NUMERO 222 - FRONTIERE E WELFARE DEI MIGRANTI: L'IMBARAZZO DELLA SINISTRA- PAGINA 3










Frontiere e welfare dei migranti: l'imbarazzo della sinistra.

C'è un filo rosso che lega il referendum inglese alle ultime elezioni in Europa e che tratteggia i contorni di una “sinistra senza popolo”, priva del sostegno del suo elettorato storico, le classi popolari.
In Austria alle elezioni presidenziali più del 70 per cento degli operai ha votato per l'estrema destra, alle elezioni regionali francesi circa il 40 per cento degli ouvriers ha sostenuto Le Pen. E nel Regno Unito, i bastioni laburisti del Nord hanno premiato la Brexit.
Un terremoto silenzioso sta spaccando in due il cuore elettorale della sinistra: da un lato il tradizionale voto popolare, sempre più frastagliato, tendenzialmente anti-globalizzazione e in cerca di protezione, dall'altro i nuovi elettori urbani, sostenitori di un'agenda liberale, pro-globalizzazione, che prediligono l'apertura.
Negli ultimi anni la sinistra europea sembra avere privilegiato questo secondo gruppo. Non è un caso se la vetrina di maggiore successo della sinistra inglese sia oggi la multiculturale Londra di Sadiq Kahn e l'ultimo feudo della gauche francese la Parigi cosmopolita.
Sarebbe tuttavia ingiusto negare gli sforzi fatti a sinistra per riconquistare il voto popolare. Jeremy Corbyn, ad esempio, si batte per preservare il sistema sanitario pubblico e frenare le privatizzazioni, mentre la Spd è riuscita a ottenere l'introduzione di un salario minimo in Germania.
Questi sforzi si sono però rivelati insufficienti per frenare lo smottamento elettorale. Concentrandosi unicamente sul terreno economico e sociale, le sinistre europee commettono infatti un errore di impostazione. Oggi la dimensione che conta di più per i ceti popolari, anche quelli che ancora votano a sinistra, non è l'economia, ma è sempre più l'immigrazione. Basta andare nell'Emilia rossa per accorgersi di quanto l'immigrazione incida nel vissuto quotidiano di quello che un tempo si chiamava il popolo di sinistra.
Due questioni sembrano, in particolare, decisive: il welfare state e le frontiere.





Come farà il PD ad annunciare agli italiani, dopo esssere stato per settanni paladino del benessere, welfare, pensioni che la storia ha fatto un giro di boa ?.
Da domani saremo tutti più poveri. Dovremo essere più parchi. Ci sono molti dubbi che la democrazia sia conservata tal quale l'abbiamo avuta nei 70 anni precedenti. Ci sono molti dubbi che sarà mai raggiunta una più equa distribuzione della ricchezza.
Nel paese si fanno avanti nuovi poveri e perchè sono immigrati e perchè fanno lavori che noi "bianchi" non accettiamo per molte ragioni.

La situazione é di quelle feroci perchè l'elettorato é assai anziano e le sue esigenze premono sui politici, i giovani sono massicciamente disoccupati. C'é una guerra feroce tra anziani, giovani bianchi disoccupati, immigrati che cercano lavoro e benessere.

Purtroppo una società materialista non ha più i mezzi per darsi un futuro. Una società materialista guarda al futuro misurando quanto avrà o non avrà a disposizione.

L'idea che una volta gran parte del nostro benessere dipendesse anche dai rapporti imperialisici tra le nazioni del nord e quelle del sud del mondo l'abbiamo dimenticata anche se abbiamo ancora moltissime guerre in corso per quello: basta vedere solo il Mediterraneo a sud.

Come fai a convincere l'anziano pensionato o il giovane con una lauera poco spendibile che siccome i cinesi sanno fare esattamente le cose come le facciamo noi, noi non possiamo più vendergli (quasi) nulla?

Il fatto é che l'operaio cinese che fabbrica il frigo sansumg che ha in casa l'operaio lombardo vuole anche le cure dentarie del lombardo. L'università dei lombardi. La yaris o l'alfetta dei lombardi. Ma non viene a comprarli da noi. Se li inventa e li fabbrica da solo. Quasi tutti.

Come fanno i partiti a dire agli eletori che


          Il disagio sugli immigrati
          e le scelte da fare a sinistra









L'appello che lancia Francesco Ronchi nella sua lettera a Repubblica non può non colpire. Viaggiando per l'Emilia oppressa dalla calura estiva, Ronchi ha avvertito una cappa di disagio sociale e politico nei paesi dove la crisi della sinistra è ormai un declino cronico.
Una crisi che si manifesta con l'altissimo astensionismo elettorale, una crescita innegabile di consenso alla Lega, una visibile insofferenza per la politica dell'accoglienza nei confronti degli immigrati.
Non comprendere l'urgenza di intervenire con un nuovo piano di politiche sociali, di mettere in moto nuove strategie di redistribuzione e di farlo con competenza e umiltà sarebbe davvero improvvido, altrettanto quanto pensare che la strada giusta sia quella della deregolamentazione o della managerializzazione dei servizi, un vizio economicista di cui la sinistra sembra oggi andare fiera.
A perdere non sarebbe solo e tanto la sinistra, ma il tenore del nostro tessuto sociale nelle città e nei paesi dove viviamo, laddove si è sedimentata la nostra pratica di vita democratica.

Ronchi mette a nudo una delle ragioni macroscopiche di questo disagio delle democrazie sociali mature: il legame conflittuale tra bisogno e confini; la tensione tra universalismo dei valori e la loro applicazione tra persone che hanno bisogno di riconoscersi come eguali; la difficile relazione tra le politiche redistributive e la composizione socio-culturale della popolazione.
Il bisogno è naturalmente il punto di partenza dei criteri di giustizia ai quali si è ispirata la sinistra democratica del dopoguerra.

Ma quale che fosse stato il dissenso, il metro di giudizio era condiviso: il cittadino era simbolo di diritti e doveri, e quindi di servizi che mettessero una barriera alle diseguaglianze di condizione.
Questo modello ha consentito di distribuire servizi all'infanzia, assegnare alloggi, accedere ai servizi pubblici in generale. Ha avuto largo successo in Emilia, integrando i meno abbienti e facendone cittadini responsabili e partecipi.

La socialdemocrazia è stata tutto questo.
Come osserva Ronchi, oggi questo modello è in crisi proprio nell'Emilia. Ed è in crisi insieme alla sinistra democratica un po' in tutta Europa, come Brexit ha dimostrato in maniera dirompente.

Pensare che la fedeltà di partito o di bandiera o di leadership possa mettere a tacere questa grande insoddisfazione è semplicemente sbagliato.

Il voto per fede si scontra con un disagio che è più grande e più vero — semmai, se deve essere ancora voto per fede sarà dato a una nuova religione: quella del nazionalismo identitario e xenofobo.
È evidente che il bisogno di giustizia c'è: ad essere in crisi è il modo di affrontarlo.
L'immigrazione è, scrive Ronchi, il fattore al quale rivolgersi per capire perché il modello classico di redistribuzione non funziona più.
E lo si vede proprio sul campo: con gli esistenti criteri distributivi i concittadini perdono rispetto agli immigrati — i quali hanno comunque redditi più bassi e soprattutto famiglie più numerose e possono accedere con più facilità ai servizi. L'accoglienza finisce per penalizzare i cittadini e ciò non tarda a generare sentimenti di rabbia razziale, di intolleranza — trasformando le ragioni dell'insoddisfazione per come le regole di giustizia sociale funzionano in ragioni identitarie.
Incolpando gli immigrati e quindi le politiche delle frontiere porose, ovvero la cultura dell'accoglienza e l'etica cosmopolitica che le forze liberali e democratiche hanno in questi anni coltivato, e che ha costruito l'Unione Europea, a partire dal Trattato di Roma.
Chiede Ronchi: «come conciliare, in quanto uomo di sinistra, il mio dovere di solidarietà con l'impossibilità oggettiva di “accogliere tutta la miseria del mondo”?». 

È evidente che nessuno è così onnipotente da poter “accogliere tutta la miseria del mondo”. Però possiamo fare uno sforzo di elaborazione e di ricerca per rivedere criteri e politiche sociali affinché siano in grado di dare giustizia in questa nuova condizione; affinché siano attente ai contesti e alle reali capacità delle persone.

Lo scopo è difendere la vita democratica in una realtà che è comunque multietnica. E si dovrà prestare attenzione non solo all'accoglienza, ma soprattutto all'integrazione civica. Integrare gli immigrati nel tessuto socio-politico significa istruirli non solo nella lingua, ma educarli ai diritti civili, alle regole di giustizia, al dettato della nostra Costituzione.

Oggi c'è più, non meno, bisogno di politiche pubbliche; ce n'è tanto bisogno quanto ce n'era negli anni della ricostruzione postbellica — perché di ricostruzione si tratta comunque: della fiducia nelle istituzioni politiche, della stabilità sociale e della tranquillità civile.

Nel dopoguerra, il sindaco di Bologna Giuseppe Dozza capì che per ricostruire dalle macerie della guerra nazi-fascista occorreva ricostruire la società civile e la democrazia: mise insieme conoscenze e competenze per definire piani di progettazione del futuro, non per vincere una campagna elettorale: politiche sulla casa e la scuola di ogni ordine e grado, l'assistenza sanitaria e sociale, i servizi al lavoro e all'imprenditoria; e, a tenere tutto insieme, i luoghi e i servizi di cittadinanza partecipata, nei quartieri e con le associazioni della società civile.

Il socialismo alla Prampolini, ovvero l'attenzione alla vita quotiana delle persone dove esse vivono per costruire una società giusta: questa era la logica seguita nell'Emilia del dopoguerra. E forse ancora dal riformismo bisogna ripartire, adattato ovviamente a questo tempo, poiché il disagio sociale così grande e pervasivo lo si vive nel concreto della vita locale, non è un'astratta categoria a uso di esperti della comunicazione politica.





Nadia Urbinati
La Repubblica
30 luglio 2016











































































































































































































































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Molti amministratori locali del Pd da tempo hanno lanciato allarmi sul rischio di una discriminazione di fatto dei nativi nell'accesso allo Stato sociale. Questo sentimento di ingiustizia rispetto ai concittadini immigrati non riguarda solo l'assegnazione delle case popolari, ma anche i servizi della prima infanzia, gli asili e l'accesso a tutti i servizi pubblici.
Negare l'esistenza di una tensione fra nativi e immigrati o, ancora peggio, limitarsi all'esaltazione retorica del multiculturalismo e delle sue virtù non risolve il problema, ma lo esacerba, consegnandone il monopolio all'estremismo.


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Il bisogno lo si può giudicare e misurare secondo due grandi parametri, che non collimano tra loro necessariamente: quelli che si basano su dati misurabili e quelli che si basano su valutazioni di merito e di contesto.
Il reddito per nucleo famigliare nel primo caso; e un resoconto su che cosa, con quel reddito, una persona può fare nella città o nel paese in cui vive nel secondo caso. Universalismo lineare in un caso; distribuzione di servizi attenta alle capacità che le persone hanno e a quelle che



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La sinistra non può inoltre sfuggire al tema del ritorno dei confini, spesso archiviato come reazionario. Il concetto di confine è invece legato alla nascita della sinistra: nella rivoluzione francese fu il Terzo Stato a battersi per la difesa del confine contro un'aristocrazia apolide e sradicata.
Dovremmo chiederci se per la sinistra, in questo tempo di disorientamento e  insicurezza, il richiamo che le radici esercitano sugli ultimi, il ritorno all'Heimat, alle tante Patrie individuali , alla comunità che protegge, non sia una risorsa da coltivare piuttosto che un feticcio da abbattere in nome di una visione naive della globalizzazione.
Porsi queste questioni da sinistra non è cosa facile e le timidezze sono comprensibili.
L'immigrazione è il nuovo tabù della sinistra perché ne interpella l'essenza e, cosa più importante, interroga la coscienza individuale di chi si riconosce in quella storia, la nostra storia: come conciliare, in quanto uomo di sinistra, il mio dovere di solidarietà con l'impossibilità oggettiva di «accogliere tutta la miseria del mondo » , per citare il compianto Michel Rocard?
Il futuro della sinistra dipenderà anche dalla capacità con cui saprà rompere questo tabù.


Francesco Ronchi.
La Repubblica
29 luglio 2016





servono loro nel determinato contesto di vita nel quale devono svolgere le loro funzioni.

Come si intuisce, il primo criterio è adatto a un contesto di sufficiente omogeneità sociale — ha funzionato fino a quando lo Stato-nazione è stato il collettivo di riferimento. Come dice Ronchi, la sinistra è nata mettendo confini tra chi era parte della nazione e chi non lo era (anche i ricchi cosmopoliti).
Il criterio di cittadinanza nazionale ha determinato le politiche di solidarietà sociale e ha nel suo tempo funzionato.
Certo, le ingiustizie c'erano e associazioni e partiti si incaricavano di denunciarle e correggerle.