NUMERO 241 -PAGINA 3 - DEMOCRAZIA E OLIGARCHIA































































  Eugenio Scalfari sbaglia: oligarchia e democrazia
  non sono la stessa cosa
  di Francescomaria Tedesco |
  Il Fatto Quotidiano 03 ottobre 2016







  Potere concentrato e potere diffuso.
  di Nadia Urbinati
  LaRepubblica 04 ottobre 2016


























































































Nell’articolo domenicale di Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica sovrappone l’oligarchia alla democrazia. Egli infatti afferma, nell’assegnare il match televisivo tra Renzi e Zagrebelsky al primo, che il secondo sbaglia ad accusare Renzi di aver apparecchiato una riforma della Costituzione in direzione oligarchica, poiché l’oligarchia sarebbe “la sola forma di democrazia”, se si fa eccezione per l’”orrenda” democrazia diretta.

Ora, senza voler impartire lezioni a Scalfari, il quale dichiara a favore della propria sapienza di aver “letto e meditato e scritto sulle visioni politiche dei grandi classici” così come Machiavelli vestiva i panni reali e curiali al ritorno dall’osteria dove si era ingaglioffito a giocare a cricca, c’è da dire che questa sovrapposizione appare del tutto indebita.
Il pensiero politico occidentale ha a lungo usato, per distinguere le forme di governo, una tripartizione tassonomica legata al numero di chi governa: l'uno, i pochi,



Per Gaetano Mosca o per Vilfredo Pareto, le élite sono inevitabili, mentre Roberto Michels ha affermato, analizzando la vita dei partiti (in particolare il partito socialdemocratico tedesco ai primi del Novecento) che esiste una “legge ferrea dell’oligarchia” secondo cui il formarsi di un’oligarchia è una tendenza a cui soggiace inevitabilmente ogni organizzazione, persino quelle socialiste o libertarie.

Ma dire che esistono le oligarchie è una valutazione analitica che può realisticamente venire condivisa; tuttavia la sovrapposizione tra democrazia e oligarchia, anche da quando questo termine ha perso la sua caratterizzazione più negativa tipica del pensiero classico, ovvero dalle opere degli elitisti citati, è comunque indebita.

Norberto Bobbio del resto considerava come una promessa mancata della democrazia la persistenza delle oligarchie. Poiché in democrazia, potremmo dire, il potere si legittima attraverso la scelta dei cittadini,







L’oligarchia è la sola forma di democrazia, altre non ce ne sono, salvo la cosiddetta democrazia diretta, quella che si esprime attraverso il referendum » . Eugenio Scalfari, che scriveva queste parole nell’editoriale di domenica scorsa, ci stimola con la sua lapidaria catalogazione a chiederci se questa riproposizine di Robert Michels sia utile a capire ( e soprattutto a gestire) la forma di governo nella quale viviamo, il governo rappresentativo. Un governo che agli elitisti antidemocratici del primo Novecento sembrava null’altro che un’astuta riedizione dell’oligarchia appunto, con le masse illuse che bastasse votare per vivere in democrazia. Parlare di democrazia rappresentativa all’interno di questo universo concettuale,attivato proprio quando l’odiata democrazia


Però la democrazia rappresentativa non è un ossimoro. Ha un’identità e una tradizione sua specifica, con un pantheon di studiosi ( certamente diversi tra loro) di tutto rispetto, a partire da Montesquieu e Condorcet, dai Federalisti americani a J. S. Mill, autori a Scalfari familiari. Circa vent’anni fa Bernard Manin ha sistematizzato queste idee e proposto il governo dei moderni come un “ governo misto”, che tiene insieme forma oligarchica e forma democratica. L’oligarchia non è democrazia. E quando ha un fondamento nel consenso elettorale libero e ciclico può combinarsi con la democrazia ( per questo, Madison rifiutava il termine oligarchia e parlava di “ aristocrazia natuale”, per distinguerla da quella cetuale che non discende dalla selezione elettorale). L’elemento democratico non sta solo nel voto ( eguale nel peso e individuale) ma nel voto che prende corpo all’interno di una società plurale, fatta di un reticolo di opinioni, liberamente formate, comunicate, associate, discusse e cambiate. È il libero e plurale dibattito che dà alla selezione elettorale ( di natura aristocratica, secondo gli antichi e i moderni) un carattere democratico. Quindi la democrazia elettorale e discorsiva limita l’oligarchia, non è oligarchia. Perché è importante tenere insieme i pochi e i molti, o se si preferisce la distinzione di chi compete ( poiché per competere occorre mostrare un’identità distinguibile) con la dimensione dell’eguaglianza democratica? Tra le tante ragioni che si potrebbero addurre, una soprattutto merita attenzione: per impedire la solidificazione del potere dei selezionati; ovvero per scongiurare la formazione di una classe separata, oligarchica. La temporalità del potere ( la sua brevità di esercizio) che l’elezione immette nel sistema e la subordinazione dell’eletto ( o del candidato) all’opinione di ordinari cittadini: questo fa della democrazia rappresentativa non un ossimoro e non una malcelata oligarchia, ma un governo unico nel suo genere, che contesta l’idenficazione della democrazia con il voto diretto. E fa comprende perché nelle democrazie moderne la lotta, perenne, è sulle regole che presiedono alla formazione del consenso, all’organizzazione elettorale, e infine alla limitazione del tempo in cui il potere è esercitato. Nella tensione mai risolta fra diffusione e concentrazione del potere ( democrazia e oligarchia) sta la dinamica della democrazia rappresentativa.
























































































































































































































































































































































i molti o i più. Nella tradizione filosofico politica che per esempio fa capo ad Aristotele, questa tripartizione distingue tra la monarchia, governo di uno, la politeia, governo dei molti, e l’aristocrazia, governo degli aristoi, i “migliori”.

A questa tripartizione ne corrisponde specularmente un’altra: quelle sono infatti le forme “buone”, ma vi sono di quelle tre forme altrettante forme degenerate: il governo degenerato di uno è la tirannia; la politeia, che è il modello di partecipazione dei cittadini (ovvero i maschi, liberi, pleno iure) alla sfera pubblica, se è degenerata si chiama democrazia ovvero governo dei poveri; e l’aristocrazia, ovvero il governo dei pochi, quando si corrompe si chiama oligarchia.

L’oligarchia è dunque, per Aristotele ma non solo, la forma degenerata dell’aristocrazia. Inoltre, per lo Stagirita la politeia è sì il governo dei molti, ma essi sono soggetti alla legge sovrana. Si potrebbe qui intravvedere, mutatis mutandis, un’anticipazione dello Stato di diritto? Di certo siamo davanti a quella componente isonomica della democrazia che rende tutti uguali davanti alla legge.
Isonomia è, nel discorso sopra le tre forme politiche di Erodoto, il nome di tutti più bello. Platone, dal canto suo, non è per l’oligarchia, che ritiene essere una forma degenerata, bensì per l'aristocrazia, il governo degli ottimati, dei "perfetti". Per Platone l'oligarchia é una forma degenerata,proprio come la democrazia,ma esse sono diverse tra loro: uno è il governo dei ricchi, l’altro dei poveri.Platone infatti distingue quattro forme degenerate, e dall’una si passa

















































































































































































































































































































































































































































































progressivamente all’altra. Per stare ancora al pensiero classico, Polibio contrappone alla democrazia, la forma buona, la oclocrazia, che è il governo della plebe. E si potrebbe andare avanti nel tracciare queste distinzioni e nel chiarire come ‘oligarchia’ sia stato a lungo termine caratterizzato negativamente.

Invece Scalfari afferma che “l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche”. Questa tesi avrebbe senso in un’ottica elitista, ovvero collocandosi nel solco dei pensatori che hanno analizzato (ed esaltato) il ruolo delle élite nel governo.



i quali sono dotati di agency politica, ovvero sono in grado, usciti dalla “minorità”, di scegliere ciò che è bene per loro. Mentre le oligarchie fondano il loro potere non su una legittimazione “esterna” che li distingue dai rappresentati ma per l’appunto li rappresenta, bensì su un sostegno che esse si danno da se stesse. In democrazia il cittadino è attivo e autonomo (si dà le regole da sé), con le oligarchie no.











si presentava sulla scena europea, ha poco senso. Meno ancora ne ha pensare di rubricare il governo rappresentativo come democratico. Nello schema duale proposto da Scalfari — decidere direttamente oppure essere governati da un’oligarchia — è difficile far posto al governo rappresentativo. Difficile, anche, vedere lo scivolamento del governo rappresentativo verso una concentrazione oligarchica del potere.