Coldiretti Bergamo
rilancia l'hashtag #bastacinghiali creato dai produttori di Coldiretti
nelle varie regioni italiane per mantenere accesi i riflettori sul
grave problema del proliferare incontrollato dei cinghiali e dei
relativi danni.
“Purtroppo si tratta di un'emergenza che si sta estendendo rapidamente
– spiega Coldiretti Bergamo -; anche sul nostro territorio questi
animali continuano a rappresentare un grosso problema. Molte aree della
nostra campagna sono messe a ferro e fuoco dai cinghiali che si sono
riprodotti in modo esponenziale e sempre in modo esponenziale stanno
causando perdite economiche alle imprese agricole, mettendo a rischio
anche l'incolumità dei cittadini. Ormai gli equilibri naturali sono
saltati e il fenomeno è sempre più difficile da arginare”.
Negli ultimi dieci anni il numero dei cinghiali presenti in Italia è
praticamente raddoppiato poiché secondo l'Ispra sul territorio
nazionale sarebbero stati presenti non meno di 600.000 cinghiali nel
2005 per passare a 900.000 nel 2010 e nel 2015 hanno superato il
milione secondo le stime della Coldiretti.
Il fenomeno è così articolato e complesso che è difficile anche da
inquadrare con precisione. Nella Bergamasca i danni causati dai
cinghiali liquidati nel 2015 sono stati di oltre 60 mila euro, ma se si
considera che tra gli agricoltori lo scoramento è tale che non tutti
presentano richiesta di risarcimento, il quadro presenta tinte di gran
lunga più fosche.
“I cinghiali sono solo la punta dell'iceberg – prosegue Coldiretti
Bergamo – perché l'agricoltura è praticamente sotto l'attacco anche di
nutrie, corvi e altri animali selvatici. Non si tratta più solo di
avere i legittimi risarcimenti, ma è inconcepibile che non si possano
mettere in atto misure di prevenzione realmente efficaci per
contrastare un fenomeno che costa molto agli agricoltori e ai
cittadini, non solo in termini economici ma anche di sicurezza e
tranquillità”.
Gli animali selvatici distruggono i raccolti agricoli e pregiudicano la sicurezza delle comunità.
“Oltre ai danni che sono particolarmente pesanti e vanno purtroppo a
sommarsi a quelli causati da una stagione inclemente dal punto di vista
climatico – conclude Coldiretti Bergamo – se non si argina al più
presto la situazione che si è creata, per chi lavora e abita nelle aree
rurali è a rischio la possibilità di poter proseguire l'attività
agricola e di poter circolare sulle strade senza fare incontri sgraditi
e spesso pericolosi”.
Di fronte al protrarsi di questa situazione Coldiretti Bergamo chiede
una riforma della disciplina in materia che garantisca l'indispensabile
presenza delle aziende agricole a tutela del territorio, oltre a
pretendere la necessaria tutela del loro reddito a fronte di procedure
certe di integrale risarcimento dei danni.
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La
polemica tra coltivatori versus i cacciatori per l’infestazione dei
cinghiali mi pare una classica storia italiana dove non comprendi mai
chi faccia la guardia e chi faccia il ladro. Innanzi tutto perché
maggioranza dei contadini è sempre stata ed è tuttora un popolo di
cacciatori generalmente poco rispettosi dei periodi di fermo dal
momento che oltre a conoscere il proprio territorio lo controllano
meglio degli animalisti e delle guardie. E quindi per loro la caccia è
sempre aperta.
Poi perché sapremo mai se l’infestazione originaria è stata creata ad
arte da «cacciatori puri» piuttosto che da «contadini cacciatori».
Ormai non è nemmeno importante stabilirlo.
Un bel numero di cinghiali da abbattere va bene per tutti tanto se
fanno dei danni anziché essere imputati ai cacciatori vengono saldati
buona parte dalla provincia.
Tra cacciatori e coltivatori noi stiamo moderatamente coi cinghiali
perché venendo da una famiglia di coltivatori e allevatori questo
problema l’avvento dei cinghiali lo abbiamo visto nascere
crescere e debordare allo stato attuale. Abbiamo conosciuto coltivatori
cacciatori che portavano a casa animali catturati altrove per liberarli
senza avere il minimo di discernimento o idea del casino che stavano
combinando.
Del resto se i cacciatori potessero, non esiterebbero a inserire anche
l’elefante o il leone o la pantera: per divertimento. Possedere un’arma
e pagare i salatissimi diritti significa per loro automaticamente «il
diritto» di sparare all’universo mondo animale (e umano: ma è sovrappiù
del fato...).
Complice anche il consumismo che dissemina il territorio di quantità
immense di alimenti vari: dai semi per fare le produzioni industriali
alle decine di orti casalinghi oppure i lussuosi bidoncini
dell’organico messo in strada di notte «a disposizione» di sua
eccellenza «sus scrofa».
La proposta della LAV é di chiudere cogli abbattimenti armati (che
indirettamente favoriscono la prolificità della specie) e di avviare
una politica di controllo (chimico) della fertilità e quindi delle
nascite.
Ma questo ovviamente «urta» la scarsa o nulla sensibilità del
cacciatore al quale di cinghiali non ne basta uno da
sparare (non amo il termine «fucilare» adottato dalla LAV) ma ne
vorrebbe 10 100 1000.
More solito una società consumista che ha ridotto ogni cosa
animale persona a oggetto da usare in maniera corretta e non, il tema
dei diritti degli animali a non essere oggetto di consumo ludico (e
non...) oppure quello di non creare danni indiretti (per il proprio
divertirsi) ad altri cittadini imputando i danni inferti all’intera
collettività lascia il tempo che trova alla riflessione.
In parallelo la politica è infetta peggio dei cacciatori del virus del
consenso e quindi misura i provvedimenti in contraddizione tra le
scarse disponibilità economiche dell’ente e il rapporto tra il
numero di elettori-cacciatori e quello degli elettori-LAV.
Davvero: meglio stare dalla parte dei cinghiali anche se una volta ci
hanno mangiato lo zaino che avevamo incautamente posato incustodito su
una panchina al Colle di San Fermo.
Ghè negot da fa:i bestie i fa ol so mester!.
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La Lav (Lega antivivisezione) di Bergamo
risponde alla Coldiretti che nei giorni scorsi aveva lanciato un
allarme cinghiali (leggi). E sottolinea come l'eradicazione violenta
non paghi.
Questi animali, spiega la Lav, introdotti furbescamente e
fraudolentemente nel nostro Paese dai cacciatori e poi incrociati con
specie molto più prolifiche, sono indicati quali responsabili di
incalcolabili danni all'agricoltura i cui risarcimenti incombono però
sulle tasche di tutti i cittadini e non dei soli responsabili; ma anche
prima causa di incidenti stradali, in cui i cinghiali assumono
addirittura il ruolo di “assassini”.
Eppure, la difesa delle colture attraverso recinzioni elettrificate
ha portato risultati positivi in oltre il 90% dei casi: impedendo
l'accesso alle coltivazioni gradite dal cinghiale, si riducono le
disponibilità alimentari della specie e si contribuisce alla riduzione
numerica delle popolazioni.Anche la presunta pericolosità della specie
è stata smentita e i casi rari di aggressione
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L'avanzata
impetuosa dei cinghiali annunciata è quindi il preambolo propedeutico
alla formulazione del postulato per cui i cinghiali devono essere
sterminati.
E gli amministratori, siamo pronti a scommetterci, saranno ben felici
di dare il loro fattivo contributo al clima di velato terrorismo che
sottende tutta la questione cinghiali. Mai nessuno di loro in passato
si è soffermato sul fallimento della gestione venatoria della fauna
selvatica e dei cinghiali in particolare!
E' evidente, sotto gli occhi di tutti, ma nessuno ha il coraggio di
ammetterlo, proseguendo lungo una strada fallimentare, senza
comprendere che uccidere gli animali non risolve affatto il problema.
Da anni, da decenni i cacciatori ammazzano milioni di animali, ungulati
e cinghiali compresi. Le quote di abbattimento crescono ogni
anno, eppure i danni non diminuiscono, ma nessuno se ne vuole
accorgere. Nessuno prende atto che ammazzare gli animali non porta alla
riduzione dei danni, tutt'altro. Né diminuisce il numero di animali. Ed
i politici, gli agricoltori, i cacciatori, continuano a meravigliarsi!
E se, leggendo queste note, vi
chiedeste perché il numero di ungulati aumenta nonostante gli
abbattimenti, vi diciamo quello che normalmente viene omesso, più o
meno consapevolmente da chi ha interesse a impugnare i fucili e, cioè,
che l'attività venatoria disgrega i gruppi consolidati e contribuisce
ad aumentare la fertilità della specie, venendo meno il fenomeno della
simultaneità dell'estro delle
femmine – lo spiega bene la LAC che a suffragare le proprie
dichiarazioni ci mette la biologia: “Il cinghiale è un animale che vive
in branchi a gerarchia matriarcale. Le femmine dominanti, che si
riproducono in natura una sola volta l'anno, grazie alla
sincronizzazione dell'estro, lo condizionano anche nelle altre femmine
del branco… in questo modo tutte le femmine avranno un solo estro. Ma,
si sa, l'istinto degli animali ha come fine quello della riproduzione e
così la persecuzione venatoria, messa in atto contro gli ungulati,
determinano il totale sfasamento del branco. Le femmine finiscono per
andare in estro più volte l'anno ed anche in età meno adulta e spesso i
parti diventano plurigemellari. Insomma, dove l'uomo cerca di
distruggere i branchi, l'istinto di conservazione ne modifica la
struttura, rendendoli più prolifici… a dispetto dei proiettili (questo
per quanto riguarda le specie comuni di cui i cinghiali fanno parte)”.
Un contributo concreto alla gestione degli animali selvatici in ottica
di una migliore convivenza con gli umani, conclude Lav, potrà venire
solo da un pensiero nuovo, aperto a nuove prospettive, che abbandoni la
vecchia, crudele, fallimentare strada delle fucilazioni generalizzate.
Solo attraverso lo sviluppo e l'implementazione dei farmaci che
controllano la fertilità, che già esistono, possiamo configurare un
futuro migliore per gli animali, l'agricoltura, l'ambiente, l'uomo.
Intanto la Lav suggerisce a Coldiretti di chiedere i risarcimenti alle
associazioni venatorie, colpendo così i veri responsabili dei citati
danni all'agricoltura.
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