NUMERO 238 - PAGINA 4 - NON SIAMO MIGLIORI DI LORO













































































































































































“Lettera di Gori sui migranti? Per accoglierli non dobbiamo pensare di essere meglio di loro”
Dopo la lettera del sindaco di Bergamo Giorgio Gori, pubblicata da Repubblica, in merito al tema dell'accoglienza dei migranti, riceviamo e pubblichiamo l'intervento del docente di scuola superiore e già candidato alle elezioni amministrative cittadine con il Patto Civico, Gianluca Spitalieri

di Redazione di BergamoNews - 24 settembre 2016

Gentile Direttore,
Di questi tempi è abitudine oramai consolidata occuparsi dell’imminente in una logica solo a tratti progettuale e di non proficua efficacia. Mi riferisco al dibattito epistolare in materia di formazione e di accoglienza, forse un po’ autoreferenziale, a cui da un paio di giorni assistiamo attraverso alcune testate nazionali e non solo. Si tratta di un tema che da decenni viene rimbalzato a diversi livelli, dal Governo ai comuni, dai comuni ai centri di prima accoglienza, dall’Italia all’Europa. Non vorrei però cadere anch’io nella trappola dell’opinione a tutti i costi, nel gioco spesso malsano della retorica parolaia sull’accoglienza, sull’ospitalità, né scriverle di responsabilità mancate o dismesse da partiti e governi. Vorrei invece dire la mia in merito alle proposte avanzate dal sindaco Gori in materia di formazione per stranieri e di richiedenti asilo politico.
In un’ottica di apprendimento è indispensabile tenere conto di due elementi: identità e alterità. Nelle proposte avanzate mi pare di cogliere solo un dato: un gruppo dominante che educa, istruisce e forma un soggetto atto solo ad assimilare. A quale modello pedagogico si fa riferimento quando si ritiene necessario “far fare qualcosa”? (come se l’obiettivo fosse il dover tenere occupati gli immigrati altrimenti delinquono), quale pedagogia dell’accoglienza suggerirebbe di intrappolare uomini e donne in percorsi obbligatori, in valutazioni periodiche? Quale progetto interculturale scriverebbe di regole e di ingaggi e parlerebbe di immigrati come risorsa demografica o manutentori del territorio?
Iniziamo invece a parlare di culture differenti che si incontrano.
Io credo che non si dovrebbe mai arrivare alla richiesta di adeguamento al nostro sistema culturale e sociale, proprio perché l’altro non va filtrato. Credo che sia necessario innanzitutto superare la visione puramente etnocentrica e aprirsi all’altro con atteggiamenti di stima, di dialogo e di comprensione reciproca.
La persona non comunica solo attraverso la parola: c’è tutto un linguaggio non verbale che ci mette in relazione con gli altri. Ogni cultura possiede una precisa peculiarità di concepire lo spazio del corpo, lo spazio dei gesti, le frontiere dell’intimità, la gestione dello sguardo.
Ciò che l’attuale società ci offre è una pluralità di mondi che sentono la necessità dell’interazione per la sopravvivenza reciproca. E per favorire tale interazione occorre che l’azione educativa sia indirizzata non solo alla presenza straniera, ma coinvolga direttamente anche l’autoctono, le istituzioni locali, i centri di formazione, la scuola,



perché questo è l’unico percorso che rende realizzabile l’unità nella diversità, la convivenza e l’integrazione senza che vengano annullate le specificità identificanti di ciascuno.
Occorre gestire i conflitti che il nostro tempo produce, non eliminarli, imparare a vivere le differenze, superando il concetto di accoglienza ormai viziato dalla forma antropologica dell’ospitalità, spesso declinata in una inevitabile provvisorietà esistenziale. Avvicinarsi alle numerose culture che le nostre città già di fatto mescolano come alchimie di futuri possibili, alla loro lingua attraverso un confronto paritetico.







G.L. Spitalieri è stato candidato nella lista Bruni  Patto Civico a sostegno della candidatura del sindaco Gori in città. Palermitano e insegnante di lettere e italiano all’ITIS Vittorio Emanuele II.
Della sua lettera abbiamo sottolineato in rosso quattro passaggi  e -lo dico subito- ha l’impostazione «particolare» del classico speculatore meridionale che nel volere essere precisino pricisino dimentica la complessità o la dimensione dell’argomento. Scrive Spitalieri che «Nelle proposte avanzate mi pare di cogliere solo un dato: un gruppo dominante che educa, istruisce e forma un soggetto atto solo ad assimilare.»
La questione è che quando approda in Italia un immigrato clandestino lui e noi ci troviamo davanti ad alcuni problemi quali:
(1) a quella persona va garantito il diritto di arrivare e restare nel Paese che desidera. Si chiami Italia Francia Inghilterra Germania.





































































































































































































































In genere questi sanno benissimo  quale dev’essere la meta ultima. Sarebbe utile che venisse immediatamente mandato (a fare domanda di asilo) nel Paese che desidera anziché la semi-carcerazione italiana.
(2) quella persona è arrivata in Italia e in termini di reciproche garanzie, qui vanno rispettate le leggi e le regole civili italiane.
(3) se uno vuole restare in Italia la conoscenza dello stile di vita italiano è utile sia a lui che a quelli che ci vivono accanto. Ecco perché siamo del parere che queste persone -in buona parte in attesa della decisione sull’asilo politico che alla fine viene rifiutato nel 93% dei casi e sempre con grave ritardo- non vanno messe «in batteria» con la prima associazione disponibile per levare l’erba dai marciapiedi della città ma vanno mandate presso aziende e famiglie perché solo così si realizza quello scambio tra popoli diversi per arrivare ad accettarsi o respingersi.
L’idea di mettere queste persone «in batteria» con la pettorina colorata dell’associzione che vanno in giro per la città a fare lavoretti utili mi ricorda le colonie delle suore degli anni pre 1970. Per non evocare di peggio. Lo abbiamo scritto fin dall’anno scorso.
(4) non é corretto che una qualsiasi associazione e ordine religioso che dispongano di spazi (spesso le associazioni religiose ne hanno a iosa in paesini microscopici) possano concorrere ai bandi delle prefetture SENZA

























































































































































































































































































































































































Purtroppo l’immagine dello straniero che sembra prendere forma dalle parole lette in questi giorni è quella di un soggetto privo di identità e di storia, obbligato ad una integrazione coatta, perché soltanto così godrebbe della gentile concessione del tanto agognato permesso di soggiorno. Come a dire: “o stai alle mie regole o sei fuori”. Io non credo che parole come formazione, istruzione, abbiano a che fare con i diktat o con fantomatiche regole di ingaggio. E’ la prospettiva orizzontale che permette l’integrazione, la cooperazione e tutto ciò deve avvenire senza la costrizione per i soggetti coinvolti di dover rinunciare alla propria identità culturale”.
Gianluca Spitalieri







che siano avvisati i comuni e senza che si tenga conto del rapporto tra abitanti e immigrati.
(5) se è vero che solo 500 comuni su ottomila hanno accettato l’arrivo di immigrati, c’è un GRANDISSIMO problema di razzismo  che va superato con una legge europea e nazionale «efficaci». In Italia basterebbe una accoglienza dell’1-2/1000 nei soli comuni oltre i mille abitanti per risolvere il problema.
(6) va redatta una carta europea e nazionale per cui le famiglie e le imprese che accettano di ospitare ricevono un rimborso spese adeguato (almeno 5 euro di più degli attuali 35 €). La questione è complessa dal momento che l’immigrato potrebbe essere temporalmente ospite di una famiglia e poi «frequentare» un artigiano o una piccola fabbrica e una scuola.
(7) Soltanto come ospiti di una famiglia e con la frequenza di un posto di lavoro e della scuola (basterebbe anche metterne uno per classe quinta o seconda terza media) è davvero possibile che la persona comunichi non solo attraverso la parola: ma con tutto il linguaggio non verbale che la mette in relazione con gli altri. Ogni cultura possiede una precisa peculiarità di concepire lo spazio del corpo, lo spazio dei gesti, le frontiere dell’intimità, la gestione dello sguardo.

Purtroppo c’è da poco da sperare. Quando un sindaco -vedi Curno- si premura di precisare che i cinque ospiti (di cui uno in una famiglia) non faranno spendere un euro al comune  e poi con la massima allegrezza  fa spendere agli italiani oltre 100 mila euro per soddisfare le sciurette con La Miniera, non si va molto lontano.
Troppi nostri sindaci, compresi probabilmente quelli  tra i 500, badano più alla propria rielezione che a chi ha bisogno di salvare la pelle.




























































































































































































































































































































































































































































































































































































La lettera del sindaco di Milano a La Repubblica

























CARO direttore,
In tema di immigrazione è tempo di prendere atto che le condizioni intorno a noi sono profondamente mutate. Non definiamola più emergenza, oggi siamo nel pieno di una dolorosa, costante problematica da gestire. Centinaia di migliaia di persone fuggono la guerra, la fame e la persecuzione. L'Unione Europea dimostra tutta la fragilità della sua politica, che sta rapidamente diventando impotenza.

Un'ulteriore stretta dei controlli alle frontiere e il rigetto di ogni forma di accoglienza sono dietro l'angolo in un numero crescente di Paesi. È quindi di tutta evidenza il clamoroso e doppio fallimento europeo: non riesce a controllare i flussi in partenza  e non riesce a gestire qui le persone che arrivano.

L'Italia sta faticosamente facendo la sua parte. Questo va detto chiaro e forte. Come cittadino ritengo che l'accoglienza non sia una scelta, ma un dovere. Come sindaco di Milano sono convinto



che la nostra città viva nell'accoglienza uno dei tratti distintivi della sua identità. Come uomo di sinistra penso che ogni singolo migrante vada richiamato ai suoi doveri, ma nel frattempo gli tendo la mano.

Proprio per questi motivi, sono consapevole del fatto che il nostro Paese deve passare a una consapevole gestione del fenomeno. L'Italia deve uscire dall'idea di essere una piattaforma di prima accoglienza. E' certo che la questione non può riguardare solo i non molti Comuni che se ne occupano, ma che il governo, soprattutto un governo di sinistra, deve provvedere a una nuova e efficace politica di integrazione.

Non è facile, ma è da sinistra che deve arrivare la spinta ad affrontare la questione, attraverso una programmazione che coinvolga da subito le amministrazioni regionali. Milano sta facendo tutto il possibile. Negli ultimi tre anni abbiamo accolto oltre 100.000 profughi



. Ma è necessario che il governo operi perché tutto questo non continui a pesare come un macigno sulle spalle della città. Abbiamo bisogno di una politica di integrazione seria, pianificata e dotata dei mezzi finanziari adeguati.

Il governo deve valutare se dare vita ad un unico soggetto che si occupi di immigrazione e accoglienza mettendo insieme i diversi tasselli del mosaico: il sistema Sprar, il rapporto con i Comuni, la circolazione di buone pratiche, l'uso di caserme e così via. A supporto del lavoro del Ministero degli Interni.

Bisogna poi costruire un nuovo e reale sistema di integrazione. Si tratta di proporre un nuovo patto a chi arriva: noi faremo tutto quello che serve a darvi una mano, voi mostratevi disponibili da subito ad aiutarci dove serve, mettendovi a disposizione di programmi per conoscere le nostre leggi e la nostra lingua.

Noi milanesi abbiamo nel lavoro e nella comprensione reciproca l'essenza più profonda



del nostro stare insieme. Per questo a fine settembre avvieremo una sperimentazione per inserire centinaia di richiedenti asilo nelle attività di cura del territorio.

Oggi l'immigrazione non è un cerino da passare di mano in mano. È una questione gigantesca che chiede un radicale cambio di passo a livello nazionale. O daremo sostanza a questo cambio di passo o finiranno per prevalere egoismi e paure, che porteranno altri milioni di voti ai populisti di ogni genere. L'Europa si sta rivelando su questo fronte più un ostacolo che un sostegno. Dobbiamo agire subito e bene, per fare quello che la nostra coscienza di governanti ci chiede di fare.

L'autore è sindaco di Milano



























































































































































































































































































































































































Le lettera del sindaco di Bergamo a BergamoNews

























Caro Direttore,

ha fatto bene il sindaco di Milano a indicare la necessità di un piano nazionale di accoglienza e integrazione dei migranti. Matteo Renzi conduce una giusta battaglia per un maggiore coinvolgimento dell’Europa e per una politica di investimenti che riduca i flussi dall’Africa. Il fronte interno mostra però molte criticità.

Fino ad oggi abbiamo affrontato la questione come un’emergenza: non lo è. Siamo di fronte ad un fenomeno di lunga durata, mosso da variabili che non smetteranno esercitare la loro spinta. Per parecchio tempo siamo stati un luogo di transito. Con la chiusura delle frontiere siamo diventati una destinazione finale. Qui arrivano e qui rimangono. Ecco perché l’emergenza sta esplodendo. In particolare, in quei pochi Comuni  —  500 su 8.000  —  che portano sulle spalle tutto il carico dell’ospitalità.

Sia Sala che Piero Fassino hanno sottolineato questo aspetto. La base dell’accoglienza va assolutamente ampliata e l’unica strada è una seria incentivazione dei Comuni centrata sullo sbocco delle



assunzioni. Non basta, però. Fin qui ci siamo prodigati a tappare i buchi. Ora ci serve un piano nazionale. Che tenga conto di due evidenze:

1) La gran parte dei richiedenti asilo è destinata a vedere respinta la propria istanza. A Bergamo, dall’inizio dell’anno, i “no” della Commissione territoriale sono stati il 93%. Qualcuno verrà riammesso dai Tribunali, ma il 75–80% resterà fuori (la gran parte dei migranti arriva da Paesi in cui non sono riconosciuti conflitti o persecuzioni).

2) Per questi “diniegati” la legge prevede il rimpatrio, ma i rimpatri eseguiti sono un’eccezione. Mancano gli accordi bilaterali con i Paesi d’origine (tutt’altro che facili da fare) e ci sono grossi problemi burocratici ed economici. Per rimpatriare 10.000 migranti servono 116 voli e 20.000 poliziotti. Ogni rimpatrio assistito costa tra i 3.000 e i 5.000 euro. Non è quindi realistico (almeno nel breve) che se ne possano fare molti di più.

I “diniegati” restano dunque qui, espulsi dai luoghi di accoglienza, senza documenti, senza soldi, senza un luogo dove stare,



irregolari consegnati ad una vita di espedienti e di attività illegali, in attesa di trasformarsi in un problema di sicurezza e di ordine pubblico. È chiaro che così non possiamo andare avanti. La domanda cui dobbiamo rispondere riguarda il destino di queste persone. Quale vogliamo che sia? Oggi la gran parte è destinata alla marginalità e all’illegalità. Io penso che chi tra loro ha voglia di fare, di imparare e di rispettare le nostre leggi  —  da qualunque Paese arrivi  —  debba poter fare un percorso di integrazione.

Ciò che serve è un iter strutturato, standardizzato, obbligatorio, che preveda l’apprendimento dell’italiano e di elementi culturali di base, accompagnato da attività lavorative (centrate sulla manutenzione del territorio) e da moduli di formazione professionale. Oggi questo accade (in parte) solo nelle strutture SPRAR, e riguarda unicamente i (pochi) profughi cui è stato riconosciuto il diritto di protezione. Non basta: lo schema va esteso a tutti i richiedenti e attuato sin dalla fase di seconda accoglienza, ben prima che le commissioni si pronuncino, moltiplicando le strutture SPRAR e i luoghi di accoglienza diffusa.



Chi non accetta le regole di ingaggio dev’essere rimpatriato in via prioritaria. Soprattutto, impegno e livelli di apprendimento dei migranti devono essere misurati e diventare decisivi ai fini della concessione del permesso umanitario. Che non può essere concesso a tutti, ma solo a chi accetta un patto fondato su formazione, lavoro e concreta volontà di integrazione. Solo così  —  cambiando radicalmente le regole d’ingaggio  —  possiamo evitare di dissipare totalmente lo sforzo prodotto durante la fase di prima/seconda accoglienza dei migranti. Solo così possiamo evitare di “diseducarli” lasciandoli per quasi due anni senza far nulla, e insegnare loro che l’accoglienza ricevuta richiede una “restituzione”. Solo così possiamo ridurre il numero dei rimpatri da eseguire ed evitare di generare una massa crescente di irregolari indirizzati verso attività illegali. Solo così  —  io credo  —  possiamo iniziare a collegare accoglienza e percorsi di integrazione, immigrazione spontanea e governo dei fabbisogni demografici.

L'autore é il sindaco di Bergamo.