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Inizio
col precisare che non è mia intenzione dare la colpa della stasi e
recessione decennale dell'Italia al surplus della Germania, aggiungendo
subito che "anche" questo contribuisce alla crisi ed alla stasi
dell'economia di tutti i paesi dell'UE da almeno 8-10 anni in qua.
Osservando con attenzione alla tabella in basso a destra (previo
adeguato ingrandimento 1:1) e mettendo in ordine di grandezza
decrescente quali sono i settori che (p.e. nel 2015) hanno
costituito la forza traente delle esportazioni tedesche troviamo: auto:
9,6 miliardi di €, chimica 7,7; macchinari 7,5; alimentari 4,2;
alta elettronica 3,7; metallurgia 3,5; elettrotecnica domestica 3,5;
farmaceutica 2,3 e gomma 2,1; e poi ci sono altri 3 categorie oltre il
miliardo di euro.
Tornando in casa allora ci si rende conto che abbiamo un grosso
handicap industriale proprio nei settori dove é possibile immettere
maggiore innovazione. E questo a mio parere deriva sia dalla
mancata programmazione industriale da parte dei governi che si sono
succeduti ma anche da un deficit di cultura industriale degli stessi
industriali che si accompagna -a cascata- anche ad una bassa
qualificazione degli addetti.
Potremmo dire senza offendere Marchionne e gli Agnelli che proprio la
scomparsa dell'Italia dal mercato europeo e internazionale nel settore
dell'auto danno il segno del nostro essere "italietta".
la politica industriale dei governi italiani è stata quella di tappare
volta per volta le varie crisi produttive in quanto foriere di problemi
sociali ma senza tener conto che PRIMA bisognava decidere quali
settori dovevano essere i gioielli nazionali e quindi indirizzare
regole investimenti protezione (perchè no!?) piuttosto che, vedi
l'alluminio in Sardegna o il crimine dell'acciaio a Taranto, immaginare
l'impossibile e poi finire sul lastrico.
Tutti.
Scrive Giavazzi."La flessione degli investimenti delle imprese,
iniziata otto anni fa, non si è ancora invertita: nel 2015 gli
investimenti in macchine e attrezzature erano ancora 3,5 punti di Pil
(circa 54 miliardi di euro) inferiori al livello raggiunto prima della
crisi. Nel frattempo in Francia e in Germania erano tornati ai livelli
pre-crisi. Sul totale degli investimenti delle nostre imprese le spese
per «prodotti dell'attività intellettuale» (cioè innovazione) sono il
16 per cento del totale, contro il 24 per cento in Francia. Fatto 100
il livello dei fondi investiti in innovazione nel 2007, nei principali
Paesi dell'euro il livello oggi è 120, in Italia è fermo a 100. Senza
investimenti, e in particolare senza investimenti in innovazione, è
difficile che la produttività delle imprese aumenti, e senza guadagni
di produttività non ci può essere crescita duratura".
Del resto gli italiani si sono fatti in questo modo 2330 miliardi di
debito pubblico ed hanno destinato gli 80 euro ricevuto dalla santa
Lucia toscana per pagare le bollette luce gas casa: cioè sono tornate
in buona parte nelle casse dei comuni o dei privati che l'intelligente
privatizzazione del prode Bersani ha consegnato a migliaia di
redditieri pubblici e privati.
Il jobs act (forse) è servito a qualche impresa di lavoricchiare un
poco senza preoccuparsi di innovare ma al dunque le nostre imprese non
hanno prodotti in grado di fare concorrenza a quelli tedeschi ed allora
la coppia Merkel-Schauble ci martella col suo surplus e stringendoci la
cinghia. Forse é servito a qualche impresa anche per liberarsi di
qualche dipendente non troppo ligio ai propri doveri.
Scrive Fubini. "Questi dati permettono di stimare ragionevolmente che
in un anno come il 2015 siano usciti dall'Italia circa 100 mila
laureati, ne siano entrati circa 27 mila (su 273 mila nuovi arrivati
nel Paese) e altri 65 mila siano morti. Con queste forze in azione, i
212 mila nuovi diplomi dell'ultimo anno — stima Alma Laurea —
basterebbero a far salire la quota di laureati sulla popolazione
italiana di appena lo 0,12%. C'è però un problema: i 50 mila iscritti
in meno all'università in questi anni produrranno presto una flessione
nel flusso dei nuovi diplomi e questa può portare il tasso di crescita
dei laureati allo zero-virgola-zero-qualcosa. Nel frattempo le
tecnologie nei sistemi produttivi globali si fanno sempre più
sofisticate, i concorrenti dell'Italia sempre più decisi a dominarle.
Per un giovane, la scelta di smettere di studiare può apparire
razionale: il salario medio d'ingresso di un laureato triennale è
crollato da 1.300 euro del 2007 a 1.004 euro del 2012, se e quando
trova lavoro. Ivano Dionigi, presidente di Alma Laurea, sottolinea
quanto sia paradossale che un bene scarso come la conoscenza in Italia
venga remunerato tanto poco. Di certo, sulla scala di un Paese sta
diventando un atto di masochismo collettivo: in Italia solo le imprese
più aperte al contributo dei laureati — come dimostra un nuovo studio
di Fadi Hassan del Trinity College e altri — stanno tenendo il ritmo
della competizione con il resto del mondo. Le altre molto meno".
Il fatto é che la Germania ha il prodotto capace di innovazione e
concorrenza in qualsiasi settore mentre i nostri industriali fanno
continuamente i piagnoni su tutto tranne che sul loro dovere di
creare "il futuro". Probabilmente non lo sanno nemmeno.
Ed assieme a loro non c'é una politica del governo che privilegi come
detto alcuni settore-gioiello e li concentri scuola ricerca
investimenti aggregazioni lasciando il resto non dico al proprio
destino ma al classico laissez faire italiota.
Perchè poi alla fine, nel mondo non c'é più bisogno di tanto dal
momento che gran parte dei paesi emergenti sanno arrangiarsi per quel
che occorre e quel che manca, ci sono già nazioni come la
Germania che ha il "prodotto giusto".
Quindi o l'Italia diventa anch'essa leader in qualche settore e con
cifre oltre i 5 miliardi di euro di export altrimenti hai voglia di
sperare nel jobsact.
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I RAPPORTI DI LAVORO NEL 2° TRIMESTRE 2016
Nel II trimestre del 2016 si registra un calo del numero di attivazioni rispetto allo stesso periodo del 2015 pari a -12,1%.
Gli avviamenti a Tempo Indeterminato rappresentano il 16% del totale
avviamenti del trimestre, attestandosi sul valore medio registrato nel
II trimestre degli anni precedenti al 2015.
La dinamica degli avviamenti per tipologia di contratto evidenzia una
riduzione dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato (-29,4%) e dei
contratti di Collaborazione (-25,4%), scendono anche gli avviamenti a
tempo determinato (-8,7%) in misura maggiore per la componente
femminile (-15,2%) meno per quella maschile (-2,4%).
Da sottolineare l'aumento del +26,2% dei contratti di Apprendistato,
segno dei recenti interventi volti a rafforzare tale strumento di
ingresso nel mercato del lavoro (in particolare Garanzia Giovani).
La riduzione di nuove attivazioni si accompagna però con una
stabilizzazione dei contratti in corso. Infatti, nel secondo trimestre
2016, si registrano 84.334 trasformazioni: 62.705 da Tempo Determinato
a Tempo Indeterminato e 21.629 da Apprendistato a Tempo Indeterminato.
Per i 2.454.757 contratti avviati nel trimestre in esame si contano 1.848.138 lavoratori, il 55,5% dei quali sono uomini.
Rispetto al secondo trimestre del 2015 il numero dei nuovi
contrattualizzati si riduce in misura pari a -8,9%, un decremento
inferiore a quello registrato per i rapporti di lavoro.
Scende anche il numero medio di contratti pro-capite: 1,38 nel secondo trimestre 2015 e 1,33 nel secondo 2016.
Parallelamente, le stabilizzazioni hanno interessato 83.966 lavoratori.
Nel trimestre analizzato si sono registrate 2.197.862 cessazioni di
rapporti di lavoro, 1.094.788 hanno interessato uomini e 1.103.074
hanno riguardato donne.
Rispetto allo stesso periodo del 2015 le conclusioni contrattuali si
sono ridotte di circa 312 mila unità, pari al 12,4%. La riduzione ha
interessato in misura maggiore le donne per le quali il decremento in
volume è stato pari a -197.315 unità (-15,2%), le cessazioni maschili
scendono di quasi 115 mila unità (-9,5%). In termini di durata
contrattuale diminuiscono le cessazioni dei contratti di breve durata
(fino a un mese) mentre per quanto attiene i motivi di risoluzione, si
riducono di quasi il 24% le Dimissioni e aumentano del 7,4% i
Licenziamenti. Sono 1.573.743 i lavoratori interessati da cessazioni
nel periodo considerato. Si evidenzia come tra i cessati uomini, la
quota maggiore (il 26,7%) ha una età compresa tra i 25 ed i 34 anni;
per le donne invece la percentuale più elevata tra le cessate ha tra i
35 e i 44 anni.
ATTIVAZIONI
2.454.757 sono le attivazioni registrate nel II Trimestre 2016
Rispetto al II Trimestre 2015 il volume di contratti avviati si riduce del 12,1% .
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Invece
sono 1.848.138 i lavoratori interessati dalle nuove assunzioni
nel trimestre di riferimento, l'8,9% in meno rispetto al II Trimestre
dell'anno precedente
I contratti avviati a Tempo Indeterminato si riducono di circa 163 mila
unità ovvero il 29,4% in meno rispetto allo stesso trimestre del 2015;
continuano a scendere le attivazioni di contratti
di Collaborazione (-25,4%) e aumentano del 26,2% gli avviamenti in
Apprendistato. |
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GERMANIA. SURPLUS ED EXPORT DA RECORD – Il surplus record della
bilancia commerciale della Germania è cosa nota, a fine 2015 era salito
a 275 miliardi di euro, per poi toccare un nuovo primato recentemente.
Iniziamo dal surplus commerciale, già argomento di discussione nei mesi
scorsi visto che la Germania è velatamente accusata di giovarsene a
scapito dei paesi vicini. L’IFO, uno dei più prestigiosi centri di
studi economici della Germania, ha pubblicato le sue previsioni sul
conto delle partite correnti: risulta che nel 2016, grazie alle
esportazioni, il Paese raggiungerà un surplus record attorno ai 310
miliardi di dollari, nettamente avanti rispetto all’altro campione di
export e di surplus, la Cina.
L’attivo della bilancia dei pagamenti della Germania è in attivo
strutturale da anni, violando la regola europea sugli squilibri
macroeconomici eccessivi, secondo cui non si deve avere un attivo
superiore al 6% per più di tre anni di fila. Il divieto vale anche per
il disavanzo, che non deve essere negativo oltre il 4%.
Nella prima metà dell’anno, le esportazioni tedesche sono state
superiori alle importazioni per 159 miliardi di dollari. Riportato ai
12 mesi del 2016, la previsione è che si arriverà a 310 miliardi di
dollari, l’8,9% del Pil tedesco. Una quota enorme, che eccede per
l’ennesima volta il limite massimo del 6% raccomandato dalla
Commissione Ue. L’eccesso, infatti, è considerato negativo: se da un
lato è il risultato della forza competitiva dell’industria, dall’altro
lo sforamento crea sbilanci considerevoli internamente all’Unione.
Tuttavia, fino ad ora, non è mai stata aperta alcuna procedura
d’infrazione.
La Germania non ha in programma di ridurre il proprio surplus
commerciale, dal momento che la Banca centrale europea non ha
modificato la propria politica monetaria, che comprime la forza
dell'euro e spinge le esportazioni tedesche.
Lo ha detto il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble,
respingendo il suggerimento del presidente della Bce Mario Draghi, che
ha invitato Berlino ad utilizzare i margini di manovra presenti nel
bilancio federale per ridurre il proprio surplus commerciale.
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