Salvatore Mazzeo, venerdi santo a Enna










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NUMERO 352












































M5s, il 'penombra' Davide Casaleggio sotto i riflettori della Gruber

di Pierfranco Pellizzetti |

Dopo tanta attesa   “il penombra”compare da- -vanti ai riflettori televisivi del salotto di Lilli Gruber e, franca- mente, l'effetto risulta molto modesto: un deludente mix di banalità e reticenze. A riprova che nella società dell'appa- rire, l'assenza deliberata diventa la migliore tattica per suscitare interesse.

Attesa che però, nel caso dell'uomo misterioso Davide Casaleggio, si rivela un boomerang; quando costui inizia faticosamente a esporre il proprio pensiero, tanto a lungo tenuto celato: l'insieme di luoghi comuni, tipici di una consulenza alla milanese specializzata in semplificazioni, e giochetti mimetici per non offrire punti di riferimento.
Del resto, in questo secondo caso, tecnica condivisa da Beppe Grillo, per cui il Movimento padronale, guidato in base a principi autoritari e regolato secondo i criteri arbitrari imposti da un ristretto nucleo di azionisti, si dichiarerebbe privo della cabina di comando; sostituita da un fantomatico organismo multicellulare evolutosi in intelligenza collettiva.

Quel brainpower che, messo alla prova nella dimensione elettrificata della rete, ora escogita l'assemblaggio di balbettii reazionari con pretesa di fungere da capisaldi in politica estera: un blend sconfortante di culto dell'Uomo Forte e nostalgie da Guerra Fredda (sotto forma di putinismo, trumpismo e statalismo retro) che arriva all'apologia da conferenza di Bandung 1955, promossa dal Maresciallo Tito, del principio di autodeterminazione dei governi nazionali (e nell'accantonamento di qualsivoglia istanza cosmopolitica); mentre il cacicco siriano Assad gasifica i bambini del suo stesso popolo. Un insigne scemenzaio, da chiacchiera a ruota libera nel retrobottega del farmacista di paese.
Pendant della genericità con cui Casaleggio jr. affronta il tema “progresso”, confindustrialmente ridotto a ricerca & sviluppo aziendale; nella totale ignoranza dell'attuale paradigma tecno-economico, per cui l'innovazione è un vastissimo progetto pubblico di interazione guidata tra comunità scientifiche locali e sistema produttivo d'area. Il cui obiettivo è la specializzazione competitiva. Non certo la chiacchiera incosciente sull'automazione/robotizzazione “4.0” che desertifica l'occupazione; ma che tanto piace ai banditori di luoghi comuni. Quelli che sproloquiano di redditi da cittadinanza, che non riusciranno mai a imporsi se perdurerà la sterilizzazione del lavoro come soggetto politico. E se l'intervistatrice gli chiede delucidazioni, il giovanotto risponde che bisognerebbe rivolgersi a qualche esperto: bel colpo!

Appunto, un quadro sconfortante. Ma che risultava vieppiù tale percependo nell'aria la crescente cortigianeria di presunti esponenti dell'intellighenzia nazionale: baroni universitari e giornalisti da talk show destrorso, bulimici del palcoscenico assicurato dall'imbarco sul carro di un possibile vincitore. I Gianluigi Nuzzi e i Domenico De Masi visti all'opera ieri sera nel salotto de la Sette, perfetti cloni degli Alessandro Baricco o dei Massimo Recalcati proni al bacio della pantofola nelle Leopolde renziane. Se questi ultimi si prosternavano nell'accreditamento da grande leader del ragazzotto di Rignano, il Nuzzi non si tira indietro nel certificare il rango di filosofo del perito industriale Gianroberto Casaleggio; di cui ancora si ricorda la pittoresca performance sul potere di rete nel meeting di Cernobbio 2013, oltre il revival alla Asimov con il video-profezia “Gaia, the future of politics”.
Il tutto a conferma che, in questa epoca di politica star-system e di organizzazioni aziendali alla testa di movimenti politici, la figura dell'intellettuale è andata estinta, sostituita da comunicatori e trombettieri.
Non aveva torto la Gruber quando ieri sera, in un soprassalto di pudore, ha esclamato: “Stiamo facendo uno spottone ai Cinquestelle”. Proprio così, cara signora. Il segnale che il generone mediatico sta riposizionandosi, in previsione di ciò che può accadere nel fatidico 2018. O forse anche prima.














































Alle primarie 2017 del PD hanno votato in 266.726: il 59% degli iscritti.
Nel congresso del 2013 i votanti furono 30 mila in più, ma il 4% in meno
Nel 2013 Renzi ebbe il 45,3% (pari a 122.892 voti). Mi pare quindi che dare del cretino agli elettori del PD per non avere cambiato idea sia la solita offesa gratuita che Travaglio distribuisce giornalmente in dose massicce. Travaglio dovrebbe domandarsi se a fronte delle mille copie del suo giornale vendute mediamente ogni giorno, quei 266 mila elettori PD siano davvero dei



L'hanno rimasto solo

di Marco Travaglio |

Prima o poi doveva arrivare ed è arrivato: il momento di diventare renziani. È stato precisamente due giorni fa, quando anche Monica Cirinnà, folgorata sulla via di Orlando, ha scoperto all'improvviso che Renzi “è stato un pessimo segretario, da lasciare alle spalle” visto che ha rovinato il Pd (“un partito immobile e isolato”). E dire che il 4 dicembre scorso, appena cinque mesi fa, twittava giuliva: “Grazie @matteorenzi, senza il tuo coraggio non avremmo governato x 1000 giorni approvando leggi innovative come #unionicivili”.
Ora, Renzi ha tanti difetti, ma non il mimetismo: almeno da quando è segretario è sempre lo stesso. Cosa può essere cambiato dal 4 dicembre? Una sola cosa: il 5 dicembre ha perso il referendum e il governo. Per la verità il referendum l'ha perso tutto il Pd, a parte i pochi che votarono No e ora sono andati in Mdp. Ma gli altri preferiscono sorvolare. Anzi trasvolare verso altri lidi. Scelta legittima: solo i cretini non cambiano idea. Ma può capitare che cambino idea anche i cretini, e per sposarne una altrettanto cretina: accade quando si dimenticano di chiedere scusa per aver sbagliato l'idea precedente e passano direttamente alla successiva con la stessa disinvolta sicumera. Se poi la nuova idea è più conveniente della vecchia, il sospetto è che siano pure opportunisti e voltagabbana. Mai visto uno che traslochi dal carro del vincitore a quello del perdente: si attende il referto del medico legale, poi si finge di non aver mai visto né votato né leccato il caro estinto.
Tutti fascisti, tutti antifascisti; tutti democristiani, tutti antidemocristiani; tutti craxiani, tutti anticraxiani; tutti dipietristi, tutti antidipietristi; tutti berlusconiani, tutti antiberlusconiani; tutti montiani, tutti antimontiani; tutti renziani, tutti antirenziani.
Negli anni 70, quando nell'intellighenzia andava di moda la sinistra, per chi non s'intruppava era difficile lavorare: Montanelli, il più grande giornalista di tutti i tempi, fu sbattuto fuori dal Corriere e dovette, a 68 anni, farsi un Giornale tutto suo. Subito messo all'indice, ghettizzato, snobbato, tacciato di essere fascista.



















































































































































































































































































Dov'é il centrodestra curnese?

Il centrodestra curnese si è gettato all’assalto per salire il carro del nuovo parroco. Dopo la prematura scomparsa del prevosto adesso arriva questo maturo sacerdote.
Gli auguriamo ed auguriamo a tutti i Curnesi che sappia essere migliore del suo antico conterraneo che lo precedette negli anni ‘50-’60.

Ovviamente questo «altarinizzare» il nuovo prevosto ha scopo puramente elettorale visto che quando non si hanno idee e il programma è quello di fregarsi l’un l’altro -in tre o quattro l’uno armato contro gli altri- ci si deve fissare su qualcosa o qualcuno di esterno. Parlare d’altro intanto che il clima si spera rinfreschi. Con la storia della moschea hanno fatto flop e coraggiosamente si ripetono: i Curnesi proprio non li hanno presi in considerazione. In consiglio comunale proprio non ci sanno stare: non sanno nemmeno accartocciare le bugie col cartoccio giusto per sbolognarle a verbale. Ah! i cani!. peccato che quelli di Vivere Curno abbiano provveduto a mettere in lista nientemeno che una professoressa universitaria con quattro figli e DUE cani DUE.



rincoglioniti nonostante l’esito del referendum.
Adesso (12 giugno) ci sono le elezioni  amministrative e poi ci saranno le politiche e quindi vedremo se il Paese sta col PD oppure col Fatto e i suoi viciniori.
Il ragionamento di Travaglio assembla tutta una serie di  slogan e battute estrapolate dai discorsi e scritti complessivi e costruisce un’immagine dell’elettore renziano caricaturale.

Travaglio sa benissimo che questo modo di fare giornalismo é profondamente disonesto come sa benissimo che la complessità e le mille sfumature della politica non si possono ridurre in B&N.
Lui costruisce un ragionamento calderone dentro cui getta tutto e tutti ed alla fine conclude come gli fa comodo.
Inoltre tutti quelli che poggi nel centrosinistra -allargato o ristretto che sia- dettano ricette senza che siano in grado di provarle perché governo Gentiloni ha una «data» maggioranza





























































































































































































































































































































































































































































































































































































































che nel Bersani D’Alema Orlando od Emiliano possono cambiare e quindi i conti debbono farsi con un Alfano e Verdini.



Poi, con comodo, quando il comunismo finì sotto il muro di Berlino, fu tutto un fiorire di anticomunisti fuori tempo massimo che intrepidamente ne combattevano il cadavere. “Che strano – scherzava il vecchio Indro – quando cercavo anticomunisti per il Giornale era un fuggifuggi. Ora che il comunismo non c'è più, tutti contro. A me i nemici piace combatterli da vivi. Da morti, mi vien voglia di abbracciarli”. La stessa che viene a noi ora che “Renzi chi?” è rimasto solo e si accinge a vincere le primarie di un partito che, nei sondaggi, è terzo su tre.
Iniziò il 6 dicembre Dario Franceschini, la cui fedeltà è sempre al di sotto di ogni sospetto: “Non consentiremo a Matteo di portarci a sbattere contro il muro”. Napolitano, che ha seppellito ben altri cadaveri, lo liquidò sprezzante: “L'idea di Renzi di votare subito è tecnicamente incomprensibile”. A Vincenzo De Luca, Matteo parve tutt'a un botto “strafottente” e autore di “riforme demenziali”. Ed ecco Andrea Orlando: mai un gemito, un vagito, un pigolio contro Renzi per tre anni, poi il ruggito del coniglio: “Troppi errori, voglio ricostruire il Pd” (e chissà dov'era mentre si facevano gli errori e si polverizzava il Pd col suo voto).
Sergio Staino, incautamente promosso da Renzi a direttore dellUnità, gli dà del “cafone”. Nel fuggifuggi generale non tutti notano il consigliere economico Filippo Taddei che lascia il Nazareno in macerie per i “troppi errori: non c'è stato il cambiamento radicale promesso”, anzi “è passata l'idea di un Pd più empatico con i forti che con i deboli” (l'avesse detto quando l'amico era lingua in bocca con Marchionne, Boccia, Briatore & C. sarebbe stato meglio). Repubblica, turborenziana fino al 4 dicembre pomeriggio, inverte la rotta con agile piroetta in serata con Ezio Mauro (Renzi è un “populista”), Stefano Folli (“Matteo esca dalla nebbia” di un “sistema di potere famelico, spregiudicato e del tutto privo di etica pubblica”) e Francesco Merlo (“bullo bellimbusto”, “pacchiano”, “potente spavaldo gonfio di boria”, “scarafaggio”). Galli della Loggia, sul Corriere, ora che ha perso lo trova “insopportabilmente antipatico”.
I prodian-renziani passano armi e bagagli con Orlando. E Sala, il candidato sindaco più a destra di Milano travestito da Renzi e Pisapia nell'alfiere della sinistra? Disperso. Dice: “Alle primarie non mi schiero”. Ah però. Poi firma su Repubblica un appello che sa tanto di fuga con un altro renziano intiepidito, Chiamparino: “Caro Matteo, cambia mare se vuoi restare capitano” (qualunque cosa voglia dire). Restava giusto il Foglio, con Stanlio e Ollio al secolo Cerasa e Ferrara a contendersi le grazie di Matteo. Ma stanno cedendo anche loro. Cerasa scopre che Renzi “rincorre grillini e salviniani sul ridicolo terreno dell'antieuropeismo”, dunque non deve più governare, perché ora si porta molto Gentiloni: il prossimo governo “in nome della mediazione che rottama la rottamazione non potrà che essere affidato a leader affidabili ma con poco consenso”, mentre il prossimo leader Pd dovrà “fare ciò che non ha avuto la forza di fare fino in fondo negli ultimi 4 anni: il segretario di un partito destinato a condizionare il governo più con le idee che col carisma”. Ferrara resiste un po' alla tentazione di buttarsi sul nuovo premier come su tutti gli altri, da Craxi ad Andreotti, da B. a D'Alema, da Amato a B., da B. a Monti, da Letta a Renzi: “Elezioni subito, non si sospende la democrazia”. Poi inizia a tentennare e ora si capisce benissimo che ama Gentiloni. Perciò, finalmente soli, siamo tentati di passare con Renzi. È vero che gli sono rimasti Scalfarie mezzo Ferrara. Ma queste, com'è noto, sono due aggravanti.
































































Non ci vuole molto a capire che coi 4-5 galli nel pollaio aggressivamente pronti a porre la propria candidatura a sindaco non è una buona partenza. Anche l’idea di  un «papa straniero» come candidato sindaco vale a dire un ingegnere curno/bonatese di via Marconi che collabora con la giunta di Martinengo come assessore esterno non sia in primis gradita proprio al... candidato stesso: basta che legga quel che dicono e scrivono per scappare a gambe levate.

Normalmente succede che le opposizioni sono quelle che per prime presentano il candidato in alternativa alla lista di governo ma la discesa in campo dei pentastellati e l’immediato fallimento da parte del loro ostretrico (fallimento facilmente prevedibile) e la sua idea di mettere insieme una lista eterogenea la dice lunga sul casino che agita i contendenti della Gamba.
Anche se non crediamo a una virgola di quel che dichiarano ai giornali -a Bergamo Post in primis- noi restiamo del parere che stiano concretamente cercando di fare una lista unitaria qualsiasi pur di presentarsi all’elettorato con una «unità» formale salvo poi  finire in una marea di litigi come già accadde con la lista Gandolfi.

Ancora pochi giorni poi dovranno scoprire le carte e ne vedremo delle belle. Non è detto che il centrosinistra nazionale non riesca nella difficile impresa di farvi vincere: in genere nel farsi del male ci riescono benissimo.
Di una cosa ha bisogno Curno: di gente onesta sincera e coadiuvante. Cercatevela.





Il secondo più intelligente del primo ed entrambi pericolosi.

E se gli iscritti del PD in maggioranza hanno deciso di licenziare  un Letta perché non sopportavano più quel tira&molla che manteneva inchiodato il Paese, forse un modesto scribacchino dovrebbe  farsene una ragione. Come dovrebbe farsene una ragione se al referendum il 40% ha detto SI.
Travaglio si domandi com’è che il 68% degli iscritti al PD -che non sono una modesta minoranza- l’abbiano scelto fregandosene del bulletto. Si domandi Travaglio se davvero tutti questi elettori del PD facciano parte di una «casta» di fortunati che ormai é già fuori dalla crisi e quindi si gode già il sol dell’avvenir mentre gli altri sono ancora all’addiaccio. Si domandi se per caso in questo Paese ci siano ancora sindacati  pezzi di istituzione gruppi colturali ed economici a cui piaccia fin troppo la palcia attuale proprio e quindi il loro obiettivo sia quello di preservarla. Non è questione di fare del vittimismo ma in questo Paese finalmente un numero consistente di cittadini ha scelto di «darsi» un governo piuttosto che «subire» un governo ricattato da mille mani .
Indubbiamente  la situazione attuale  va benissimo anche a Travaglio perché rende  professionalmente: gli da quotidianamente più occasioni per fare pezzi (di merda) e vendere o apparire in TV. Ma non per questo il suo giornale si schioda dalle mille copie quotidiane: segno che il prodotto non vale più di tanto e tira poco.
I 266.726 iscritti al PD che hanno votato alle primarie sanno benissimo e vorrebbero benissimo che il Paese funzionasse meglio e l’insieme pure. Intanto tirano la carretta senza sputare in faccia a nessuno per guadagnarsi la pagnotta.