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NUMERO 360



























































Si replica il duello tra città e campagna
di Siegmund  Ginzberg /La Repubblica

Piccoli centri e campagne paiono risultare più fragili e indifesi delle città di fronte al vento di Vandea che soffia in tutto il mondo.









Libia. Nell'ultimo paese che l'America ha liberato da un “malvagio dittatore” oggi si commerciano apertamente gli schiavi.

Carey Wedler / Zero Edge









































































































Come per la Brexit. Come per l'elezione di Trump. Come potrebbe succedere tra pochi giorni in Francia se vincesse Marine Le Pen. Erdogan ha vinto grazie al voto delle “campagne”, della periferia. Era temuto, atteso, scontato. È la ricorrente vendetta dei “dimenticati”, dai tempi della Vandea francese all'ascesa di Hitler nelle piccole città prima che a Berlino.

Ma la grande novità è che questo vento di Vandea che soffia in tutto il mondo ha avuto una battuta di arresto. È stato frenato dalle città. Erdogan è stato a sorpresa tradito dalla “sua” Istanbul, da Smirne, persino da Ankara. Le tre città più popolose e dinamiche, che gli devono lavori pubblici e prosperità, gli hanno detto no. Tanto che la sua vittoria al referendum sembra quasi una sconfitta.

Una vittoria sul filo dell'uno per cento o giù di lì è già qualcosa di arrischiato e discutibile in una democrazia normale e consolidata. Che un margine così ridotto porti ad uscire o meno dall'Unione europea suscita perplessità. E ancora più il fatto che possa diventare presidente
degli Stati Uniti un candidato che ha avuto 3 milioni e mezzo meno (sì



Erdogan ci teneva. È stata la sua ossessione da almeno un decennio a questa parte, forse addirittura sin da quando nel 2002 da sindaco di Istanbul era stato eletto capo del governo, certo da quando, scaduti i mandati, nel 2014 aveva dovuto accontentarsi di fare il Presidente della Repubblica, carica allora alquanto simbolica.

Era stato fermato una prima volta nel 2014, quando le urne gli avevano negato la maggioranza parlamentare. Ci aveva riprovato l'anno dopo, nel 2015, recuperando, grazie al voto nelle “campagne” una maggioranza sufficiente a formare il governo, ma non quella necessaria a far passare modifiche costituzionali. Aveva bisogno di una maggioranza di 2/3 per cambiare direttamente la Costituzione, di una maggioranza di almeno 2/5 per poter fare un referendum sulla Costituzione. Non era riuscito ad ottenere alle urne né l'una né l'altra. Per riuscire ad indire almeno il referendum ha dovuto liberarsi dei deputati curdi, togliendogli l'immunità parlamentare e mandandone decine a processo come sostenitori del “terrorismo” curdo.

Pensava a questo punto che la strada fosse spianata.







Un articolo rilanciato da Zero Hedge ci apre una finestra sull'orrore in cui la Libia è stata gettata dal cosiddetto intervento  “umanitario”  dei paesi NATO  e dalla primavera araba. Nel paese nordafricano, privo di un controllo politico, si fa apertamente compravendita di esseri umani come schiavi, li si detiene per ottenere il riscatto e se non sono utili alla fine li si uccide. Il disordine e le atrocità che seguono la cacciata del dittatore – per quanto odioso possa essere –  dovrebbero essere tenuti ben presenti oggi che il cerchio si sta stringendo intorno alla Siria.
 
di Carey Wedler, 15 aprile 2017

È ben noto che l'intervento NATO a guida USA del 2011 in Libia, con lo scopo di rovesciare Muammar Gheddafi, ha portato ad un vuoto di potere che ha permesso a gruppi terroristici come l'ISIS di prendere piede nel paese.
Nonostante le conseguenze devastanti dell'invasione del 2011, l'Occidente è oggi lanciato sulla stessa traiettoria nei riguardi della Siria. Proprio come l'amministrazione Obama ha stroncato Gheddafi nel 2011, accusandolo di violazione dei diritti umani e insistendo che doveva essere rimosso dal potere al fine di proteggere il popolo libico,



Un sopravvissuto del Senegal ha raccontato che stava attraversando la Libia, proveniendo dal Niger, assieme ad un gruppo di altri migranti che cercavano di scappare dai loro paesi di origine. Avevano pagato un trafficante perché li trasportasse in autobus fino alla costa, dove avrebbero corso il rischio di imbarcarsi per l'Europa. Ma anziché portarli sulla costa il trafficante li ha condotti in un'area polverosa presso la cittadina libica di Sabha. Secondo quanto riportato da Livia Manente, la funzionaria dell'IOM che intervista i sopravvissuti, “il loro autista gli ha detto all'improvviso che gli intermediari non gli avevano passato i pagamenti dovuti e ha messo i passeggeri in vendita“. La Manente ha anche dichiarato:
“Molti altri migranti hanno confermato questa storia, descrivendo indipendentemente [l'uno dall'altro] i vari mercati degli schiavi e le diverse prigioni private che si trovano in tutta la Libia“, aggiungendo che la OIM-Italia ha confermato di aver raccolto simili testimonianze anche dai migranti nell'Italia del sud.

Il sopravvissuto senegalese ha detto di essere stato portato in una prigione improvvisata che, come nota il Guardian, è cosa comune in Libia.








































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































(sì in meno, non in più) della sua concorrente. Dipende dalle regole. Se le regole non vanno si possono cambiare, e comunque mai a partita in corso. A nessuno passerebbe per la mente di contestare il referendum britannico o le presidenziali Usa. Al contrario, un margine così ridotto diventa un problema in una democrazia così e così, in un Paese come la Turchia dove fino al 1945 si votava per un solo partito, e dove per decenni si sono periodicamente alternati elezioni più o meno libere e colpi di Stato militari.

E questo indipendentemente dai sospetti e dalle accuse di brogli. Le schede immediatamente e ufficialmente contestate sono un numero pari a quelle che avrebbero potuto decidere in senso esattamente opposto la consultazione. Quelle “irregolari”, perché prive del timbro di convalida, sarebbero addirittura un terzo del totale. E quanto alla segretezza lasciava a desiderare. Siamo impressionati dagli arresti, dai licenziamenti degli oppositori. Si sa molto meno di quanto siano diventati sistematici il controllo, la sorveglianza e la delazione di massa.

Già parecchio prima del fallito golpe del luglio scorso Erdogan aveva ufficialmente invitato i sindaci dei centri minori ad istituire la sorveglianza capillare dei concittadini, su quel che fanno ma anche su quel che dicono e pensano. Bastano una battuta o un “mi piace” azzardato a una vignetta o un giudizio su Facebook per essere convocati al commissariato a spiegare l' “insulto” al Presidente, il vilipendio della nazione turca, oppure il sostegno al “terrorismo”. Figuriamoci le conseguenze che si possono temere, specie in un piccolo centro di provincia, se si viene additati come malvotanti.


Il referendum di domenica avrebbe dovuto confermare il cumulo di tutti i poteri nelle mani del presidente della Repubblica, cioè di Erdogan: fondere presidenza e governo, consentirgli di nominare i giudici, renderlo immune a qualsiasi persecuzione giudiziaria, qualsiasi forma di impeachment o rimozione, e soprattutto togliere ogni limite alla durata del mandato.





























































































































































































































“I detenuti all'interno sono costretti a lavorare senza paga, o in cambio di magre razioni di cibo, e i loro carcerieri telefonano regolarmente alle famiglie a casa chiedendo un riscatto. Il suo carceriere chiese 300.000 franchi CFA (circa 450 euro), poi lo vendette a un'altra prigione più grossa dove la richiesta di riscatto raddoppiò senza spiegazioni“.
Quando i migranti sono detenuti troppo a lungo senza che il riscatto venga pagato, vengono portati via e uccisi. “Alcuni deperiscono per la scarsità delle razioni e le condizioni igieniche miserabili, muoiono di fame o di malattie, ma il loro numero complessivo non diminuisce mai“, riporta il Guardian.
“Se il numero di migranti scende perché qualcuno muore o viene riscattato, i rapitori vanno al mercato e ne comprano degli altri“, ha detto Manente.

Giuseppe Loprete, capo della missione IOM del Niger, ha confermato questi inquietanti resoconti. “È assolutamente chiaro che loro si vedono trattati come schiavi“, ha detto. Loprete ha gestito il rimpatrio di 1500 migranti nei soli primi tre mesi dell'anno, e teme che molte altre storie e incidenti del genere emergeranno man mano che altri migranti torneranno dalla Libia.
“Le condizioni stanno peggiorando in Libia, penso che ci possiamo aspettare molti altri casi nei mesi a venire“, ha aggiunto.
Ora, mentre il governo degli Stati Uniti sta insistendo nell'idea che un cambio di regime in Siria sia la soluzione giusta per risolvere le molte crisi di quel paese, è sempre più evidente che la cacciata dei dittatori — per quanto detestabili possano essere — non è una soluzione efficace. Rovesciare Saddam Hussein non ha portato solo alla morte di molti civili e alla radicalizzazione della società, ma anche all'ascesa dell'ISIS.
Mentre la Libia, che un tempo era un modello di stabilità nella regione, continua a precipitare nel baratro in cui l'ha gettata “l'intervento umanitario” dell'Occidente – e gli esseri umani vengono trascinati nel nuovo mercato della schiavitù, e gli stupri e i rapimenti affliggono la popolazione – è sempre più ovvio che altre guerre non faranno altro che provocareulteriori inimmaginabili sofferenze.

































































































































































Prevedeva un margine di 60 per cento o oltre. Si deve accontentare di un vantaggio in pochi decimali. Dal suo punto di vista è una sconfitta. Tanto che ha dovuto affrettarsi a dichiarare, contrariamente al suo stile, che il risultato «è una vittoria per tutti, sia quelli che hanno votato sì sia quelli che hanno votato no». In teoria, con le modifiche costituzionali a cui il referendum dà ora il via libera,

Erdogan potrebbe restare ininterrottamente al potere fino al 2029. Si tratta di un problema che si era posto ad altri leader di democrazie “per modo di dire”, che ad un certo punto si erano dati regole simili a quella di democrazie consolidate come gli Stati Uniti, dove vige il limite di due mandati. Putin l'aveva risolto, come è noto, inventando l'alternanza tra presidenza e capo del governo, che ha dato vita alla staffetta con Medvedev.





















così l'amministrazione Trump sta oggi puntando il dito contro le politiche repressive di Bashar al-Assad in Siria e 'lanciando lavvertimento che il suo regime è destinato a terminare presto — tutto ovviamente in nome della protezione dei civili siriani.
Ma mentre gli Stati Uniti e i loro alleati si dimostrano effettivamente incapaci di fornire una qualsiasi base legale a giustificazione dei loro recenti attacchi aerei — figurarsi poi fornire una qualsiasi evidenza concreta a dimostrazione del fatto che Assad sia effettivamente responsabile dei mortali attacchi chimici della scorsa settimana — emergono sempre più chiaramente i pericoli connessi all'invasione di un paese straniero e alla rimozione dei suoi leader politici.
Questa settimana abbiamo avuto nuove rivelazioni sugli effetti collaterali degli “interventi umanitari”: la crescita del mercato degli schiavi.
Il Guardian ha riportato che sebbene “la violenza, l'estorsione e il lavoro in schiavitù” siano stati già in passato una realtà per le persone che transitavano attraverso la Libia, recentemente il commercio degli schiavi è aumentato. Oggi la compravendita di esseri umani come schiavi viene fatta apertamente, alla luce del sole.
“Gli ultimi report sul 'mercato degli schiavi' a cui sono sottoposti i migranti si possono aggiungere alla lunga lista di atrocità [che avvengono il Libia]” ha detto Mohammed Abdiker, capo delle operazioni di emergenza dell'International Office of Migration, un'organizzazione intergovernativa che promuove “migrazioni ordinate e più umane a beneficio di tutti“, secondo il suo stesso sito web. “La situazione è tragica. Più l'IOM si impegna in Libia, più ci rendiamo conto come questo paese sia una valle di lacrime per troppi migranti.”

Il paese nordafricano viene usato spesso come punto di uscita per i rifugiati che arrivano da altre parti del continente. Ma da quando Gheddafi è stato rovesciato nel 2011 “il paese, che è ampio e poco densamente popolato, è piombato nel caos della violenza, e i migranti, che hanno poco denaro e di solito sono privi di documenti, sono particolarmente vulnerabili“, ha spiegato il Guardian.




















































































































































































































































































































































































































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