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NUMERO 334

























































L'intervista.
La leader della Cgil Susanna Camusso :
“Sì ai voucher se ad usarli saranno solo le famiglie All'Inps l'esclusiva di vendita”

«Non è con un maquillage legislativo che si può pensare di risolvere il problema dei voucher. Noi ne chiediamo l'abrogazione, chiediamo la cancellazione di una forma di precarietà», dice Susanna Camusso, segretaria generale della Cgil in questa intervista in cui sostiene che per evitare il referendum i buoni lavoro dovrebbero poter essere usati «solo dalle famiglie, acquistati all'Inps e non in tabaccheria, per retribuire, infine, la prestazione occasionale e accessoria di disoccupati di lunga durata, pensionati e studenti». Questa è la posizione della Cgil alla vigilia della riunione della Commissione Lavoro della Camera che dovrebbe stilare la nuova proposta di legge condivisa dal governo. Il quale dovrà stabilire la data del voto entro il 28 marzo.

Perché considera insufficiente una proposta che limiterà di molto l'uso e l'abuso dei voucher?
«Perché non c'è alcun abuso. Chi lo racconta dice il falso, bisogna sfatare questa diceria. Le aziende che utilizzano i voucher lo fanno in maniera legale. E sta proprio qui la ragione della nostra iniziativa referendaria. Se fossimo davanti ad un abuso non avremmo chiesto l'abrogazione, ma il contrasto e la penalizzazione dei comportamenti illeciti. Ci troviamo di fronte, invece, all'ennesima legge che permette la degradazione del lavoro, che sostituisce lavoro ordinario e contrattato con i voucher, l'ultimo gradino della precarietà.
Pensi solo al fatto che tra le categorie per le quali sarebbero utilizzabili i voucher, secondo la proposta che sta maturando in Commissione, ci sono i disabili: è una cosa che fa venire i brividi ma che rappresenta un'ulteriore conferma di una cultura del lavoro che punta alla precarietà non all'inclusione, alla partecipazione e alla qualità. Le aziende devono competere solo abbassando i costi o svolgere anche una funzione di responsabilità sociale?
Pensiamo agli appalti che riguardano tutti i settori, non solo l'edilizia. L'impresa appaltatrice non può disinteressarsi di  ciò che accade lungo











Il Congresso (nazionale) non é previsto

Forse chi ha immaginato l'architettura organizzativa del Pd ha rivolto il suo pensiero al “cavaliere inesistente” di Italo Calvino: una armatura vuota e per questo perfetta. L'allegoria dello scrittore, affascinante nella sua fantasia, male si adatta però alla realtà della politica. Il Partito democratico presenta una anomalia organizzativa che non ha pari tra i grandi partiti europei: non prevede un congresso nazionale. Se si cerca la parola congresso nel suo statuto lo si ritrova soltanto per i livelli locali. Non è previsto un congresso nazionale dove si discutano, per giorni, le varie posizioni e si votino documenti e dirigenti.
Quella che viene chiamata convenzione nazionale non serve altro che a certificare il numero minimo di voti ottenuti nei circoli locali da ciascun candidato al fine di accedere alle primarie.
Tutto si riduce al momento delle primarie, al voto per un candidato. Di dibattiti corali e solenni nemmeno l'ombra. Eppure la storia dei partiti è contrassegnata da momenti collettivi, teatri di scontri e svolte. Come separare l'accettazione della democrazia da parte della Spd tedesca dal “mitico” congresso di Bad Godesberg? O il distacco del Pci dal comunismo? O ancora, il congresso di An a Fiuggi nel 1995? Sono momenti rituali, carichi di emotività e di passione politica, dove vengono sanciti passaggi decisivi.
Tutto questo non può verificarsi nel Pd per la semplice ragione che il “congresso nazionale” non esiste, è un'araba fenice. Eppure si parla di questa entità mitica: in realtà, siamo di fronte a un “congresso inesistente”. In nessun luogo i contendenti si incontreranno per presentare a una platea di delegati i loro programmi.
E questo nonostante che i partiti da cui nacque il Pd — Ds e Margherita — vedessero in questa assise il momento più importante della vita del partito. Nel 2007, infatti, alla vigilia del congresso del Lingotto, come segnala una ricerca di Aldo Di Virgilio e Paola Bordandini, i delegati dei due partiti consideravano l'assise nazionale cruciale per la definizione della linea politica e per la discussione delle mozioni, rispettivamente, 















































































































Sono in vigore da 13 anni, sono alla soglia del referendum abrogativo, consistono in un malloppo di 134 milioni i buoni venduti nel 2016 , adesso dovremmo essere al capolinea del vouchers. Il 28 maggio 2017.
Pare che l’unica vera modifica  che sarà applicata è che da un valore unico di 10€ ne usciranno due versioni, tra cui una da 15 €. Per il resto siccome siamo in Italia, non cambierà nulla o cambierà pochissimo.
Messi come siamo in Italia e come dribblano gli italiani, c’è poco da fare: assumersi la responsabilità di cancellarli anche se alla luce del risultato del 4 dicembre u.s., gli italiani sceglieranno la palta alla chiarezza.
Meglio poco che nulla.
Salvo lamentarsi che poi «i nigher»  sottraggono lavoro.
Avessimo la certezza di un utilizzo corretto dei vouchers (cioè: un’ora di lavoro = un vouchers) potremmo accettare di bonificare tutto ai 15 euro migliorando la prestazione lavorativa ai dieci e la trattenuta pensionistica assicurativa a cinque.
Perdere di colpo 134 milioni di ore di lavoro però è una batosta che il paese non può permettersi.
Il problema è che (quasi sicuramente) dietro ogni buono ci siano   altre ore di lavoro pagate in nero e pagate assai meno.
Del resto il sistema produttivo meno aperto alla concorrenza internazionale  e alla globalizzazione ha scelto la via dei vouchers proprio perché con la moneta unica l’euro- non essendo più possibile ricostituire i margini con la svalutazione monetaria, adottando il vouchers rimetteva in piedi un sistema tutto sommato smeplice per ridurre la forza lavoro italiana alla stregua di quella cinese o simile.
Manodopera usa e getta da pagare il meno possibile.
E laddove gli italiani non ci stessero, sotto cogli immigrati da mantenere clandestini il più a lungo possibile.
Dopo tredici anni siamo arrivati dentro un groviglio di contraddizioni che o si scioglie (male) con un referendum


In teoria, ma solo in teoria, in ogni circolo del PD dovrebbe essere convocato una assemblea  a cui dovrebbero essere invitati i rappresentanti dei tre candidati alla segreteria nazionale per esporre le proprie idee, sentire le idee dei presenti, per consentire a questi di esprimere il 30 aprile la scelta  alle primarie. Non accade e non può accadere perché i tempi  per organizzare questo rituale sarebbero tali - o troppo brevi o troppo lunghi- ragion per cui verrebbe meno lo scopo dell’incontro.
E così il 30 aprile 2017 chi sarà disposto a versare due euro (perché non 5?) voterà per scegliere il candidato segretario prossimo venturo del PD (e i componenti l’assemblea nazionale) e già da questa «universalità» nella possibile partecipazione -dopo gli episodi di Torino e Roma nelle elezioni del sindaco-  ne uscirà un gran casino.
Nel 2013 ai congressi locali del PD parteciparono  all’incirca 300 mila iscritti e alle primarie parteciparono quasi dieci volte di più. Dalle dimissioni del segretario Bersani alla rielezione  del neo segretario Renzi trascorsero otto mesi.
Terminata la breve stagione del bipolarismo l’idea di arrivare alla scelta

























































































































































































































































































































































































































































































































la filiera produttiva e lasciare il lavoratore da solo. Di questo le persone normali parlano e si preoccupano, altrimenti non avremmo raccolto più di tre milioni di firme».
Ma se è così, allora, perché la vostra federazione dei pensionati ha utilizzato i voucher?
«Li hanno usati i pensionati, non sono stati utilizzati per sostituire lavoro contrattualizzato, mi pare una bella differenza. Quando l'età media dei voucheristi scende a 36 anni vuol dire che qualcosa è accaduto, che c'è stata un'ulteriore discesa nella condizione della precarietà».
Con questa posizione non rischiate di trasformare quella che oggi appare una parziale vittoria (la legge sui voucher sta cambiando) con una possibile sconfitta al referendum, visto che non sarà facile raggiungere il quorum?
«Guardi, noi non abbiamo scelto a caso né i temi, né lo strumento. I voucher, come gli appalti, sono diventati il simbolo questo progressivo degrado del lavoro. Le persone hanno ben colto la contraddizione tra ciò che veniva raccontato e ciò che realmente accadeva e accade. Per questo sono convinta che il quorum si raggiungerà, come d'altra parte è stato nel caso del referendum sull'acqua pubblica, e non sottovaluterei la larga partecipazione al referendum costituzionale».
Cosa si aspetta dal governo?
«Che fissi il referendum, aspettiamo la data da 46 giorni. E mi attengo alla legge della Repubblica secondo cui il referendum può essere annullato solo se interviene una legge che colga lo spirito della richiesta del comitato promotore, sia per i voucher sia per sulla responsabilità solidale delle imprese».
Il governo ha fissato  per il 28 maggio la data del referendum.
Il governo pensa di ridurre il costo del lavoro: meglio una riduzione dell'Irpef o un taglio ai contributi?
«Il nostro è un Paese in una evidente condizione di iniquità fiscale sotto il profilo della progressività. Servirebbe un ridisegno organico del carico fiscale mentre le ultime esperienze di riduzione dei contributi non mi sembrano affatto un successo: 18 miliardi di euro per aumentare dello 0,2 per cento il tasso di occupazione…».
Dunque un taglio dell'Irpef?
«Bisogna ricostruire le scale della progressività fiscale facendo pagare di più a chi ha di più, con una tassa sui patrimoni, e riducendo le aliquote a chi sta in basso».
Ha sentito qualche buona idea dal Lingotto dall'ex premier Renzi?
«Francamente per quello che è stato riportato, ho sentito la ripetizione di molte vecchie idee».
E dagli altri candidati alla leadership del Pd?
«In questo complesso arcipelago che si sta definendo intorno al Pd trovo che il tema lavoro sia la novità. Da Pisapia al Mdp è in corso una riflessione su quanto proprio il lavoro sia stato determinante ad allungare la distanza tra la sinistra e gli elettori».

Roberto Mania / La Repubblica



altrimenti  sarà un altra legnata soprattutto ai giovani. La situazione concreta non è sempre quella prospettata da Camusso, e questo ci meraviglia moltissimo perché dicono numerose inchieste giornalistiche.Le cose non stanno «bene» come dice Camusso:»«...non c'è alcun abuso.




























































nell'80-90 e nel 65-75 per cento dei casi.Di tutto questo non c'è più traccia nel Pd. Il dibattito non ha una sede di partito dove esprimersi. Ogni candidato fa gara a sé, senza incontrarsi o scontrarsi con gli altri aspiranti segretari. Tutto è rimandato alle primarie. Il partito è esautorato della sua funzione propria di scelta del leader. Ci penseranno i cittadini. La modalità di scelta della leadership introduce tre problemi: la personalizzazione esasperata della competizione, la diminuzione dello spazio per la deliberazione collettiva e la creazione del consenso, la sottovalutazione della democrazia delegata. Sono aspetti connessi e vanno tutti in una direzione, quella plebiscitaria, delle assemblee che applaudono più o meno contente il vincitore, senza farsi distrarre da tanti discorsi. Questi problemi affiorano in molti partiti nelle democrazie occidentali. Ma non c'è alcun gaudio nel mal comune. Lasciare briglia sciolta a queste tendenze significa fare il gioco dei populisti.
Il Pd non ha fatto tesoro dell'esperienza delle precedenti primarie quando le tensioni accumulate sono poi venute a galla con effetti dirompenti; non ha compreso che solo un processo di scelta collettiva, magari divisiva ma non a scompartimenti stagni come accade ora quando i contendenti si incontreranno, semmai, solo in uno studio tv, potrebbe ridurre il tasso di conflittualità interna. Difficile invocare serenità e condivisione quando il processo decisionale semina tempesta. Ma c'è dell'altro. L'assenza di un momento collettivo, da sempre rappresentato dal congresso nazionale, non solo depaupera i membri del partito di una opportunità di identificazione nel progetto della leadership, ma rende sempre più atomizzata la scelta politica. Le democrazie non vivono solo nel momento elettorale. Vivono se la polis non è deserta, abbandonata perché è diventato inutile incontrarsi e confrontarsi. Perché basta un clic. Ogni passo, anche involontario, verso questa direzione impoverisce la democrazia.

Piero Ignazi /La Repubblica












































































































































































































































































Chi lo racconta dice il falso, bisogna sfatare questa diceria. Le aziende che utilizzano i voucher lo fanno in maniera legale. E sta proprio qui la ragione della nostra iniziativa referendaria«. 
Togliamoci da tinello rosa della nonna e andiamo in un campo di pomodori. Il cittadino consumatore che va al supermercato e compera tre scatole di polpa di pomodoro per 1200 gr al prezzo (pieno, nevvero!?) di 1,40 euro non fa i conti di come si distribuiranno a ritroso quell’1,40 lungo tutti gli operatori che l’hanno manipolato.
In quella filiera, per arrivare a quel piccolissimo prezzo, gran parte dello stesso finisce non in tasca al produttore ed ai lavoratori ma a tutt’altra gente. I braccianti che raccolgono i pomodori vengono retribuiti con i buoni lavoro da 10 euro. Di cui 7,50 vanno al bracciante, 2,50 all'Inps. Ma invece che farli lavorare per sei ore e mezza, come prevede la legge, l'azienda li fa stare sui campi per 10, 12 ore. Li paga per 3 ore, dandogli 30 euro, ma li fanno lavorare per 12. Una truffa ai danni dei lavoratori, ma anche dello Stato". Alla fine il costo del lavoro per raccogliere un chilo di pomodori s’aggira sui 3-5 centesimi di euro. Contro i 1400 centesimi pagati dal cittadino civilmente  vestito consumatore.
E la differenza dove va? Adesso pensare che tutto questo si possa sciogliere di botto con un SI/NO è possibile. Poi?.



del segretario nazionale con un metodo  appunto - da tempi del bipolarismo- lascia assai perplessi.
A queste scadenze se ne sommano altre due: l’aggiustamento dei conti per 3,4 miliardi e le elezioni amministrative che la minoranza utilizzerà per infliggere una nuova batosta al segretario (dato ormai per certo: Renzi dopo Renzi).
Fuori dubbio che la coppia Bersani&D’Alema coi loro turibolari in questa fase non appoggeranno l’operazione Pisapia ed accentueranno la carica su Orlando ed Emiliano proprio per indebolire ulteriormente Renzi, alla faccia degli interessi del Paese e dell’Ue.
Ma una sconfitta elettorale di Renzi& Renziani alle prossime amministrative consegnerà il Paese nelle mani di Bersani&D’Alema con l’onere do governare il paese e portarlo stavolta alle politiche. A vendetta seguirà vendetta?
Coi penstastellati al governo e la casta di sinistra rimasta in quattro inutili gatti in Parlamento. E il PD muto e tramortito. Non è detto che accada  nel popolo di centrosinistra qualcosa di simile a quanto ha giocato il centrodestra coi pentastellati a Torino e Roma: votare i 5S pur di mandare a casa chi ha sfracellato il PD.
C’è solo da sperare in un generale rinsavimento. Di cui ormai dubito assai.