NUMERO 239 - PAGINA 4 - VOGLIONO SBANCARE DI PIETRO










































































Al termine di una serie di ricorsi incrociati, il Tribunale di Roma ha appena emesso un decreto ingiuntivo che condannaAntonio Di Pietro a pagare 2 milioni e 694mila euro di rimborsi elettorali al movimento dei riformisti di Achille Occhetto e Giulietto Chiesa, alleato dell'Idv alle Europee del 2004.

Il “Cantiere” – questo il nome del gruppo politico del quale faceva parte anche il giornalista Elio Veltri – avrebbe dovuto ricevere poco più di 5 milioni di euro, ma non percepì nemmeno un centesimo di quei fondi pubblici. Che furono incassati da un'entità parallela rispetto al partito dell'ex pm, e cioè dall'Associazione Italia dei Valori, composta dallo stesso Di Pietro, sua moglie Susanna Mazzoleni e la tesoriera Silvana Mura. La Camera ha però sborsato finanziamenti a un soggetto giuridico che per legge non aveva nessun titolo per incassarli, poiché non era né un partito né un movimento politico. Di Pietro – che in quella tornata elettorale fu eletto eurodeputato assieme a Chiesa – è quindi chiamato ora a risarcire personalmente, in quanto socio del sodalizio a tre, con la metà dell'importo originario l'associazione di Chiesa, che di fatto è ancora esistente.
 
"A prescindere dalle dinamiche interne tra politici – aggiunge l'avvocato Francesco Paola che ha difeso Occhetto e Chiesa e ha scritto a quatto mani con Elio Veltri il libro “I soldi dei partiti” – questa vicenda mette in evidenza la scandalosa noncuranza con cui l'ufficio di Presidenza della Camera ha gestito i rimborsi elettorali,
senza fare nessun controllo e pregiudi cando inevitabilmente i naturali equilibri politici.



Giulietto Chiesa: io, Di Pietro e quei soldi

Giulietto Chiesa: Antonio Di Pietro? é' un uomo di potere, ma soprattutto è una persona sleale e scorretta, che usa il finanziamento pubblico per assicurarsi il controllo totale del suo partito, e quindi per conservare e incrementare il suo ruolo nella scena politica italiana».
Giulietto Chiesa, 70 anni a settembre, è stato eletto all'Europarlamento nel 2004 proprio nella lista capeggiata da Di Pietro, in un'alleanza di breve durata tra l'ex pm e Achille Piovonorane blog di Alessandro Giglioli de L’Espresso ha chiesto a Giulietto Chiesa di raccontare la



E lei?
«Io gli feci presente che c'era una questione di lealtà e di correttezza politica, ma anche giuridica, perché non poteva tenersi tutto visto che il gruppo parlamentare eravamo noi due e ci si era appena divisi. Lui si mise a ridere e mi disse: “Sì sì, provateci pure a portarmi in tribunale, tanto avete firmato una delega secondo la quale il finanziamento pubblico spetta tutto a me”».
Che cosa avevate firmato?
«Ecco, io al momento nemmeno capii. E rimasi zitto. Ma tornato a Roma lo chiesi a miei compagni del Cantiere: scusate, che cosa abbiamo firmato?».








































































































































































































































































































































































































Se quei soldi fossero arrivati nelle mani giuste, oggi il gruppo di Giulietto Chiesa sarebbe sicuramente in Parlamento".(...)
Da parte sua Di Pietro preferisce non commentare la notizia: "Non faccio dichiarazioni, mi dispiace", ci ha risposto al telefono.

La vicenda non è sicuramente finita perché l’uomo è tosto e quindi... alla prossima puntata.
Certo é che alla fine del settembre 2016 scoprire che ci sono ancora al mondo della politica un DiPietro, un Occhetto e un Giulietto Chiesa mi ha fatto tornare di botto alle scuole medie. Mica saremo tornati alla prima guerra di indipedennza!? Oppure a Porta Pia? O più più più avanti al Non Expedit ?. No. Alla fine del 2016 -l'avevamo colpevolmente dimenticato- scopriamo che ci sono persone che vivono di politica. Non fanno uno dei tanti lavori o professioni comuni. Dall'autista di tram all'infermiere o alla-al badante. Allo stradino o al medico della mutua.
Che c'azzecchi (scusate l'appropriazione della citazione) un comunistone come Occhetto con un DiPietro non lo capisco proprio. Che c'azzecchi un Chiesa pure lui con DiPietro nemmeno lo capisco. Pazienza: c'ho dei limiti.
Invece  sono andati tutti insieme (allegramente: lo spero!) da un notaio  ed hanno sottoscritto un matrimonio morganatico, pardom elettorale per un seggio a Strasburgo. Matrimonio su carta legale con una clausolina assai antipatica. Mica paglia, eh. Mica un posto da consigliere comunale a Blello (BG). La democrazia é una gran buona cosa ma che abbiano da dire al mondo ed agli italiani lorsignori, boh? Immagino DiPietro che si alza nel Parlamento di Strasburgo per un intervento e tutti i suoi colleghi attenti e ritti a sentirlo. Oppure un intervento di occhetto. Chi é 'st'Occhetto  chiede il solito tedesco al collega polacco. Boh, pare che sia un vecchio comunista italiano. E DiPietro chi é? un ex magistrato italiano che ha fatto finire in galera tanti nostri colleghi. Boh.
Dai ragazzi, visto che siamo quasi coetanei, tornate a casa che facciamo un giro in città alta a guardare le signorine.











sua versione e i suoi ricordi di quel 2004.
Iniziamo da quando lei divenne europarlamentare con l'Italia dei Valori.
«Per la precisione, era una lista di coalizione tra Antonio Di Pietro e Achille Occhetto. Io fui chiamato appunto da Occhetto, che mi propose di candidarmi. Poi ebbi un colloquio con Di Pietro e tutto sembrò andare bene».
(...)
E poi?
«La lista andò male, meno del due per cento. Con due eletti, ovviamente Di Pietro e Occhetto. L'ex segretario del Pds però scelse di restare senatore e si dimise. Quindi gli subentrai io, primo dei non eletti».
E con Di Pietro?
«All'inizio ci fu una separazione consensuale, morbida. Insomma, avevamo capito subito che l'alleanza tra lui e Occhetto non aveva funzionato in termini di voti e quindi conveniva a tutti andare per la propria strada. Da una parte lui, con l'Italia dei Valori, dall'altra parte noi - diciamo - “occhettiani”, che ci chiamavamo Il Cantiere. Ma, ripeto, all'inizio non litigammo. (...)
E poi?
«Poi passò l'estate e in autunno il gruppo del Cantiere - Occhetto, Novelli, Veltri, Falomi e altri - mi chiese di andare da Di Pietro per domandargli una parte del “rimborso elettorale” che lo Stato aveva dato alla nostra lista comune, cioè due milioni e mezzo di euro. Avevamo anche noi l'affitto della sede da pagare, i manifesti da stampare, insomma le solite cose».
Quanto volevate?
«Guardi, eravamo ben consci che Di Pietro era l'asse portante di quella lista, però anche noi avevamo portato i nostri voti ed eletto un eurodeputato. Insomma, non ci sognavamo nemmeno di chiedergli la metà e quindi lasciammo decidere a lui».
In che senso?
«Io andai a trovare Di Pietro nel suo ufficio di Strasburgo e gli chiesi, cortesemente: “Secondo te, quanto ci spetta?”».
E lui?
«Apriti cielo. Perse quasi subito la calma, s'inalberò furibondo e iniziò a urlare che non ci spettava neanche una lira. Gridava: “Io non vi devo niente, sei tu che devi tutto a me, se sei qui è tutto merito mio” e così via. Non l'avevo mai visto alterarsi così e non mi aspettavo che alzasse la voce in quel modo. Fu di una volgarità offensiva».



E alla fine lo avete capito?
«Sì: con molta amarezza scoprimmo che nel giorno dell'accettazione delle candidature, nell'ufficio del notaio di Di Pietro in piazza del Tritone, quello ci aveva messo in mano un bel po' di carte da firmare e tra queste c'era anche l'accettazione che i rimborsi elettorali andassero tutti a Di Pietro. Ovviamente nessuno di noi quella carta l'aveva letta, se non altro per educazione: vai dal notaio che ti fa firmare la candidatura e mica pensi che ci sia sotto la fregatura. Invece era proprio così: come le assicurazioni che ti rifilano le clausole vessatorie in fondo al contratto».
Quindi?
«Abbiamo intentato lo stesso la causa civile, ritenendo che il modo in cui ci era stata estorta quella firma la invalidasse. E abbiamo anche cercato di trovare una mediazione con Di Pietro. Ma lui niente, non ha voluto sganciare un euro. Comunque il procedimento giudiziario è ancora in corso».
Allora secondo lei ha ragione Veltri, quando accusa Di Pietro di essersi intascato i rimborsi con false autocertificazioni?
«Guardi, io sull'indagine penale non voglio entrare, anche perché si riferisce a un'altra questione. E non penso che Di Pietro usi il denaro del finanziamento pubblico per arricchimento privato. Ma sicuramente, avendo una gestione molto personalistica del partito, sa che il controllo dei finanziamenti è fondamentale per continuare a garantirsi questo suo ruolo di padrone. E quindi perpetuare e allargare il suo peso nella politica italiana. E lo fa senza badare né alla correttezza, né alla lealtà. Di Pietro è semplicemente un pezzo della Casta».










































































































































































































































































































































































































































































































































































































Un articolo del 2014

















L’ex pm: “Il decreto ingiuntivo è frutto delle richieste di parte. Abbiamo 40 giorni di tempo per ricorrere”. Ma c’è un problema: i soldi non andarono a Italia dei Valori ma a un’associazione i cui soci erano Di Pietro, sua moglie e la tesoriera idv Silvana Mura: “Ma quando mai?”...

Marco Cremonesi per “Il Corriere della Sera”
06 agosto 2014

«Ma che devo fare? Li denuncerò per stalking giudiziario... Sono anni che ‘sta cosa va avanti». Antonio Di Pietro è a casa, a Montenero di Bisaccia. Le due vite precedenti sembrano archiviate: lontani i fasti della politica da protagonista, lontanissimi quelli delle antiche inchieste: «Sono qui con il mio asinello».
 
Ma il passato ritorna. Non molla. E si ripresenta sotto forma di un decreto ingiuntivo del Tribunale di Roma del 21 luglio. Gli impone di versare due milioni e 694 mila euro (più interessi) agli antichi partner della lista Di Pietro-Occhetto. Ma lui non sembra scosso: «Il decreto è frutto delle richieste di parte. Ora, abbiamo 40 giorni di tempo per ricorrere. E i precedenti, non dimentichiamolo, ci hanno sempre dato ragione».
 
Tutto inizia all’indomani delle elezioni europee del 2004, a cui si era presentata una lista formata dai sostenitori di Antonio Di Pietro e dal gruppo riunito intorno all’ultimo segretario del Pci, Achille Occhetto («Riformatori per l’Ulivo»). Per la cronaca, la lista conquistò due seggi: Giulietto Chiesa e lo stesso Di Pietro. Per quanto riguarda questa storia, il raggruppamento si vide attribuire 5 milioni e 388 mila euro di fondi elettorali.
 
Poi, nonostante un accordo politico, le strade si divisero. Dipietristi da una



parte, dall’altra gli occhiettiani, tra cui Chiesa e l’ex sindaco di Pavia (e cofondatore dell’Italia dei Valori) Elio Veltri. Tra l’altro — e la cosa non è irrilevante — i Riformatori per l’Ulivo si trasformarono in un nuovo soggetto, il «Cantiere per il bene comune».
 
In breve: il decreto ingiuntivo, innescato da un ricorso di Giulietto Chiesa, dice che i rappresentanti dell’Italia dei valori devono restituire la metà dei quasi 5,4 milioni presi come rimborsi elettorali agli «eredi» dei Riformatori per l’Ulivo. Tutto facile? Per niente: una prima decisione giudiziaria su questa contesa aveva respinto la stessa richiesta.
 
«Perché — spiega Di Pietro — non soltanto il tribunale non aveva riconosciuto la continuità tra i Riformatori e il Cantiere per il bene comune. Ma aveva anche stabilito che il Cantiere non aveva la personalità giuridica necessaria ad accampare diritti». Perdoni, Di Pietro: i fondi voi li avete presi. Perché i vecchi compagni di strada non avrebbero diritto alla loro quota parte? «Perché, chi le ha pagate le spese elettorali? I Riformatori o l’Italia dei valori?».
 
Anche se, come è noto, i rimborsi elettorali non sono tecnicamente rimborsi ma finanziamenti sulla base dei risultati conseguiti. Ma i Riformatori puntano su un altro aspetto. In effetti, curioso. Perché i finanziamenti non furono percepiti dal partito Italia dei valori. Ma da un’associazione con lo stesso nome i cui soci erano Antonio Di Pietro, la moglie Susanna Mazzoleni e la tesoriera del partito Silvana Mura.
 
Secondo l’ingiunzione (ma anche secondo la Cassazione nel 2011), il fatto che i due soggetti (partito e associazione) siano diversi «è  emerso e risulta accertato".



Resta allora da capire come è possibile che un’associazione possa percepire i fondi destinati a un partito.
 
Lo sottolinea l’avvocato che ha seguito il procedimento, Francesco Paola: «Siamo in un contesto di legislazione gravemente carente in tema di fondi elettorali. Per questo è importante che ci siano precedenti come questo che tutelino i diritti di partecipazione politica fondamentale».
 
Ma secondo Di Pietro non è affatto così: il soggetto è uno solo. «Ma quando mai? Associazione, movimento, partito... chiamatelo come volete. Resta il fatto inoppugnabile che il codice fiscale del soggetto a cui sono stati accreditati i fondi è uno soltanto. Così come uno soltanto è lo statuto». Insomma, la vicenda continua.
 
E lui, Tonino? Al di là delle sfide giudiziarie, che pensa per l’autunno a venire? «Ma che devo pensare? Io ormai sono qui, nell’associazione reduci. Guardo alla legge elettorale che verrà, ma mi pare che ci sarà poco da fare... ». Beh, si potrebbe stringere qualche alleanza, per esempio. «Macché. Qui si potrà stare soltanto o di qua o di là. E io non abbandono la mia Concordia... ».