NUMERO 235 - PAGINA 1 - CRESCITA E OCCUPAZIONE IL CAVALLO NON BEVE

































































Inizio col precisare che non è mia intenzione dare la colpa della stasi e recessione decennale dell'Italia al surplus della Germania, aggiungendo subito che "anche" questo contribuisce alla crisi ed alla stasi dell'economia di tutti i paesi dell'UE da  almeno 8-10 anni in qua.
Osservando con attenzione alla tabella in basso a destra (previo adeguato ingrandimento 1:1) e mettendo in ordine di grandezza decrescente quali sono i settori che  (p.e. nel 2015) hanno costituito la forza traente delle esportazioni tedesche troviamo: auto: 9,6 miliardi di €, chimica 7,7; macchinari 7,5;  alimentari 4,2; alta elettronica 3,7; metallurgia 3,5; elettrotecnica domestica 3,5; farmaceutica 2,3 e gomma 2,1; e poi ci sono altri 3 categorie oltre il miliardo di euro.

Tornando  in casa allora ci si rende conto che abbiamo un grosso handicap industriale proprio nei settori dove é possibile immettere maggiore innovazione. E questo a mio parere deriva  sia dalla mancata programmazione industriale da parte dei governi che si sono succeduti ma anche da un deficit di cultura industriale degli stessi industriali che si accompagna -a cascata- anche ad una bassa qualificazione degli addetti.
Potremmo dire senza offendere Marchionne e gli Agnelli che proprio la scomparsa dell'Italia dal mercato europeo e internazionale nel settore dell'auto danno il segno del nostro essere "italietta".
la politica industriale dei governi italiani è stata quella di tappare volta per volta le varie crisi produttive in quanto foriere di problemi sociali ma  senza tener conto che PRIMA bisognava decidere quali settori dovevano essere i gioielli nazionali e quindi indirizzare regole investimenti protezione (perchè no!?) piuttosto che, vedi l'alluminio in Sardegna o il crimine dell'acciaio a Taranto, immaginare l'impossibile e poi finire sul lastrico.
Tutti.

Scrive Giavazzi."La flessione degli investimenti delle imprese, iniziata otto anni fa, non si è ancora invertita: nel 2015 gli investimenti in macchine e attrezzature erano ancora 3,5 punti di Pil (circa 54 miliardi di euro) inferiori al livello raggiunto prima della crisi. Nel frattempo in Francia e in Germania erano tornati ai livelli pre-crisi. Sul totale degli investimenti delle nostre imprese le spese per «prodotti dell'attività intellettuale» (cioè innovazione) sono il 16 per cento del totale, contro il 24 per cento in Francia. Fatto 100 il livello dei fondi investiti in innovazione nel 2007, nei principali Paesi dell'euro il livello oggi è 120, in Italia è fermo a 100. Senza investimenti, e in particolare senza investimenti in innovazione, è difficile che la produttività delle imprese aumenti, e senza guadagni di produttività non ci può essere crescita duratura".

Del resto gli italiani si sono fatti in questo modo 2330 miliardi di debito pubblico ed hanno destinato gli 80 euro ricevuto dalla santa Lucia toscana per pagare le bollette luce gas casa: cioè sono tornate in buona parte nelle casse dei comuni o dei privati che l'intelligente privatizzazione del prode Bersani ha consegnato a migliaia di redditieri pubblici e privati.
Il jobs act (forse) è servito a qualche impresa di lavoricchiare un poco senza preoccuparsi di innovare ma al dunque le nostre imprese non hanno prodotti in grado di fare concorrenza a quelli tedeschi ed allora la coppia Merkel-Schauble ci martella col suo surplus e stringendoci la cinghia. Forse é servito a qualche impresa anche per liberarsi di qualche dipendente non troppo ligio ai propri doveri.

Scrive Fubini. "Questi dati permettono di stimare ragionevolmente che in un anno come il 2015 siano usciti dall'Italia circa 100 mila laureati, ne siano entrati circa 27 mila (su 273 mila nuovi arrivati nel Paese) e altri 65 mila siano morti. Con queste forze in azione, i 212 mila nuovi diplomi dell'ultimo anno — stima Alma Laurea — basterebbero a far salire la quota di laureati sulla popolazione italiana di appena lo 0,12%. C'è però un problema: i 50 mila iscritti in meno all'università in questi anni produrranno presto una flessione nel flusso dei nuovi diplomi e questa può portare il tasso di crescita dei laureati allo zero-virgola-zero-qualcosa. Nel frattempo le tecnologie nei sistemi produttivi globali si fanno sempre più sofisticate, i concorrenti dell'Italia sempre più decisi a dominarle. Per un giovane, la scelta di smettere di studiare può apparire razionale: il salario medio d'ingresso di un laureato triennale è crollato da 1.300 euro del 2007 a 1.004 euro del 2012, se e quando trova lavoro. Ivano Dionigi, presidente di Alma Laurea, sottolinea quanto sia paradossale che un bene scarso come la conoscenza in Italia venga remunerato tanto poco. Di certo, sulla scala di un Paese sta diventando un atto di masochismo collettivo: in Italia solo le imprese più aperte al contributo dei laureati — come dimostra un nuovo studio di Fadi Hassan del Trinity College e altri — stanno tenendo il ritmo della competizione con il resto del mondo. Le altre molto meno".

Il fatto é che la Germania ha il prodotto capace di innovazione e concorrenza in qualsiasi settore mentre i nostri industriali fanno continuamente i piagnoni su tutto tranne che sul loro dovere di  creare "il futuro". Probabilmente non lo sanno nemmeno.
Ed assieme a loro non c'é una politica del governo che privilegi come detto alcuni settore-gioiello e li concentri scuola ricerca investimenti aggregazioni lasciando il resto non dico al proprio destino ma al classico laissez faire italiota.
Perchè poi alla fine, nel mondo non c'é più bisogno di tanto dal momento che gran parte dei paesi emergenti sanno arrangiarsi per quel che occorre e quel che manca,  ci sono già  nazioni come la Germania che ha il "prodotto giusto".
Quindi o l'Italia diventa anch'essa leader in qualche settore e con cifre oltre i 5 miliardi di euro di export altrimenti hai voglia di sperare nel jobsact.









I RAPPORTI DI LAVORO NEL 2° TRIMESTRE 2016
Nel II trimestre del 2016 si registra un calo del numero di attivazioni rispetto allo stesso periodo del 2015 pari a -12,1%.
Gli avviamenti a Tempo Indeterminato rappresentano il 16% del totale avviamenti del trimestre, attestandosi sul valore medio registrato nel II trimestre degli anni precedenti al 2015.
La dinamica degli avviamenti per tipologia di contratto evidenzia una riduzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (-29,4%) e dei contratti di Collaborazione (-25,4%), scendono anche gli avviamenti a tempo determinato (-8,7%) in misura maggiore per la componente femminile (-15,2%) meno per quella maschile (-2,4%).
Da sottolineare l'aumento del +26,2% dei contratti di Apprendistato, segno dei recenti interventi volti a rafforzare tale strumento di ingresso nel mercato del lavoro (in particolare Garanzia Giovani).
La riduzione di nuove attivazioni si accompagna però con una stabilizzazione dei contratti in corso. Infatti, nel secondo trimestre 2016, si registrano 84.334 trasformazioni: 62.705 da Tempo Determinato a Tempo Indeterminato e 21.629 da Apprendistato a Tempo Indeterminato.
Per i 2.454.757 contratti avviati nel trimestre in esame si contano 1.848.138 lavoratori, il 55,5% dei quali sono uomini.
Rispetto al secondo trimestre del 2015 il numero dei nuovi contrattualizzati si riduce in misura pari a -8,9%, un decremento inferiore a quello registrato per i rapporti di lavoro.
Scende anche il numero medio di contratti pro-capite: 1,38 nel secondo trimestre 2015 e 1,33 nel secondo 2016.
Parallelamente, le stabilizzazioni hanno interessato 83.966 lavoratori.
Nel trimestre analizzato si sono registrate 2.197.862 cessazioni di rapporti di lavoro, 1.094.788 hanno interessato uomini e 1.103.074 hanno riguardato donne.
Rispetto allo stesso periodo del 2015 le conclusioni contrattuali si sono ridotte di circa 312 mila unità, pari al 12,4%. La riduzione ha interessato in misura maggiore le donne per le quali il decremento in volume è stato pari a -197.315 unità (-15,2%), le cessazioni maschili scendono di quasi 115 mila unità (-9,5%). In termini di durata contrattuale diminuiscono le cessazioni dei contratti di breve durata (fino a un mese) mentre per quanto attiene i motivi di risoluzione, si riducono di quasi il 24% le Dimissioni e aumentano del 7,4% i Licenziamenti. Sono 1.573.743 i lavoratori interessati da cessazioni nel periodo considerato. Si evidenzia come tra i cessati uomini, la quota maggiore (il 26,7%) ha una età compresa tra i 25 ed i 34 anni; per le donne invece la percentuale più elevata tra le cessate ha tra i 35 e i 44 anni.

ATTIVAZIONI
 2.454.757 sono le attivazioni registrate nel II Trimestre 2016
Rispetto al II Trimestre 2015 il volume di contratti avviati si riduce del 12,1% .







Invece sono 1.848.138  i lavoratori interessati dalle nuove assunzioni nel trimestre di riferimento, l'8,9% in meno rispetto al II Trimestre dell'anno precedente
I contratti avviati a Tempo Indeterminato si riducono di circa 163 mila unità ovvero il 29,4% in meno rispetto allo stesso trimestre del 2015; continuano a scendere le attivazioni di contratti di Collaborazione (-25,4%) e aumentano del 26,2% gli avviamenti in Apprendistato.









GERMANIA. SURPLUS ED EXPORT DA RECORD – Il surplus record della bilancia commerciale della Germania è cosa nota, a fine 2015 era salito a 275 miliardi di euro, per poi toccare un nuovo primato recentemente. Iniziamo dal surplus commerciale, già argomento di discussione nei mesi scorsi visto che la Germania è velatamente accusata di giovarsene a scapito dei paesi vicini. L’IFO, uno dei più prestigiosi centri di studi economici della Germania, ha pubblicato le sue previsioni sul conto delle partite correnti: risulta che nel 2016, grazie alle esportazioni, il Paese raggiungerà un surplus record attorno ai 310 miliardi di dollari, nettamente avanti rispetto all’altro campione di export e di surplus, la Cina.

L’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania è in attivo strutturale da anni, violando la regola europea sugli squilibri macroeconomici eccessivi, secondo cui non si deve avere un attivo superiore al 6% per più di tre anni di fila. Il divieto vale anche per il disavanzo, che non deve essere negativo oltre il 4%.

Nella prima metà dell’anno, le esportazioni tedesche sono state superiori alle importazioni per 159 miliardi di dollari. Riportato ai 12 mesi del 2016, la previsione è che si arriverà a 310 miliardi di dollari, l’8,9% del Pil tedesco. Una quota enorme, che eccede per l’ennesima volta il limite massimo del 6% raccomandato dalla Commissione Ue. L’eccesso, infatti, è considerato negativo: se da un lato è il risultato della forza competitiva dell’industria, dall’altro lo sforamento crea sbilanci considerevoli internamente all’Unione. Tuttavia, fino ad ora, non è mai stata aperta alcuna procedura d’infrazione.

La Germania non ha in programma di ridurre il proprio surplus commerciale, dal momento che la Banca centrale europea non ha modificato la propria politica monetaria, che comprime la forza dell'euro e spinge le esportazioni tedesche.

Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble, respingendo il suggerimento del presidente della Bce Mario Draghi, che ha invitato Berlino ad utilizzare i margini di manovra presenti nel bilancio federale per ridurre il proprio surplus commerciale.
































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































I contratti trasformati a TempoIndeterminato sono 84.334, di cui 62.705 da Tempo Determinato e 21.629 da Apprendistato
CESSAZIONI
2.197.862 sono le cessazioni registrate nel II Trimestre 2016
 Rispetto allo stesso periodo del 2015 il volume di contratti cessati si riduce del 12,4%
 Sono 1.573.743 i lavoratori coinvolti da cessazioni nel trimestre esaminato, in diminuzione dell'8,7% rispetto al II Trimestre dell'anno precedente
 Si riducono le cessazioni per Dimissioni (-23,9%) e aumentano i Licenziamenti (+7,4%); le scadenze contrattuali a termine naturale del contratto calano del 13,1% e le conclusioni contrattuali per cessata attività scendono del 10,3%

Nel secondo trimestre 2016, ai 2.454.757 rapporti di lavoro attivati corrispondono 1.848.138 lavoratori. La maggior parte di questi ha un'età compresa tra 25 e 34 anni, 518.272 individui (il 28%); 444.845 sono quelli d'età compresa tra i 35 e i 44 anni (il 24,1%). Rispetto al secondo trimestre 2015, a fronte della riduzione del 12,1% dei contratti attivati, il numero dei lavoratori interessati diminuisce in misura inferiore, pari a -8,9%.





























































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































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