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Cominciamo
col dare i numeri : al 19 settembre sono sbarcati 130.561 migranti (il
5,53% in più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente), i
minori stranieri non accompagnati sono ben 16.611 (in tutto il 2015 non
avevano superato i 12.360) e i migranti ospitati in strutture
temporanee e centri governativi sono schizzati a 158.479 (l'anno scorso
erano stati 103mila). A fare di più sono oggi Lombardia (20.843
migranti accolti), Sicilia (14.189), Lazio (12.874), Veneto (12.211),
Piemonte (12.350) e Campania (12.089).
Non dimentichiamo però che gli Italiani sono 60,6 milioni e quindi
siamo stati «invasi» dallo 0,002%. Anche raddoppiando il numero dei
clandestini, (tra quelli «contati» e quelli che ci sono senza
essere stati conteggiati) siamo a numeri del tutto insignificanti per
un paese della nostra grandezza.
Gli immigrati non sono poi così polli: sanno benissimo che da noi c'è
poco lavoro ed un welfare modesto e quindi il loro obiettivo sono i
paesi dove la situazione è migliore e dove già stanno amicizie e
parentele.
A me pare che non ci fosse bisogno dell'allarme del sindaco milanese
per sapere che (1) le migrazioni non sono episodi di qualche anno
ma sono fenomeni stabili di lunghissimo periodo (come le guerre e la
fame... guarda che novità!) e (2) che l'ovvia concentrazione in zone
geografiche ed economiche specifiche (facilmente individuabili
senza troppi studi di geografia...) sia una componente del fenomeno
migratorio.
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Non
occorre essere ne Sala ne Fassino ne Salvini per immaginare che le
regioni meridionali siano il primo approdo dall'Africa e dal Medio
Oriente e che Milano o Ventimiglia siano i punti di partenza verso
l'Europa.
Soprattutto non bisogna arrivare al 06 settembre 2016 per
elaborare l'ultimo piano (anti)immigrati di così modesta portata
come quello illustrato nell'articolo di Bolchi e le altrettanto modeste
proposte dell'ANCI.
Il primo aspetto che vi si coglie é «il fastidio» della politica quando
è costretta a confrontarsi con problemi concreti che non conosce
proprio perché li rifiuta «a prescindere».
Che è poi un atteggiamento che ritroviamo ogni volta che succede un
disastro: si chiami stravento, alluvione, terremoto, incidente
ferroviario. La politica s'incazza sempre quando qualcuno fa qualcosa
senza chiederle il permesso mettendola per di più in imbarazzo.
Riassumendo la situazione possiamo dire: (VEDERE RIQUADRO)
Appare comunque tragicamente evidente la mancanza di una politica
unitaria dell'Ue verso questo problema, che certifica l'idea di una Ue
fatta di modesti ragiunatt che badano ai conti – quelli dell'oggi
nemmeno quelli di lungo periodo…- piuttosto che all'insieme del nostro
“essere Europa”. Si può capire l'esistenza di un carattere nazionale ma
non si comprende l'ottusità dei politici europei nel non sentirsi parte
di una “grande nazione” che si chiama
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Europa
e che guardi agli USA come a Putin o alla Cina non come un pollaio di
galli e galletti che si beccano ma come una potenza culturale economica
militare.
Orribile pensare ai governanti europei che badano solo alle esigenze
immediate della propria industria salvo poi venire bacchettate dai
propri elettori. Una oscillazione che dimostra l'incapacità di
“prendere il mondo”, non solo di comprenderlo.
Poi resto convinto che davanti a fenomeni com'é questa grandezza (non
solo numerica, ma sociale culturale ideale) migratoria, occorra sia una
grande dose di razionalità ma anche una grande dose di coraggio nel
gettare il cuore oltre l'ostacolo.
Per questo leggendo le lettere del sindaco di Milano o le modeste
proposte dell'ANCI e del governo, ci si trova di fronte a degli ingenui
infastiditi e quindi poco attendibili. Che è poi –in altro settore- uno
dei motivi della crisi economica mondiale e della sua mancata soluzione
dopo dieci anni. Non riescono prevederla, non la vogliono nemmeno
troppo considerare, la vogliono men che meno affrontare.
Quasi che la crisi internazionale o le bibliche migrazioni fossero delitti di lesa maestà della politica.
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La lettera del sindaco Sala al PdC Renzi
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CARO direttore,
In tema di immigrazione è tempo di prendere atto che le condizioni
intorno a noi sono profondamente mutate. Non definiamola più emergenza,
oggi siamo nel pieno di una dolorosa, costante problematica da gestire.
Centinaia di migliaia di persone fuggono la guerra, la fame e la
persecuzione. L'Unione Europea dimostra tutta la fragilità della sua
politica, che sta rapidamente diventando impotenza.
Un'ulteriore stretta dei controlli alle frontiere e il rigetto di ogni
forma di accoglienza sono dietro l'angolo in un numero crescente di
Paesi. È quindi di tutta evidenza il clamoroso e
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doppio
fallimento europeo: non riesce a controllare i flussi in partenza
e non riesce a gestire qui le persone che arrivano.
L'Italia sta faticosamente facendo la sua parte. Questo va detto chiaro
e forte. Come cittadino ritengo che l'accoglienza non sia una scelta,
ma un dovere. Come sindaco di Milano sono convinto che la nostra città
viva nell'accoglienza uno dei tratti distintivi della sua identità.
Come uomo di sinistra penso che ogni singolo migrante vada richiamato
ai suoi doveri, ma nel frattempo gli tendo la mano.
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Proprio per questi motivi, sono
consapevole del fatto che il nostro Paese deve passare a una
consapevole gestione del fenomeno. L'Italia deve uscire dall'idea di
essere una piattaforma di prima accoglienza. E' certo che la questione
non può riguardare solo i non molti Comuni che se ne occupano, ma che
il governo, soprattutto un governo di sinistra, deve provvedere a una
nuova e efficace politica di integrazione.
Non è facile, ma è da sinistra che deve arrivare la spinta ad
affrontare la questione, attraverso una programmazione che coinvolga da
subito le amministrazioni regionali.
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Milano sta
facendo tutto il possibile. Negli ultimi tre anni abbiamo accolto oltre
100.000 profughi. Ma è necessario che il governo operi perché tutto
questo non continui a pesare come un macigno sulle spalle della città.
Abbiamo bisogno di una politica di integrazione seria, pianificata e
dotata dei mezzi finanziari adeguati.
Il governo deve valutare se dare vita ad un unico soggetto che si
occupi di immigrazione e accoglienza mettendo insieme i diversi
tasselli del mosaico: il sistema Sprar, il rapporto con i Comuni, la
circolazione di buone pratiche, l'uso di caserme e così via. A supporto
del lavoro del Ministero degli Interni.
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Bisogna poi
costruire un nuovo e reale sistema di integrazione. Si tratta di
proporre un nuovo patto a chi arriva: noi faremo tutto quello che serve
a darvi una mano, voi mostratevi disponibili da subito ad aiutarci dove
serve, mettendovi a disposizione di programmi per conoscere le nostre
leggi e la nostra lingua.
Noi milanesi abbiamo nel lavoro e nella comprensione reciproca
l'essenza più profonda del nostro stare insieme. Per questo a fine
settembre avvieremo una sperimentazione per inserire centinaia di
richiedenti asilo nelle attività di cura del territorio.
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Oggi
l'immigrazione non è un cerino da passare di mano in mano. È una
questione gigantesca che chiede un radicale cambio di passo a livello
nazionale. O daremo sostanza a questo cambio di passo o finiranno per
prevalere egoismi e paure, che porteranno altri milioni di voti ai
populisti di ogni genere. L'Europa si sta rivelando su questo fronte
più un ostacolo che un sostegno. Dobbiamo agire subito e bene, per fare
quello che la nostra coscienza di governanti ci chiede di fare.
L'autore è sindaco di Milano
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La bozza della nuova distribuzione dei migranti preparata dal Viminale - di Vladimiro Bolchi
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20/9/2016
il caso migranti
Il retroscena.
La bozza della nuova distribuzione preparata dal Viminale: “Alleggerire le metropoli e coinvolgere l'intero territorio”
Rifugiati nei piccoli paesi e incentivi a chi accoglie ecco il piano del governo
Vladimiro Polki
«Togliere ai grandi, per dare ai piccoli». Al Viminale il nuovo Piano
nazionale d'accoglienza lo sintetizzano così: «Alleggeriremo le
metropoli, come Roma e Milano, pretendendo che tutti, anche i paesi più
piccoli, facciano il loro». Le nuove quote promettono infatti di
rivoluzionare la distribuzione dei migranti. Nessuno sarà escluso. I
comuni verranno divisi in tre gruppi: quelli fino ai 2.000 abitanti,
con più di 2.000 abitanti e città
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metropolitane. Le quote?
Massimo 5 migranti per i primi, 2,5 ogni mille abitanti per i secondi,
“solo” 1,5 profughi ogni mille residenti per i comuni metropolitani.
Chi collaborerà verrà premiato con deroghe al blocco delle assunzioni e
50 centesimi giornalieri per ogni richiedente asilo ospitato.
Il nuovo piano è stato discusso il 6 settembre scorso al Viminale tra
il ministro dell'Interno, Angelino Alfano, il presidente dell'Anci,
Piero Fassino, il capo della Polizia, Franco Gabrielli e il capo del
Dipartimento libertà civili e immigrazione, Mario Morcone. Il documento
ancora non è stato “firmato” dai comuni italiani, ma la bozza già
circola al ministero e vuole essere una prima risposta a chi chiede
(come ha fatto il sindaco di Milano,
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Giuseppe Sala, ieri su
Repubblica) «un'equa distribuzione sul territorio dei profughi». Oggi
infatti la rete d'accoglienza italiana è al limite. I numeri sono tutti
da record: al 19 settembre sono sbarcati 130.561 migranti (il 5,53% in
più rispetto allo stesso periodo dell'anno precedente), i minori
stranieri non accompagnati sono ben 16.611 (in tutto il 2015 non
avevano superato i 12.360) e i migranti ospitati in strutture
temporanee e centri governativi sono schizzati a 158.479 (l'anno scorso
erano stati 103mila). A fare di più sono oggi Lombardia (20.843
migranti accolti), Sicilia (14.189), Lazio (12.874), Veneto (12.211),
Piemonte (12.350) e Campania (12.089). Ma ora tutti dovranno
rimboccarsi le maniche. Il nuovo piano prevede infatti un «sistema di
accoglienza
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dei richiedenti asilo e
rifugiati diffuso sull'intero territorio nazionale, che garantisca una
ripartizione equilibrata». Tutti saranno coinvolti. Anche i piccoli
centri. «Oggi in Italia su 8.200 comuni – spiega Christopher Hein,
consigliere strategico del Cir (Consiglio italiano rifugiati) – solo
poco più di 500 partecipano al piano per l'accoglienza». Cosa cambierà?
Le future quote prevedono 2,5 migranti ogni mille abitanti,
differenziando i comuni in tre gruppi: fino a 2.000 abitanti, con più
di 2.000 e città metropolitane. Nel primo caso il massimo di profughi
assegnati sarà di 5. Non è l'unica novità. Per alleggerire il peso
sulle grandi città, già in prima linea nell'accoglienza, si prevede uno
“sconto” per i 15 comuni metropolitani: la loro quota scende
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infatti a 1,5 rifugiati ogni mille abitanti. Certo, ogni città volendo potrà fare di più, ma solo su base volontaria.
Il nuovo piano prevede anche una serie di incentivi. I comuni potranno
aderire volontariamente allo Sprar (il Sistema di protezione per
richiedenti asilo, gestito da Viminale e Anci), altrimenti
continueranno a subire i trasferimenti gestiti direttamente dai
prefetti. Non solo. Nella prossima legge di bilancio si cercherà di
prevedere per i comuni che aderiranno allo Sprar una deroga al patto di
stabilità interno, per procedere così a nuove assunzioni necessarie a
gestire l'accoglienza. E ancora: ogni comune incasserà 50 centesimi al
giorno a migrante a fondo perduto, soldi che saranno tolti dai 2,5 euro
che ogni richiedente asilo riceve per le proprie spese
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personali. «Quello che è
essenziale alla riuscita del nuovo piano – spiegano al Viminale – è
l'accordo con il maggior numero possibile di enti locali. Altrimenti
tutto rischia di saltare».
Altra partita in corso nel governo è l'istituzione di una cabina di
regia presso la presidenza del Consiglio, che coordini i vari
interventi in materia d'accoglienza, rimpatri e accordi coi Paesi
d'origine dei migranti. Insomma, un pool che metta assieme i tanti
ministeri competenti. I primi incontri già ci sono stati. Ma, avvertono
dal Viminale, quest'ultima “rivoluzione” «non è ancora formalizzata».
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Le proposte dell'ANCI
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Una esigenza che l'Anci
propone da tempo e ancora da ultimo abbiamo sollecitato nell'incontro
dello scorso 14 settembre con il Ministro Alfano, indicando principali
punti.
1. Effettiva realizzazione dei Centri regionali di prima accoglienza,
quale stazione intermedia tra il momento dello sbarco e la
distribuzione dei profughi nei Comuni. Ad oggi i Centri sono pochi e
saturi di persone e sempre più spesso i profughi passano direttamente
dallo sbarco ai Comuni.
2. Passare ad un sistema “diffuso” di accoglienza, superando l'attuale
concentrazione in un numero limitato di Comuni (circa 1.000), fonte di
addensamento che suscita crescente inquietudine nell'opinione pubblica
e enormi difficoltà nei Comuni. Ma un sistema “diffu
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so” che faccia leva sugli
8.000 Comuni italiani richiede come condizione imprescindibile che si
adotti il criterio della “proporzionalità” tra numero di profughi
inviati e popolazione del Comune ospitante. Molte delle resistenze
delle amministrazioni locali ad accogliere derivano non da
insensibilità, ma dal timore di vedersi destinatari di un numero non
gestibile di profughi.
3. È necessario che l'accoglienza faccia capo ai Comuni attraverso il
sistema Sprar, superando gradualmente il parallelo canale prefettizio
di distribuzione attivato dal Ministero degli Interni, fonte di
sovrapposizioni e troppo spesso gestito senza alcun coinvolgimento dei
Sindaci.
4. La possibilità per i Comuni di utilizzare i profughi in attività
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socialmente utili, quale
forma di “restituzione” alla comunità che li accoglie. Il che richiede
strumenti normativi elastici e flessibili, attualmente insufficienti.
5. L'esclusione dai vincoli di bilancio delle spese sostenute dai
Comuni per le politiche di accoglienza e la predisposizione di forme di
premialità per i Comuni che aderiscono al sistema di accoglienza Sprar.
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