NUMERO 238 - PAGINA 1 -QUEL DEBITO EGOISTA CHE FA FARE MENO FIGLI


















































































































































Dalla brutalità dei numeri non si scappa e le osservazioni di Alessandro Rosina sono una staffilata sulla schiena -gli anziani in specie- si sono costruiti un welfare  molto generoso per se ai danni di tutti quelli -pochi purtroppo- che verranno.
Lo conferma indirettamente anche la Cisl bergamasca anche se poi avanza una proposta stantia -un tavolo bergamasco per trattare il tema- come se il problema fosse solo della nostra provincia. O che ci siano particolari accentuati rispetto all’altrove.
Questo continuo ragionare sulle sole questioni economiche e legislative mi pare riduttivo dal momento che sebbene non ci siano difficoltà a riconoscere che la mancanza di lavoro, l’alto costi (e l’assenza) dei servizi pubblici per i figli (specie nidi e scuole materne) siano alcuni dei motivi principali per cui si figlia poco, questo modo di ragionare mi pare voglia nascondere qualcosa di eticamente non esattamente buono.
Si figlia poco anche perché i figli comportano una forte riduzione delle libertà individuali dei genitori e dei nonni e quindi meglio lasciare i figli in grembo alla cicogna.
L’immagine che diamo dei bambini al primo giorno di scuola pensavamo fosse «costruita» nel senso che il fotografo avesse schierato volutamente genitori col cellulare in fila davanti e bambini straordinariamente abbigliati con costosi e voluminosi zaini sulle spalle.
Invece era un’immagine simbolo che si è vista a Milano come a Palermo.
Che è poi -simmetricamente -l’immagine che vediamo nell’anticamera di uno studio medico di base: la stragrande percentuale dei presenti è li per chiedere la replica delle ricette per medicinali  per curare malattie da benessere. Poi -siccome i pensionati si lamentano di essere poveri- anziché prendere in farmacia i medicinali equivalenti, per il 60% scelgono quello di «marca».
Viene spesso promossa la teoria dei nonni e dei genitori che impiegano la propria pensione anche per mantenere i figli (disoccupati) che in buona parte è (anche) vera ma  concretamente - vedi il rapporto illustrato da Rosina- è rispondente al vero in piccola parte.
Anche il risparmio delle famiglie italiane dice (2014) che a fronte di 3897 miliardi di attività finanziarie ci sono 906 miliardi di debiti (finanziari): dal che balza evidente non il solo dato strutturale ma la componente etica: siamo un popolo di egoisti.
Inutile girarci attorno.
Non meraviglia quindi che un popolo di egoisti sia anche un popolo  di razzisti dove poi gli aggettivi debbono essere usati o applicati col massimo delle sfumature -dal bianco al nero-  salvo però il fatto che -numeri alla mano- l’accentuazione nettamente sul negativo è evidente. Chiarissima. Conclamata.
E questo egoismo «straripa» dal comportamento individuale e famigliare  sul comportamento degli altri. Lo leggiamo ogni giorno sui quotidiani com’è quello  odierno sulLa Repubblica sul piccolo comune di Vigneto  (PC) dove i suoi nove abitanti vorrebbero anche imporre ad un altro compaesano (oddio: una frazione di 9 abitanti...) di non accogliere extracomunitari in casa propria.
L’egoismo privato e il razzismo pubblico accentuato dalla burocrazia statale per la quale esistono solo le carte prima delle persone.
No. Non c’è molto da sperare. Un Paese messo così è moribondo o forse già morto.












Un paese in cui si fan­no sempre meno fi­gli e li si grava di cre­scenti costi, a quale futuro va incontro? Purtroppo l'Italia è una delle economie avanzate più vicine a questa situazione. Una rappresentazione chiara di come non riusciamo a trovare, oramai da troppi decenni, la strada di uno sviluppo virtuoso può essere for­nita dall'andamento straordina­riamente speculare di due indi­catori apparentemente molto diversi: il debito pubblico e la fe­condità. Ancora a metà degli an­ni Settanta il numero medio di figli per donna si trovava attor­no all'equilibrio generazionale, ovvero pari a due, e il debito pubblico sotto il 60% del PiL,livello



La fecondità a stento si riavvicina a un figlio e mezzo e il debito al­la soglia psicologica del 100% del PiL. Que­sta parentesi debole e incerta di risanamento e sviluppo viene però, di fatto, annullata dalla cri­si. Ci troviamo ora in una condi­zione di problematicità analoga a quella di metà anni Novanta.
L'evoluzione così straordina­riamente speculare di questi due indicatori non è, verosimilmen­te, né causale né casuale. Sulle di­namiche osservate pesano i fatto­ri che hanno compresso le nostre possibilità di crescita e allargato il gap, sia in ambito produttivo che riproduttivo, tra obiettivi deside­rati e realizzazione effettiva.
Durante i "Trenta gloriosi" - il periodo tra la fine del secondo conflitto mondiale e i primi anni Settanta - l'Italia si era rivelata capace, anche meglio di molti al­tri paesi, di mettere in mutua re­lazione positiva crescita econo­mica, welfare e demografia. Alla fine di tale periodo non è stata però in grado di rimettersi in di­scussione, in un mondo che cambiava, ripensando il proprio modello economico e sociale.
Questo ha frenato il poten­ziale contributo alla crescita delle due componenti più inve­stite dai cambiamenti degli anni Settanta e successivi, ovvero i giovani e le donne.
Siamo così diventati un paese sempre più ostinato nel preserva­re diritti e benessere acquisito an­ziché metterci nelle condizioni di allargare opportunità e produrre nuovo benessere futuro, con la conseguenza di trovarci con sem­pre più debito oggi e sempre me­no crescita domani.
In questo contesto anche le fa­miglie si sono trovate schiaccia­te in difesa, rivedendo al ribasso il numero di figli anziché allinea­re al rialzo l'occupazione femmi­nile, come invece fatto nei paesi che hanno investito in politiche di conciliazione.
Indebitamento e invecchia­mento hanno poi eroso ulterior­mente la possibilità di investi­mento in nuovo welfare e nuovo lavoro, producendo così un circo­lo vizioso dal quale è diventato sempre più difficile uscire.
L'andamento speculare tra debito pubblico e fecondità non spiega certamente tutto quello che è avvenuto negli ultimi qua­rant'anni ma descrive con effica­cia un percorso che ci ha condot­ti, per molti versi, lontani dal fu­turo desiderato. Tantomeno ci dice cosa oggi dobbiamo fare, ma ci mette in guardia sull'im­portanza di aver ben presente cosa vogliamo diventare doma­ni nelle scelte da fare oggi.


Alessandro Rosina, Ordinario di demografia e statistica sociale alla Cattolica di Milano.








































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































considerato generalmente accettabile per un'economia sa­na e un corretto rapporto tra generazioni di oggi e di domani. Alla fine degli anni Ottanta era­vamo già diventati uno dei pae­si al mondo con peggior combinazione di invecchiamento e in­debitamento.
Il punto più problematico vie­ne toccato nella prima metà de­gli anni Novanta, quando il debi­to supera nettamente il livello del prodotto interno lordo e le nascite italiane scendono su un livello praticamente dimezzato rispetto ai livelli del baby boom. La fase successiva mostra come riforme e interventi non siano pienamente riusciti nell'obiettivo di invertire la rotta.
























































































































































































































































































































































































































































































Ogni giorno 28 minori migranti scomparsi in Italia
























La denuncia di Oxfam: "Ogni giorno 28 minori migranti scomparsi in Italia»
Il rapporto della ong fotografa il dramma di bambini e ragazzi arrivati da soli sulle nostre coste. Il loro numero è raddoppiato nell'ultimo anno e il sistema di accoglienza rivela tutte le sue falle

di CRISTINA NADOTTI
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08 settembre 2016
1,6mila
La denuncia di Oxfam: "Ogni giorno 28 minori migranti scomparsi in Italia»
(ap)
ROMA - Da soli, in balia di trafficanti e truffatori di ogni genere, spinti a lasciare le famiglie nella speranza di una vita migliore. Nell'ultimo anno, denuncia la ong Oxfam, è raddoppiato il numero di minori che raggiungono l'Italia da soli: "Secondo i dati UNHCR, dal 1 gennaio 2016 ad oggi, ben il 15 per cento di tutti i migranti arrivati in Italia è rappresentato da bambini e ragazzi che viaggiano soli - evidenzia il nuovo rapporto pubblicato oggi da Oxfam - Questi dati seguono un trend globale, secondo cui il numero di



minorenni soli all'interno dei flussi migratori è in costante aumento: gli ultimi dati disponibili stimano che circa la metà di tutti i rifugiati a livello mondiale siano minori, e che, nei paesi di destinazione, dal 4 al 15 per cento dei richiedenti asilo siano minori non accompagnati".

Le cifre del fenomeno. In Italia, scrive Oxfam, "ormai quasi esclusivo punto d’arrivo dei flussi migratori diretti verso l’Europa, dopo la  chiusura della rotta balcanica e l’accordo tra Unione Europea e Turchia, al  31 luglio 2016 erano sbarcati 13.705 minori soli, con un incremento di più del doppio rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (basti pensare che, in tutto il corso del 2015, ne erano arrivati 12.360). Secondo il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, circa il 40 per cento  dei minori non accompagnati (quasi 4.800) si trova attualmente in Sicilia. L’attuale normativa infatti prevede che i minori soli siano automaticamente in carico ai servizi sociali dei cosiddetti “comuni di rintraccio”, cioè i Comuni in cui di fatto approdano".





Le falle dell'accoglienza. A fronte di questa emergenza minori il sistema per accoglierli, denuncia sempre Oxfam, è inadeguato e lacunoso, tanto che sono moltissimi, ben 28 al giorno, i bambini e ragazzi che si allontanano dai centri in cui sono ospitati e scompaiono.Nei primi sei mesi del 2016 quelli per i quali è stato segnalato l’allontanamento sono stati ben 5222.Sono minori di cui semplicemente si perdono le tracce, la maggior parte sono egiziani (23,2 per cento), somali (23,1 per cento ) ed eritrei (21,1 per cento). Lo sforzo di società civile, comuni e regioni, osserva Oxfam, non basta a tamponare l'inadeguatezza dei centri "hotspot"  realizzati dall’Unione europea e dalle autorità italiane per registrare i nuovi arrivi e velocizzare le procedure di respingimento ed espulsione. I minori si trovano così in strutture sovraffollate, dove mancano i servizi minimi sia per gli adulti sia per i minori e sono molti coloro che restano in questa situazione fino al compimento dei 18 anni di età. Ma anche a chi viene trasferito in comunità di prima accoglienza per i minori



le cose non vanno molto meglio e Oxfam continua a raccogliere testimoniance di trattamenti inadeguati o palesemente contrari agli obblighi di legge. Così, seppure senza aiuti e mezzi, i minori fuggono. Nelle voci raccolte da Oxfam si coglie la loro determinazione a raggiungere il Nord Europa, spesso contando su una comunità che si è già stabilita all'estero, oppure la disperazsione di voler fuggire a centri di accoglienza che somigliano a prigioni o dai quali non si sentono tutelati.

L'appello. "Circa il 40 per cento dei minori non accompagnati è di fatto bloccata in Sicilia, spesso nei piccoli comuni di approdo: è l'effetto di una normativa nazionale che limita fortemente la possibilità che altre regioni italiane condividano la responsabilità dell'accoglienza di questi bambini e ragazzi, precludendo loro la possibilità di essere ospitati in strutture e contesti più attrezzati e dignitosi", dice Elisa Bacciotti, direttrice delle campagne di Oxfam Italia. "Oxfam e le organizzazioni partner in Sicilia, come AccoglieRete e



Borderline Sicilia, incontrano regolarmente ragazzi che raccontano di non essere stati informati della possibilità di presentare richiesta di asilo o del diritto di avere un tutore legale, ossia qualcuno che agisca nei loro migliori interessi e che tuteli i loro diritti.
L'assegnazione di un tutore però può richiedere anche diversi mesi.
Se la situazione dei bambini è particolarmente critica - conclude la nota di Oxfam - quella di coloro che compiono 18 anni non lo è di meno. Molti vengono semplicemente cacciati dai centri in cui soggiornavano, finendo così anche loro in mezzo a una strada.Tra dieci giorni i governi di tutto il mondo si incontreranno alle Nazioni Unite a New York per definire il loro impegno concreto per le persone costrette a fuggire: questo è il momento di chiedere loro di cambiare il destino di queste persone".













































































































Meno neonati, più over 65: “La nuova famiglia bergamasca ha bisogno di servizi”
Uno studio del Dipartimento Welfare della Cisl di Bergamo mette in luce la composizione dei nuovi nuclei: sempre meno neonati e più anziani, scende il numero dei componenti. Il sindacato chiede un “tavolo per la famiglia”

























Oltre 2500 neonati in meno in cinque anni, 10 mila ultra sessanta cinquenni in più. Un’età media che in due lustri si è alzata di più di tre anni. Una vera e propria esplosione delle famiglie mono genitoriali e la crescita costante dei nuclei con un solo figlio. È l’istantanea che la ricerca del Dipartimento Welfare della CISL di Bergamo ha scattato sulla condizione famigliare della nostra provincia con dati ISTAT e locali, e che apre la strada a riflessioni e proposte che il sindacato di via Carnovali ritiene non più rimandabili.
“Negli ultimi anni – dice Francesco Corna, della segreteria provinciale -la Regione Lombardia ha introdotto alcune misure positive nei confronti delle famiglie (il bonus bebè, nidi gratis, il reddito di autonomia) che appaiono il più delle volte degli spot. La situazione delle famiglie, a Bergamo in particolare, che negli anni ha perso molte posizioni su quantità e qualità della composizione familiare, richiede invece una serie di misure strutturate e continue. La ‘strategia’ dei bonus è sbagliata: servono azioni di contrasto alla povertà decentrate sul



territorio, gestite direttamente dai comuni, che rappresentano lo spazio privilegiato dove concorrere a costruire politiche inclusive per persone e famiglie in difficoltà economica e sociale, secondo una logica di cooperazione”.
“La famiglia è cambiata, sono cambiati i suoi bisogni. È necessario che chi è deputato a amministrare il territorio ne conosca e capisca le nuove necessità – sostiene Gabriella Tancredi, segretaria territoriale della CISL di Bergamo -, intervenendo per creare servizi e opportunità più utili alle nuove esigenze. Per questo diventa importante che istituzioni e forze sociali diano vita a un tavolo territoriale per la famiglia, nel quale si investano idee e risorse per dar vita a reti e progetti capaci di soddisfare i “nuovi bergamaschi”.
Qualche numero per dare la consistenza ai fenomeni che in dieci anni hanno ridisegnato la geografica sociale della nostra provincia. L’analisi compiuta dalla CISL sottolinea come la natalità sia crollata dagli 11956 bebè del 2010 ai 9419 registrati nello scorso ann0



solare. Di contro, l’incidenza “straniera” nei nuovi nati è cresciuta dal 9,47 del 2003 al 23.05 di oggi. In questo stesso lasso di tempo, l’incidenza di dipendenza strutturale (il rapporto tra la popolazione attiva – 15/64 anni – e la non attiva) è passato dal 44.2 del 2002 al 54 del 2016; il rapporto tra la popolazione anziana e quella attiva dal 23% al 30.7; l’indice di vecchiaia dal 108 al 132 (ci sono 3 anziani per ogni bambino) e l’età media della provincia è cresciuta dal 40.7 al 43.3.
Il numero medio di componenti delle famiglie è di 2,40. Nel 1971 era di 3,41. Le famiglie composte da una sola persona sono quasi il 30% del totale (5,30% in più in 10 anni). I nuclei monogenitoriali “gestiti” dal padre sono il 2,40% del totale. Quelli con la sola madre l’11,34%.
“È scontato che una nuova politica familiare debba tener conto di tempi e modi cambiati per il lavoro, per la cura, per il commercio, per la scuola, per tutta la rete dei servizi alla persona – insiste Tancredi. Una struttura rimasta praticamente inalterata da qualche decennio non può



facilitare l’esistenza e la crescita di una popolazione che possa poi competere anche economicamente con altre realtà che questi dati hanno saputo elaborarli prima. L’unione Europea ha licenziato nei giorni scorsi una risoluzione per introdurre nel mercato del lavoro maggiori opportunità di conciliazione vita – lavoro. È la risposta europea alla sfida demografica, che il Tavolo della Famiglia di Bergamo dovrebbe fare propria prendere di mira innanzitutto gli stereotipi di genere e creare le condizioni perché il lavoro di cura sia ripartito in maniera equa tra uomini e donne”.
L’avvicinarsi di scadenze “naturali” come la ridefinizione dei piani di zona e la ricomposizione del Consiglio di rappresentanza, secondo Corna, “impongono che si faccia una riflessione seria a livello territoriale su come gestire e impostare le politiche e i confini degli ambiti. Al sindacato compete di riprendere il ruolo contrattuale, e sottolineare le relazioni tra conciliazione e servizi assistenziali”.