schermata di 1600 pixels 
















NUMERO 349



























































Scuola superiore, licei ancora 'vietati' ai figli degli operai. Perché?

di Alex Corlazzoli | 5 aprile 2017

I licei ai figli dei ricchi, i professionali a quelli degli operai. Ecco il manifesto del fallimento della nostra scuola. Lasciamo parlare  i dati raccolti daAlmaDiploma su 261 istituti per un totale di 43.171 studenti di Lazio, Lombardia, Emilia Romagna, Liguria, Puglia, Toscana, Trentino, Sicilia, Veneto e altre sette regioni.
Solo un liceale su sei proviene da una famiglia operaia. Nel 2016 al Classico si sono diplomati solo l'8,7% di ragazzi figli di impiegati o di genitori che stanno alla catena di montaggio a fronte di un 45% di figli di professionisti, dirigenti, docenti universitari e imprenditori. Allo Scientifico sono usciti il 13,1% di ragazzi che provengono dalle classi sociali più povere. Ma non basta. Se andiamo a vedere la questione ripetenti scopriamo che il 30% di chi viene bocciato al liceo due o più volte appartiene alle famiglie operaie contro il 17% della classe elevata.
Tenterò di non scomodare per la gioia dei miei detrattori Lettera ad una professoressa di don Lorenzo Milani ma bastano questi numeri per farsi qualche domanda: perché Angela, figlia di un disoccupato e di una mamma che si arrabatta con qualche lavoro domiciliare, che a casa non ha nemmeno la libreria ma che di fronte ad una tavolozza sa dipingere meglio di tutti gli altri, non andrà al liceo classico? Perché quel liceo è rimasto lo stesso di quando lo frequentavo io, figlio d'operai bocciato perché raccoglievo le firme contro la figlia dell'avvocato che arrivava un'ora più tardi perché andava dall'estetista? Perché è rimasto lo stesso liceo del professor Rossi, dirigente che impettito diceva “Solo da qui uscirà la classe dirigente”?



I figli badanti dei genitori sono un milione

di Lorenzo Salvia

Un milione di italiani assistono i genitori non più autosufficienti: come si faceva una volta, quando gli anziani in casa erano la regola. Come si fa ancora adesso, incastrando tutti gli impegni di una vita complicata. Ora c'è una proposta di legge per garantire loro i contributi della pensione.
Eroi per casa. Figli che prendono un pezzo della loro vita e lo regalano ai genitori ormai anziani. Come si faceva una volta, quando i vecchietti in casa erano la regola e nessuno la metteva in discussione. Come si fa ancora adesso, in silenzio e incastrando tutti gli impegni di una vita che nel frattempo è diventata più complicata. Sono storie di amore e dedizione quelle dei parenti badanti. Storie di sacrifici e rinunce, a volte di eroismo, spesso di sofferenza. In silenzio anche questa, ma sarebbe meglio di no.
Un milione
Le stime dicono che sono almeno un milione gli italiani che dedicano un pezzo importante delle loro giornate




Anziani: pensare al futuro con meno egoismo

Aprendo la pagina del quotidiano in un’altra finestra la si può leggere agevolmente. Viene dal Corriere della Sera di giovedi 06 aprile 2017.



Il welfare spezzatino

Chiara Saraceno

Il rapporto sulla spesa pubblica della Corte dei Conti offre utili elementi per capire se la crisi sia stata colta dai diversi governi che si sono avvicendati come una occasione per modificare, in direzione di una maggiore efficienza ed equità, le tradizionali caratteristiche di frammentazione categoriale, squilibrio a favore delle pensioni, sottosviluppo dei servizi, marginalità dei sostegni per le famiglie e ancor più per chi si trova in povertà, insieme ad ampie differenze territoriali.
Il rapporto mostra come negli ultimi anni, in cui la spesa sociale è un po' aumentata per far fronte sia all'invecchiamento della popolazione sia all'impoverimento di ampi strati sociali, si siano in effetti innescati processi di decategorializzazione, prima nel sistema pensionistico, più recentemente nel sistema di protezione dalla disoccupazione. E il sostegno a chi si trova in povertà è finalmente entrato in modo strutturale nel bilancio. Tuttavia la spesa sociale continua a mantenere un forte sbilanciamento a favore della popolazione anziana, che assorbe complessivamente l'82% dei trasferimenti di
























































































































Mettiamo nella stessa pagina del blog tre pezzi per farci un ragionamento e concluderlo. Non trattiamo in questa sede una parte importante già presente nella pagina del Corriere.

L’altro giorno parlando con un anziano 82enne della Fara (la zona di Città Alta antistante sant’Agostino) questi «precisava» che lui non era di «città alta» ma della «Fara» che era considerata una zona esterna e periferica a città alta (da Piazza delle Scarpe alla Cittadella), considerata al tempo della sua gioventù l’unica e vera «città». Oggi ci sono neolaureati triennali dell’università di via Salvecchio che non sanno dove si trovi la Colombina di Borgo Canale.

Un discreto benessere, un costume vitale sensato, una grande intelligenza meglio se accompagnata anche da una solida cultura -basta quella dei nostri anziani- un servizio sanitario tutto sommato efficace oggi consentono una vita che si approssima ai 90 anni.

Per diventare grandi anziani occorre imparare presumibilmente da piccoli: e non è detto che ne abbiamo avuta voglia.
Mentre diventiamo (grandi) anziani dobbiamo imparare anche a spogliarci  delle ricchezzeeconomiche che abbiamo fortunatamente









































































































































































































































































































































































































































































































reddito previdenziali e assistenziali.
È vero, come osserva il Rapporto, che non solo vi sono ancora oggi anziani poveri, ma che ciò tornerà ad essere ancora più vero in futuro, stante le carriere lavorative e contributive interrotte e parziali cui è avviata una importante parte delle generazioni oggi più giovani. Ma ciò dovrebbe indurre a ripensare complessivamente la questione dell'intreccio tra previdenza e assistenza e delle politiche di contrasto alla povertà lungo tutto il ciclo di vita. Ciò che ancora manca nonostante le positive riforme nel campo del sostegno a chi perde il lavoro e l' introduzione di un embrione di garanzia di reddito per i poveri.
Alcune iniziative recenti, inoltre, hanno rafforzato sia il carattere frammentario e categoriale del nostro sistema di welfare, sia le differenze territoriali. Basti pensare che tutto l'aumento della spesa assistenziale è dovuto agli 80 euro ai lavoratori dipendenti: una misura non solo categoriale e basata sul reddito individuale e non famigliare, ma che esclude anche i più poveri entro quella categoria, i cosiddetti incapienti. Analogamente, l'estensione e aumento della quattordicesima per i pensionati a basso reddito individua una categoria di “poveri meritevoli”.

Anche nel campo delle politiche di sostegno alle famiglie, invece di razionalizzare e rendere più equa ed efficace la spesa, mettendo ordine e unificando gli eterogenei istituti esistenti (assegno al nucleo famigliare, assegno per il terzo figlio, detrazioni fiscali per figli a carico) si è preferito aumentare la frammentazione con i bonus bebè e bonus mamme.
Quanto alla spesa per servizi (inclusi quelli sanitari, che ne costituiscono la parte maggiore), il rapporto rileva che fino al 2010 ha avuto un andamento abbastanza simile ai trasferimenti in denaro, mentre successivamente si assiste ad una stasi, se non diminuzione della spesa per servizi, accentuando quindi i limiti storici del welfare italiano.
Il fenomeno è particolarmente evidente, e drammatico, nei suoi effetti sui servizi sociali, di cui sono responsabili gli enti locali. L'ammontare del Fondo sociale, infatti, dopo essere stato praticamente azzerato, è stato ora rifinanziato, ma per la metà dello stanziamento del 2009. Contestualmente, inoltre, con l'eliminazione della Tasi sulla prima casa, è stata tolta ai Comuni la più importante forma di finanziamento proprio. Questa riduzione nell'investimento in servizi sociali da un lato colpisce particolarmente i ceti piú poveri, che non possono rivolgersi al mercato, e le donne, che continuano a rimanere le principali responsabili dei bisogni di cura in famiglia. Dall'altro consolida le differenze territoriali. Rimangono quindi tutte le condizioni per un welfare sia socialmente che territorialmente diseguale.

















































































Forse dobbiamo pensare che i figli dei ricchi, dei dirigenti, dei professori abbiano un DNA diverso da quello di chi nasce da una commessa del supermercato o di un operaio della Piaggio? Forse per loro ci sono solo “certe” scuole e altre sono riservate ai borghesi?
Ai miei ragazzi faccio studiare l'articolo tre della Costituzione: “… E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese” perché sappiano che anche se son figli di operai hanno gli stessi diritti di chi ha in casa babbo e mamma con due lauree appese alla parete a far bella mostra.
Eppure i numeri di AlmaDiploma ci raccontano un'altra storia.
















































































































































































































Ci dicono che alla fine il figlio del dottore fa il dottore così come il figlio dell'avvocato farà l'avvocato.
Il 43% dei laureati in Medicina proviene da classi sociali elevate e in generale il 34% degli iscritti a corsi di laurea magistrale a ciclo unico. I figli di operai e impiegati rappresentano solo il 15% dei laureati magistrali a ciclo unico contro un 34% costituito da figli della classe sociale più elevata. Secondo l'Annuario Statistico italiano nel 1963 fra gli studenti universitari i figli di papà erano l'86,5%. I figli dei lavoratori dipendenti il 13,5%. Fra i laureati: figli di papà 91,9%, figli di lavoratori dipendenti 8,1%. Fatte le giuste proporzioni possiamo dire che è cambiato ben poco.
Una scuola che continua a dividere, a mettere i figli di papà da una parte e i figli degli operai dall'altra è una scuola che è fallita, che non ha saputo essere “aperta a tutti”, che non ha realizzato alcun miglioramento della società, che non ha puntato al progresso ma solo allo status quo. Appositamente non ho citato don Milani in questo periodo in cui tutti (persino Paola Mastrocola domenica scorsa sul Sole 24 ore) parlano di lui, anche a sproposito, ma dopo aver letto questi dati, riprendete in mano Lettera ad una professoressa.
Servirà a capire che la scuola ha davvero fallito il suo compito.




(e nottate) ad assistere parenti non più autosufficienti. Un numero simile a quello delle badanti di professione, tra regolari e in nero. Seduti in salotto o vicino al letto, passano ore e ore con i genitori che la malattia o anche solo l'età ha fatto tornare bambini. Cucinano, li aiutano a lavarsi, a vestirsi, controllano le medicine, li accompagnano dal dottore. Proprio come un tempo quella mamma e quel papà facevano con loro. Uno scambio di ruoli, quasi un cerchio che si chiude.


accumulato per garantirci la migliore qualità della vita possibile.
Sordità cecità incapacità ad usare i più semplici e necessari elettrodomestici (dal cellulare alla lavatrice passando per il forno) riducono notevolmente la qualità della vita degli anziani e quando vi si aggiungono problemi di scarsa mobilità e malattia, occorrono soccorsi.

Il problema del «costo della vita» per un anziano e di chi se ne fa carico (economico ed emotivo) viene spiegato nei tre articoli della pagina ma nel lungo discorso sull’welfare e sul benessere minuto degli anziani viene spesso dimenticato che sono il gruppo sociale economicamente messo meglio dei loro figli e nipoti.
L’ambizione dell’anziano di lasciare beni  in eredità si scontra  spesso con l’esidenza di disporre di «soldi» per mantenere una badante, per servizi sanitari aggiuntivi o integrativi del già ricevuto.
Accade spesso che gli anziani "massacrino" inconsapevolmente  le figlie costrette a combinare la presenza organizzazione della rispettiva famiglia con la cura del genitore.
A limitare l’economia delle famiglie giovani sottraendo risorse per loro.
In cambio di una eredità -una casa o qualche soldo- che  sarebbe meglio venissero impiegati «prima» della loro morte. Per migliorare la loro vita e per non danneggiare quella delle figlie. E dei figli maschi.