congresso, una volta
terminato, si scioglieva dopo avere appunto eletto il Comitato
centrale. Era questo il solo organo governante di quel partito, che
eleggeva la direzione che a sua volta eleggeva il segretario.
Ho già fatto un elenco di nomi che guidarono quei partiti e quindi non
mi ripeterò. Ricordo soltanto che mettendo insieme il Comitato
centrale, i sindaci delle maggiori città ed i loro più stretti
collaboratori, si trattava al massimo di un migliaio di persone. Il
ponte di comando era quello, che decideva la linea del partito, i
candidati e i capilista nelle elezioni amministrative e in quelle
politiche.
Un migliaio di persone cioè indicavano i loro rappresentanti in
Parlamento il quale rappresentava e tuttora rappresenta i milioni di
cittadini che li hanno votati. Non è un'oligarchia di pochissimi che
determinano la partecipazione di moltissimi i quali nel loro insieme
rappresentano la sovranità del popolo e quindi il Demos che chiamano
democrazia?
È sempre stato così, nella civiltà antica, medievale, moderna. L'alternativa è la dittatura.
Oligarchia democratica o dittatura: questa è stata, è e sarà il sistema
politico dell'Occidente. Nelle altre parti del mondo la dittatura è la
normalità con rare eccezioni di Paesi a struttura federale come l'India
e l'In-donesia.
Per quanto mi riguarda non ho altro da aggiungere a quanto qui ho
scritto. Se Zagrebelsky vorrà prendere atto o contestare queste mie
conclusioni siamo ben lieti di leggerlo.
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12/10/2016
L'oligarchia è la sola forma di democrazia, ha sostenuto Eugenio
Scalfari nei suoi due ultimi editoriali su questo giornale. Ha
precisato che le democrazie, di fatto, sono sempre guidate da pochi e
quindi altro non sono che oligarchie. Non ci sarebbero alternative: la
democrazia diretta può valere solo per questioni circoscritte in
momenti particolari, ma per governare è totalmente inadatta. O meglio:
un'alternativa ci sarebbe, ed è la dittatura. Quindi — questa la
conclusione che traggo io, credo non arbitrariamente, dalle
proposizioni che precedono — la questione non è democrazia o
oligarchia, ma oligarchia o dittatura. Poiché, però, la dittatura è
anch'essa un'oligarchia, anzi ne è evidentemente la forma estrema, si
dovrebbe concludere che la differenza rispetto alla democrazia non è di
sostanza.
Tutti i governi sono sempre e solo oligarchie più o meno ristrette e
inamovibili; cambia solo la forma, democratica o dittatoriale.
Nell'ultima frase del secondo editoriale, Scalfari m'invita
cortesemente a riflettere sulle sue tesi, cosa da farsi comunque perché
la questione posta è interessante e sommamente importante. Se fosse
come detto sopra, dovremmo concludere che l'articolo 1 della
Costituzione (“L'Italia è una repubblica democratica”; “la sovranità
appartiene al popolo”) è frutto di un abbaglio, che i Costituenti non
sapevano quel che volevano, che hanno scritto una cosa per un'altra. Ed
ecco le riflessioni.
Se avessimo a che fare con una questione solo numerica, Scalfari
avrebbe ragione. Se distinguiamo le forme di governo a seconda del
numero dei governanti (tanti, pochi, uno: democrazia, oligarchia,
monarchia) è chiaro che, in fatto, la prima e la terza sono solo
ipotesi astratte. Troviamo sempre e solo oligarchie del più vario tipo,
più o meno ampie, strutturate, gerarchizzate e centralizzate, talora in
conflitto tra loro, ma sempre e solo oligarchie. Non c'è bisogno di
chissà quali citazioni o ragionamenti. Basta la storia a mostrare che
la democrazia come pieno auto
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governo
dei popoli non è mai esistita se non in alcuni suoi “momenti di
gloria”, ad esempio l'inizio degli eventi rivoluzionari della Francia
di fine '700, finiti nella dittatura del terrore, o i due mesi della
Comune parigina nel 1871, finita in un bagno di sangue. Dappertutto
vediamo all'opera quella che è stata definita la “legge ferrea
dell'oligarchia”: i grandi numeri della democrazia, una volta
conquistata l'uguaglianza, se non vengono spenti brutalmente, evolvono
rapidamente verso i piccoli numeri delle cerchie ristrette del potere,
cioè verso gruppi dirigenti specializzati, burocratizzati e separati.
Ogni governo realmente democratico non è che una fugace meteora. In
quanto autogoverno dei molti, fatalmente si spegne molto presto.
Tuttavia, la questione non è solo quantitativa. Anzi, non riguarda
principalmente il numero, ma il chi e il come governa. Gli Antichi, con
la brutale chiarezza che noi, nei nostri sofisticati discorsi, abbiamo
perduto, dicevano semplicemente che l'oligarchia è un regime dei
ricchi, contrapposto alla democrazia, il regime dei poveri: i ricchi,
cioè i privilegiati, i potenti, coloro che stanno al vertice della
scala sociale contro il popolo minuto. In questa visione, i numeri
perdono d'importanza: è solo una circostanza normale, ma non
essenziale, che “la gente” sia più numerosa dei “signori”, ma i
concetti non cambierebbero (dice Aristotele) se accadesse il contrario,
se cioè i ricchi fossero più numerosi dei poveri. Si può parlare di
oligarchia in modo neutro: governo dei pochi. Ma, per lo più, fin
dall'antichità, alla parola è collegato un giudizio negativo: gli
oligarchi non solo sono pochi, ma sono anche coloro che usano il potere
che hanno acquisito per i propri fini egoistici, dimenticandosi dei
molti. L'oligarchia è quindi una forma di governo da sempre considerata
cattiva; così cattiva che deve celarsi agli occhi dei più e nascondersi
nel segreto. Questa è una sua caratteristica tipica: la dissimulazione.
Anzi, questa esigenza è massima per le oligarchie che proliferano a
partire dalla democrazia. Gli oligarchi devono occultare le proprie
azioni e gli interessi particolari che li muovono. Non solo. Devono
esibire una realtà diversa, fitti
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zia,
artefatta, costruita con discorsi propagandistici, blandizie, regalie e
spettacoli. Devono promuovere quelle politiche che, oggi, chiamiamo
populiste. Occorre convincere i molti che i pochi non operano alle loro
spalle, ma per il loro bene. Così, l'oligarchia è il regime della
menzogna, della simulazione. Se è così, se cioè non ne facciamo solo
una questione di numeri ma anche di attributi dei governanti e di
opacità nell'esercizio del potere, l'oligarchia, anche secondo il
sentire comune, non solo è diversa dalla democrazia, ma le è
radicalmente nemica. Aveva, dunque, ragione Norberto Bobbio quando
denunciava tra le contraddizioni della democrazia il “persistere delle
oligarchie”. Se ci guardiamo attorno, potremmo dire: non solo
persistere, ma rafforzarsi, estendersi “globalizzandosi” e velarsi in
reti di relazioni d'interesse politico-finanziario, non prive di
connessioni malavitose protette dal segreto, sempre più complicate e
sempre meno decifrabili. Se, per un momento, potessimo sollevare il
velo e guardare la nuda realtà, quale spettacolo ci toccherebbe di
vedere?
Annodiamo i fili: abbiamo visto che la democrazia dei grandi numeri
genera inevitabilmente oligarchie e che le oligarchie sono nemiche
della democrazia. Dovremmo dire allora, realisticamente, che la
democrazia è il regime dell'ipocrisia e del mimetismo, un regime che
produce e nutre il suo nemico: il condannato che collabora
all'esecuzione della sua condanna. Poveri e ingenui i democratici che
in buona fede credono nelle idee che professano!
C'è del vero in questa visione disincantata della democrazia come
regime della disponibilità nei confronti di chi vuole approfittarne per
i propri scopi. La storia insegna. Ma non ci si deve fermare qui. Una
legge generale dei discorsi politici è questa: il significato di tutte
le loro parole (libertà, giustizia, uguaglianza, ecc.) è ambiguo e
duplice, dipende dal punto di vista. Per coloro che stanno in cima alla
piramide sociale, le parole della politica significano legittimazione
dell'establishment; per coloro che stanno in fondo,
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significa il contrario, cioè possibilità di controllo, contestazione e partecipazione.
Anche per “democrazia” è così. Dal punto di vista degli esclusi dal
governo, la democrazia non è una meta raggiunta, un assetto politico
consolidato, una situazione statica.
La democrazia è conflitto.
Quando il conflitto cessa di esistere, quello è il momento delle oligarchie.
In sintesi, la democrazia è lotta per la democrazia e non sono certo
coloro che stanno nella cerchia dei privilegiati quelli che la
conducono. Essi, anzi, sono gli antagonisti di quanti della democrazia
hanno bisogno, cioè gli antagonisti degli esclusi che reclamano il
diritto di essere ammessi a partecipare alle decisioni politiche, il
diritto di contare almeno qualcosa.
Le costituzioni democratiche sono quelle aperte a questo genere di
conflitto, quelle che lo prevedono come humus della vita civile e lo
regolano, riconoscendo diritti e apprestando procedimenti utili per
indirizzarlo verso esiti costruttivi e per evitare quelli distruttivi.
In questo senso deve interpretarsi la democrazia dell'articolo 1 della
Costituzione, in connessione con molti altri, a incominciare
dall'articolo 3, là dove parla di riforme finalizzate alla libertà,
all'uguaglianza e alla giustizia sociale.
Queste riflessioni, a commento delle convinzioni manifestate da Eugenio
Scalfari, sono state occasionate da una discussione sulla riforma
costituzionale che, probabilmente, sarà presto sottoposta a referendum
popolare. Hanno a che vedere con i contenuti di questa riforma? Hanno a
che vedere, e molto da vicino.
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13/10/2016
Sono alquanto deluso dalle risposte che Gustavo Zagrebelsky ha dato ai
miei duplici interventi sul rapporto tra oligarchia, democrazia e
dittatura o tirannide che dir si voglia. Si tratta al tempo stesso di
sostanza e di parole che la esprimono. Nel dibattito che c'è tra noi le
parole talvolta coincidono, la sostanza no. Che l'oligarchia sia il
governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i
ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri
interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io.
Che l'oligarchia abbia in mente una sua visione del bene comune è
inevitabile. Lo diceva persino Giuseppe Mazzini che infatti quando
fondò la Giovane Italia aveva in mente l'educazione dei giovani e li
preparava ad essere gruppi d'assalto per sollevare le plebi contadine.
In quegli assalti morivano quasi tutti; quello che si immolò con altri
trecento fu Pisacane: «Eran trecento, eran giovani e forti e sono
morti». Quella era l'oligarchia mazziniana: aveva in mente la nazione
italiana e la Repubblica invece della monarchia.
Del resto tre secoli prima lo stesso Machiavelli dedicò il Principe a
Lorenzo de' Medici affinché prendesse la guida per risollevare le plebi
e farne un popolo. Un altro esempio porta il nome di Mirabeau che agli
Stati generali di Francia riuscì a trasformare il Terzo Stato in
un'assemblea costituente che rendesse il potere assoluto del re
soggetto alla Costituzione.
Zagrebelsky è più giovane di me e forse non sa che l'oligarchia del
partito comunista abitava in case molto povere; addirittura le
lampadine appese al soffitto non avevano neppure una traccia di
paralume, erano appese ad un filo e pendevano in quel modo.
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Io
entrai in molte di quelle case e le ricordo bene: quella di Pajetta,
quella di Longo, ed anche quella di Pietro Nenni che era il segretario
del partito socialista, ed anche quella di Sandro Pertini. Potere ma
con una visione del bene comune molto precisa, in parte ideologica ma
soprattutto politica.
Identificare i pochi con i ricchi che ottengono il comando per favorire
i propri interessi è un evidente errore. Talvolta può accadere, ai
tempi d'oggi sono molti i potenti ricchi arruolati dai partiti e spesso
anche membri del Parlamento e del governo. È il cosiddetto malaffare.
La loro presenza in Parlamento — che Gustavo vede come il vero organo
di rappresentanza della democrazia e il suo pilastro — è una prova che
è un pilastro assai traballante, tanto più quando qualcuno di questi
potenti e ricchi che fa la politica nel proprio interesse viene
indagato dalla magistratura. La commissione delle immunità in questi
casi concede l'immunità a tutti ed in più votando all'unanimità.
Naturalmente negli ultimi anni il livello del malaffare è aumentato
dovunque: è aumentato il livello del benessere ma con esso purtroppo
anche quello del malaffare ma il fatto che il Parlamento sia secondo
Gustavo il luogo principale dove deve risiedere la democrazia dimostra
semmai che sono aumentati insieme al livello delle comodità della vita
anche i ricchi e il declino etico. Io infatti non sostengo che
l'oligarchia è per definizione il governo dei migliori; sostengo che è
il governo dei pochi ma è la sola forma d'un governo democratico.
Zagrebelsky pensa che i pochi sono i ricchi e i potenti. Ricchi non
necessariamente, potenti certamente e su questo è tutto. Le alternative
sono la democrazia referendaria della quale ho già scritto
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l'impossibilità
di governare; oppure la dittatura. Gustavo è d'accordo sul primo tema
ma non sul secondo: la dittatura secondo lui è la forma estrema
dell'oligarchia, con il passare degli eventi sia del passato remoto sia
di quello prossimo. Ma questa asserzione sulla base della storia non è
affatto vera.
L'Impero romano cominciò con Cesare Ottaviano, poi seguito dal termine
Augusto, ma era ancora una struttura, quella da lui costruita, che
lasciava un certo spazio al Senato. Il vero imperatore fu Tiberio. Lui
comandava e il suo comando veniva eseguito. I tribuni diventarono
cariche militari, i prefetti governavano le regioni che componevano
l'Impero ma non erano altro che amministratori e Pilato ne è un
esempio. Adriano, della famiglia Antoniniana, fu un altro imperatore
che comandava da solo e senza alcun consigliere. Traiano è ancora di
più un capo assoluto. L'Impero durò quasi cinquecento anni e
consiglieri non ne ebbe mai. Si potrebbe dire che il giovane Nerone
ebbe Seneca (solo Seneca) come educatore e la madre, assai autoritaria
anche lei; talmente autoritaria che alla fine Nerone se ne stancò e la
fece uccidere. Per cinquecento anni la struttura imperiale non fece
nessun cambiamento salvo uno: la divisione tra Oriente e Occidente.
In tempi più ravvicinati le monarchie erano chiamate assolute. Il
cosiddetto Re Sole, non a caso, sosteneva che lo Stato era lui. Al
massimo fu in qualche modo orientato dalle sue amanti. E poi gli
Asburgo d'Austria e di Spagna, i duchi di Borgogna, i Re di Spagna, di
Francia, di Inghilterra, di Scozia, di Svezia. Gli zar di Russia.
Napoleone. Dove sta in questi esempi l'oligarchia? Quelle dittature
erano oligarchiche? Assolutamente no.
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Napoleone ascoltava solo Talleyrand in politica estera e basta.
Ma voglio aggiungere un caso che può sembrare particolare e infatti lo
è ma è estremamente significativo: quello del Papa cattolico e dei
vescovi. Non so quale sia il numero dei vescovi, certamente molte
migliaia, compreso il Papa che è vescovo di Roma. Ma se paragoniamo le
migliaia di vescovi alle centinaia di milioni di fedeli siamo di fronte
in questo caso ad una oligarchia religiosa. Tanto più se aggiungiamo ai
vescovi i cardinali che ammontano a un centinaio o poco più. Il Papa
con cardinali e vescovi, nunzi apostolici e sacerdoti addetti a
specifici compiti e dicasteri rappresentano un caso tipico di
oligarchia. Un'oligarchia che si riunisce molto spesso nei Sinodi dove
i pareri, sia pure nel quadro d'una religione che crede nel Dio
assoluto trascendente, sono molto diversi e suscitano spesso
controversie molto aspre. Il compito del Papa è proprio quello di
cercare e trovare una mediazione che almeno per un periodo sia
condivisa da tutti. In sostanza la Chiesa cattolica è sinodale.
Potremmo anche chiamare i comitati centrali dei partiti con la parola
Sinodo: significano in due diversi casi lo stesso fenomeno oligarchico.
Ora mi fermo e non parlerò più di questo tema. Viviamo tempi dove la
politica è molto agitata e merita molta più attenzione che definire con
le parole e con il pensiero se si chiami oligarchia la sola forma di
democrazia che conosciamo.
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