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NUMERO 229 - PAGINA 3 -LA SITUAZIONE IN SIRIA
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Mercoledì
gli Stati Uniti hanno imposto una limitazione territoriale ai curdi
siriani che pure sostengono nella lotta allo Stato islamico: non andate
a ovest dell’Eufrate altrimenti perderete il nostro appoggio. Al di là
del fiume mesopotamico l’esercito turco e qualche centinaio di ribelli
del Free Syrian Army, gli anti-assadisti che godono della
considerazione di “moderati”, avevano lanciato l’offensiva lampo con
cui hanno liberato la città di Jarablus dallo Stato islamico; ci sarà
comunque da aspettare le evoluzioni di questa ritirata dell’IS dalla
zona. Jarablus era uno degli ultimi baluardi di un territorio su cui il
Califfato aveva attecchito diverso tempo fa, e che man mano è stato
tolto dall’occupazione militare dei baghdadisti proprio per mano delle
milizie curde YPG.
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LA MISSIONE DI ANKARA
Ufficialmente la Turchia ha dichiarato di voler “spazzare via”
(citazione del ministro degli Esteri Mevlut Cavusoglu) la presenza
dello Stato islamico addossata ai propri confini, ma non c’è da cercare
ricostruzioni ufficiose per quello che è successo negli ultimi giorni,
bastano le dichiarazioni di Recep Tayyp Erdogan, per comprendere che
tra gli obiettivi rientrano anche i curdi: “Alle 4 del mattino il
nostro esercito ha avviato un’operazione contro le organizzazioni
terroristiche Daesh (Isis, ndr) e Pyd in Siria”, ha dichiarato
mercoledì il presidente turco all’agenzia di stampa statale Anadolu. Il
progetto federativo curdo-siriano è fortemente odiato da Ankara, che
considera le Ypg un gruppo terroristico per via dell’alleanza con il
Pkk (il partito combattente curdo turco), e soprattutto teme che
eventuali concessioni |
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SONO BIDEN, VENGO IN PACE
Mercoledì, mentre i turchi combattevano (poco) a Jarablus, ottenevano
la copertura americana, sia militarmente, con gli aerei della
Coalizione che osservavano pronti ad entrare in azioni e fornivano dati
di intelligence, sia diplomaticamente. Ad Ankara era arrivato il vice
presidente americano Joe Biden, nella prima visita di un politico
occidentale dopo il fallito golpe del 15 luglio (che ha scatenato
l’antioccidentalismo in Turchia, per via delle accuse ad americani ed
europei rivolte dal partito di governo sulle responsabilità del colpo
di stato e per lo pseudo disinteressamento con cui le cancellerie
occidentali hanno trattato la vicenda). |
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L’operazione non terminerà finché i gruppi terroristici che rappresentano problemi
di sicurezza nazionale per la Turchia non saranno tutti di là del
fiume. Ankara non ha mai apprezzato l’alleanza pragmatica con cui
Washington ha utilizzato i miliziani curdi come fanteria contro lo
Stato islamico, e alla fine ha ottenuto un cambio momentaneo di
strategia; prima aveva spinto una retorica più o meno diretta
ricordando agli Usa che si stavano scambiando aiuto reciproco con un
gruppo terroristico (“e dunque…”); “Un’organizzazione terroristica che
combatte un’altra organizzazione terroristica non diventa per questo
innocente” ha detto Erdogan dopo il vertice con Biden.
Appena due settimane fa gli Americani avevano festeggiato
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bombardano
(una posizione analoga è quella dell'Iran, il grande protettore di
Assad: Teheran è alle prese con richieste simili a quelle che riceve la
Turchia e la Siria,avanzate dai curdi iraniani) Sullo sfondo, le
inclinazioni turche verso la Russia, conseguenza di una pacificazione
chiusa con la riapertura degli interessi economici (primo fra tutte le
traiettorie dei gasdotti russi, che prenderanno la via turca evitando
le rotte ucraine). Una possibile nuova fase delle relazioni
internazionali di Ankara che ha spaventato Washington e la Nato (la
Turchia è un membro importante, il secondo esercito dell’Alleanza e il
custode di diverse dozzine di bombe atomiche, oltre che una testa di
ponte strategicanella caldissima area mediorientale). E allora dall’America è arrivato
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Sulla sponda sud del Mediterraneo non si muoverà nulla prima delle
elezioni USA. probabilmente ci saranno degli stand by anche per
la Brexit e le elezioni in Germania. Anche se la Germania conta poco in
questa storia tragica e criminale.
Tutti stanno aspettando l'elezione del nuovo presidente USA -che si da
per certo sia la Clinton- per capire se il neo-isolazionismo USA di
Obama continuerà, si accentuerà oppure verrà definitivamente meno. Un
neo isolamento USA, che però non ha impedito pesanti interventi sia di
uomini che di mezzi. Droni e guerra elettronica hanno alleggerito il
ruolo degli scarponi per terra e per l'Occidente è assolutamente
necessario tenere le mani in pasta senza portare a casa feretri
di soldati propri uccisi sul terreno. Poi la questione del terrorismo
interno si può gestire al meglio.
E' un momento di grande debolezza economica e quindi politica
dell'Occidente e dell'Europa in particolare che poi si riflette anche
sui paesi produttori di petrolio e gas del nord Africa e Medio Oriente
mentre l'Iran sta tornando ad un ruolo importante nella regione, la
Turchia ha preso un abbrivio di cui probabilmente non è nemmeno troppo
consapevole quel criminale di Erdogan. L'Egitto ha in mano la carta del
giacimento Zhor il cui piano di sviluppo prevede l'avvio della
produzione entro la fine del 2017, appena due anni dopo la scoperta,
con una rampa progressiva fino a raggiungere un volume di circa 75
milioni di metri cubi di gas al giorno (pari a circa 500.000 barili di
petrolio equivalente al giorno) entro il 2019”. Al progetto estrattivo
collaboreranno Petrojet, Enppi e Saipem, e avrà un valore di circa 5
miliardi di euro.
Nel frattempo però anche la Russia gioca le sue carte in Medio Oriente
e se le sta giocando assai meglio degli USA e della smidollata Europa.
Le sanzioni imposte alla Russia sono costate assai all'Europa e
all'Italia in primis mentre hanno favorito moltissimo la Turchia. Poi
vuole convincere gli USA a non mettere troppo il naso nelle vicende
interne sulle sponde del Mar Nero; poi vuole mettere al sicuro la sua
presenza permanente nelle basi siriane anche “dopo” Assad: che
significa una presenza militare russa permanente nel
Mediterraneo. USA fatti più in la.
L'Egitto, in grave crisi economica per la drastica riduzione del
turismo, per l'incertezza nella politica estera tranne le mire su
parte della Libia e per i grossi problemi di democrazia interna (non
stanno peggio della Turchia ma non stanno nemmeno meglio) vede si una
autonomia energetica dal Zhor ma senza grandi prospettive di sviluppo.
Perché la questione è assai semplice e terribilmente irresolvibile: la
crescita delle grandi nazioni occidentali poggia non solo e non più
sull'autonomia energetica (col petrolio a 44 dollari al barile e i
consumi all'osso) ma su pochi settori utili ma non strettamente o
immediatamente necessari.
Sarebbe utilissimo trovare una cura del cancro oppure delle malattie
neuro degenerative ma non c'é granché fretta. Ne sono morti milioni
finora, cinicamente per il capitale si può aspettare qualche lustro
ancora. Per il resto le nazioni “di mezzo” oggi sono in grado di
realizzare, coi propri tempi, un più che sufficiente sviluppo
economico e sociale dei propri popoli. Sia quelle appena entrate in UE
post comunismo che quelle del sud Mediterraneo. Tempo
cinque-dieci anni paesi come Turchia Iran Egitto ma anche Iraq e Libia
Tunisia Algeria Marocco staranno nelle nostre stesse condizioni. Non
solo quelle economiche perché è più che probabile che il peggioramento
delle condizioni economiche dell'UE comporterà un netto peggioramento
della democrazia anche da noi.
Mentre l'UE si sta trastullando col debito dei vari Paesi facendo la
zitella cattiva coi peggiori debitori, questo debito infrastati
frega più a nessuno. Ormai dopo la tragedia della Grecia l'hanno
compreso in molti: vuoi il Partenone o il Colosseo in pagamento
di una rata del debito. Prendili e cavolacci tuoi per cavarci qualche
euro. Tu Germania che sfotti l'UE col tuo spropositato avanzo primario
non sgallettare troppo perché domani gran parte di esso potrebbe stare
in Turchia o in Iran.
Mi pare che il mondo stia davvero “girando” e che la prossima spinta verrà dalle elezioni USA.
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Washington
le considera i migliori alleati all’interno del conflitto siriano, e da
almeno un anno ne sta proteggendo l’avanzata attraverso la copertura
aerea e accompagnandole da vicino con alcuni team di forze speciali. Le
Special Forces americane inizialmente erano 50, divise in due gruppi,
ma poi il progetto sperimentale è diventato una sorta di programma
operativo da ripetere anche su altri fronti (in Iraq verso Mosul, in
Libia a Sirte) e gli operativi sono aumentati di un paio di centinaia,
hanno creato un background tattico con un base semi-clandestina
nell’area curda-siriana, ha portato armi, fiducia (sono l’unico gruppo
US-backed del conflitto siriano a cui è consentito un canale di
comunicazione per indicare al comando aereo i bersagli da colpire) e
politica: le Ypg sono state inserite come maggiori azionisti in un
raggruppamento combattente promosso dagli Stati Uniti e formato insieme
ad alcune altre fazioni arabe e siriache a cui era stato affidato il
nome assolutamente politico di Syrian Democratic Forces e l’ambizioso
compito di liberare il nord siriano, scendere fino a Raqqa, la capitale
de facto dello Stato islamico, e isolarla dal resto del territorio
controllato dall’IS per eroderla lentamente per sferrare
successivamente l’assalto fatale che avrebbe decapitato il Califfo.
IL PROGETTO POLITICO DEI CURDI
Ma mentre i successi arrivavano giorno dopo giorno, sulla scia
dell’epica vittoria di Kobane, si è fatto sempre più palese il progetto
che spingeva i curdi a tanta determinazione e volontà: l’indipendenza,
quel sogno che da tempo ha un nome, il Rojava, e che adesso, con
l’occasione della guerra civile, della destabilizzazione del sistema
paese siriano, e la fedeltà dimostrata all’Occidente nella lotta al
Califfato, poteva diventare realtà. A marzo il Pyd, il braccio politico
dei combattenti fedeli agli Usa, ha presentato il conto per le proprie
prestazioni e votato la risoluzione definitiva: il kurdistan siriano
dovrà diventare una federazione autonoma, composta da tre cantoni
comprendenti tutta la fascia di territorio che da Hasaka arriva fino a
Afrin, il cantone isolato dal resto del territorio riconquistato a
causa della presenza residuale dell’IS in una fetta di terra che parte
proprio da Jarablus, la città su cui i turchi mercoledì hanno
focalizzato il primo corposo intervento militare oltre il confine
siriano.
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Biden
per cercare di ricostruire i rapporti, evitare che certe
inclinazioni potessero prendere forma e sostanza, offrendo sul
piatto dell’alleanza lo stop territoriale ai curdi — su cui si dovranno
seguire le evoluzioni — e dimostrandosi in parte collaborativo sulle
richieste turche a proposito dell’estradizione di Fetullah Gulen, il
politico anti-Erdogan che vive esiliato in America e che Ankara accusa
di essere l’ideatore del golpe (ci sono termini legali, Washington non
vuole farlo in pasto agli squali, e per questo squadre del dipartimento
di Giustizia stanno lavorando sul dossier, andando fino in Turchia).
Gli Stati Uniti così facendo non bilanciano soltanto Ankara, ma
mettono il proprio peso contro quello della Russia, con cui vogliono
trattare le pratiche internazionali come quella siriana: venerdì i capi
delle due diplomazie si incontreranno sul tema a Ginevra. Sarcastico il
commento del diplomatico americano di lungo corso Alberto Fernandez su
Twitter (ora è il direttore del discusso think tank Memri, spesso
accusato di essere pro-israeliano e parziale sul-
l'evidenziare solo le visioni
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liberazione di un’altra città del nord siriano, da anni in mano all’IS:
Manbij. Le immagini delle donne che toglievano il burqa e accendevano
una sigaretta insieme alle combattenti curde delle unità femminili Jpg,
erano diventate virali, simbolo di una libertà ritrovata e della
sconfitta parziale dell’oppressione dei drappi neri: tre giorni dopo,
quelle stesse milizie erano state prese a cannonate dai turchi. E
contemporanea -mente, qualche centinaia di chilometri più a est, i
caccia governativi siriani lasciavano cadere le proprie bombe su altre
postazioni curde ad Hasaka, segnando un nuovo punto di aggrappo della
guerra siriana – online gira una .gif che commenta “La situazione
strategica in Siria” e riprende pochi secondi del Royal Rumble,
l’evento tutti-contro-tutti del Wrestling americano. Damasco sostiene
adesso un linea simile a quella di Ankara, che spacca gli odi reciproci
tra Erdogan e Bashar el Assad: i curdi si stanno prendendo troppa
confidenza e non possono pensare a diventare uno stato a sé stante, per
questo le |
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più
radicali dell’Islam) il quale ironizza sulla necessità di aggiornare le
mappe dell’Amministrazione. In effetti le parole di Biden stridono con
la conquista di Manbij, che si trova una trentina di chilometri oltre
la fascia off limits ad ovest dell’Eufrate e che le Sof americane hanno
aiutato a tornare sotto il controllo curdo: ora il Veep dice che le
forze curde perderanno il cruciale supporto americano se non torneranno
ad est del fiume.
Emanuele Rossi
formiche.net
25/08/2016
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confine possano essere il trampolino di lancio definitivo per le
pretese analoghe avanzate da decenni sul proprio territorio.I curdi al
sud della Turchia vivono in questo periodo un’altra fase drammatica, da
quando lo scorso anno Ankara ha
deciso di avviare la missione antiterrorismo proiettata sulla Siria, e
ha messo tra gli obiettivi i curdi tanto quanto i baghdadisti, rompendo
una tregua biennale e i possibili colloqui di pace. |
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Ed è
stato Biden in persona ad annunciare che Washington aveva ordinato ai
curdi di non oltrepassare il fiume, il confine naturale dichiarato
anche nel nome dell’operazione turca, “Scudo dell’Eufrate”: linea
geomorfologica che la Turchia ha da sempre considerato una delle red
lines sulle operazioni curde appena oltre il proprio confine.
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