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NUMERO 325 |
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la regina della politica politicante schieffeggia il fiorentino
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soluzioni di comodo da sbaraccare presto in caso di sconfitta ?
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cara Lucia Annunziata la politica non é solo quella del giorno o del giorno prima
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RENZI:La nemesi del complotto
Matteo Renzi è arrivato al punto in cui un politico non dovrebbe mai
arrivare: il "Ci vogliono far fuori", il "disegno evidente", il "non ci
faremo processare dai giornali". Parole pronunciate nel corso della
intervista a Lilli Gruber. Al netto della mia parzialità dovuta
all'apparentamento dell'Huffington Post con l'Espresso e con l'intero
Gruppo Espresso chiamato in causa da Renzi nella persona del
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Scommettiamo che l’idea dei maggiorenti del PD è quella di mandare in segreteria e alla PdC un Orlando o uno Speranza?
Roberto Speranza è sostanzialmente un signor nessuno classe 1979,
cresciuto e vissuto sempre di politica. In Parlamento verrà eletto
capogruppo del gruppo parlamentare PD con 200 voti a fonte di 83 schede
bianche e nulle. Non proprio un plebiscito. Situazione che lui scioglie
con le dimissioni il 15 aprile 2015 da capogruppo PD alla Camera in
dissenso con la decisione del Governo Renzi di porre la fiducia sulla
nuova legge elettorale, l'Italicum. Fino allora l’unico incarico di
governo furono due anni di assessore all’urbanistica del comune di
Potenza.Federico Orlando, classe 1969, pure lui politico di carriera,
vanta una discreta consiliatura nel comune spezzino e poi -dopo diversi
incarichi organizzativi nel partito- diventa ministro dell'ambiente e
della tutela del territorio e del mare del Governo Letta, governo
sostenuto da PD, PdL e Scelta Civica. Breve incarico che
produrrà l’autorizzazione al funzionamento della centrale a ciclo
combinato di La Spezia e la legge sulle emergenze ambientali
della Terra dei fuochi e dell'Ilva che fornisce nuovi strumenti alla
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Non abbiamo mai considerato Lucia Annunziata una grande giornalista
erede di Enzo Biagi o di Sergio Zavoli perché il suo modo di lavorare è
quello di stare appiccicata alla politica politicante del quotidiano o
al massimo del
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giorno prima. Classico metodo del giornalista nato nelle televisioni
dove tutto si consuma al momento dello scodellamento e poi tutto si
dimentica per il nuovo che arriva. Mi metto anch’io «al netto
della mia parzialità» verso il fiorentino e contro chi fa del
giornalismo condendo ogni articolo di quelle generose gocce di
capsaicina per renderlo più appetibile pur senza granche di contenuto.
Il ritratto che Lucia Annunziata fa del fiorentino ha una sua
controfaccia: lo si può scrivere ogni volta che cade un governo o un
segretario di partito. Il solito coccodrillo che aggiornato nei
nomi di volta in volta, funziona sempre bene.
Che il fiorentino non abbia preso bene la legnata del 04 dicembre è
ovvio ed evidente ma Lucia Annunziata dimentica che dopo quella botta
doveva andare a casa la maggioranza del Parlamento che aveva votato i
provvedimenti cassati dagli Italiani.
Come non si sarebbe dovuto più presentare in Parlamento un certo
Napolitano, deus ex machina del governo Letta e Renzi e delle riforme
cassate.
L’Italia e gli italiani sono abituati a scrollarsi di dossi le proprie
responsabilità e scaricarle sul vitello sacrificale primo a
disposizione. Scrive Lucia Annunziata che «A riprova di quanto
difficile e arbitrario sia stato il percorso del Pd renziano, fra cambi
di casacche interne, alleanze
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suo editore, se questa è la linea con cui l'ex premier va al "contrattacco" è piuttosto fragile.
C'è intanto qualcosa di triste nel vedere un politico così giovane
arrivare così presto a un classico della vecchia politica. Meglio: un
classico dell'invecchiamento in politica. Non c'è mai stato infatti
segno migliore del concludersi di un ciclo personale e di partito della
famosa spiegazione dell'altro da sé.
La caduta di Andreotti spiegata con la vicenda dell'Achille Lauro, il
capolavoro di Bettino Craxi che della sua caduta fece una riscrittura
della Storia, seguito con passo di danza pochi anni dopo da Silvio
Berlusconi che trasformò in uno status quello del perseguitato
politico. La tentazione di evocare le forze oscure che tramano contro
le forze sane , è in verità una via d'uscita popolare in ogni stagione
e dentro l'intero arco costituzionale - la paranoia dei due anni di
D'Alema a Palazzo Chigi, il sospetto permanente del Professor Prodi nei
confronti dei suoi alleati interni, la Guerra intorno ai 101, la
rielezione di Napolitano e quella successive di Mattarella; fino ad
arrivare alla denuncia delle oscure resistenze come forma suprema
dell'analisi della quotidianità dentro il Movimento Cinque Stelle.
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Il
punto è che ogni volta che un politico o una forza politica arriva a
denunciare questo passaggio, sta in realtà - la storia lo prova -
affrontando una sconfitta. È quello che capita anche all'ex Premier. Ma
nel suo caso l'adozione di questa linea di difesa è talmente lontana da
tutto quello che ha fatto finora da essere essa stessa una indicazione.
Matteo Renzi si ritrova ad operare oggi in una situazione completamente
diversa da quella cui è stato fin qui abituato. Un habitat nuovo della
sconfitta, peggiorato anche rispetto a quello del dopo-referendum.
La strategia del ritorno di Renzi dopo il 4 dicembre è pavimentata di
molte buone intuizioni rivelatesi storte. La soluzione muscolare della
divisione interna al Pd si è ribaltata su sé stessa: usciti i dem,
infatti, la frattura politica interna si è riaperta di nuovo, come il
terremoto di questi mesi che continua a trasferirsi a faglie limitrofe.
A riprova, in Umbria come nel PD, della fragilità complessiva del
territorio. Il risentimento, la
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spurie
fra posizioni fra loro inconciliabili, scandali di voti alle ultime due
primarie. Complicazioni e rotture di una organizzazione che, sbandando
come un toro ferito, negli ultimi anni, anche prima di Renzi, aveva già
fregato Bersani, poi Letta, poi la Presidenza Prodi, e che ora arriva,
ultimo nella fila, a fregare anche Renzi.
Ma Lucia Annunziata non comprende che la politica italiana è sempre
dominata da un filo rosso: proteggere i garantiti e non appena il paese
respira un poco dalla perenne crisi in cui si rotola da 50 anni, ecco
che si fanno avanti quelli che vogliono cogliere l’occasione per
mettere mani sul potere. Lucia Annunziata dimentica che nei mille
giorni del governo Renzi l’Italia ha guadagnato pressochè un milione di
posti di lavoro permanenti e nel Paese sono stati spesi
«scandalosamente» ben 145 milioni di vouchers nel 2016. Che -se si
vuole prestare fede alle varie interpretazioni del dato numerico-
indicano altrettanti milioni di ore lavorate oppure -se è vero che
nascondono il doppio, triplo,..., quintuplo di ore effettive, siamo o
potremmo essere a 1450 milioni di ore effettivamente prestate. Medaglia
dalle due facce assai importanti in positivo e negativo. Se poi
coniughiamo i dati della ricchezza delle famiglie italiane coi
debiti privati e col debito pubblico, scopriamo una nazione in ottimo
stato di salute nonostante il 12 % di disoccupazione.
Il che andrebbe perlomeno spiegato.
Come andrebbe spiegato agli italiani il mistero per cui una Germania ed
USA con meno del 5% di disoccupazione hanno una crescita del 3% quando
«dovrebbero» andare a mille rispetto al nostro striminzito +0,9-1,0%.
Anche
tutta la polemica sul familismo renziano dimostra di dimenticare
quello che era il familismo dei vari Bersani o D’Alema meglio
dissimulato ma identico e certamente peggio. Non fu una forma di
«familismo» quello del duo citato nei confronti delle
nomine al MontePaschi che non pochi danni ha fatto al paese ed
allo stesso PD?
Non viene in mente a Lucia Annunziata una domanda semplice per
cui in Italia non appena un potente decade, subito si vedono volare i
corvi della giustizia e della politica? «Il possibile collasso del
sistema legato al PD» non è un lievito di padre renziano ma c’era e c’è
tutti i partiti. Mineo non le ricorda nulla assieme ad Alfano? Il
«gran ghetto di Rignano» in Puglia non le ricorda qualche domanda da
fare ad Emiliano e Vendola? E nella rossa Toscana quel gran casino che
é Prato e dintorni con Rossi presidente?
I «collassi italiani» si ripetono continuamente senza mai risolvere
nulla perchè non ci sono scelte politiche forti anche se spesso
sgradevoli a certi custodi di una ortodossia ben stipendiati.
La scissione nel PD e la battaglia perduta da Renzi nascono dalla
pervicace volontà di una generazione di vecchi che non vogliono mollare
la polpa percepita generosamente e subito privatizzata ai danni dei
figli. E non mi riferisco ai Bersani&D’Alema e al fantaccino
Speranza ma a quella generazione di italiani ex comunisti e
democristiani che ieri li misero sulle poltrone della DC e del
PCI, che li hanno allevati fin da piccoli e adesso vedono traballare un
futuro che hanno sempre preteso e sperato ottimo.
Adesso nel PD stanno preparando l’ennesima furbata catto-comunista:
mandare avanti dei pipottini come Orlando e Speranza mentre dietro si
muovono i vecchi corvi. Meglio il ducetto di Rignano sull’Arno
che la palta dei trasformisti e dell’inciucio perenne.
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diffidenza
reciproca nati in questi anni, stanno ora erompendo attraverso le
denunce reciproche di brogli, di tesseramenti gonfiati, di accordi
spiacevoli fra capibastone. Un clima che, privo della permanente
frizione dei D'Alema, Speranza, e Bersani, si rivela oggi molto più
violento di quando di poteva attribuire a un nemico interno.
A riprova di quanto difficile e arbitrario sia stato il percorso del Pd
renziano, fra cambi di casacche interne, alleanze spurie fra posizioni
fra loro inconciliabili, scandali di voti alle ultime due
primarie.Complicazioni e rotture di una organizzazione che, sbandando
come un toro ferito, negli ultimi anni, anche prima di Renzi, aveva già
fregato Bersani, poi Letta, poi la Presidenza Prodi, e che ora arriva,
ultimo nella fila, a fregare anche Renzi.
La volatilità e la non trasparenza della vicenda interna del Pd è la
prova che l'ex segretario in realtà non controlla il suo partito. E
anche se questa ingovernabilità è stata sepolta dalla scissione, rimane
il suo tallone d'Achille È abbastanza evidente a tutti infatti che, in
queste condizioni e qualunque ne sarà il risultato, le primarie nascono
contestate, e Renzi rischia persino di perderle.
La vicenda giudiziaria che coinvolge il padre aggiunge un secondo
effetto deflagrante. Al di là del risultato finale dell'inchiesta,
rivela, come è stato bene scritto da altri in questi giorni, una idea
di potere. È l'idea che Matteo Renzi ha tanto lavorato per affermare:
un unico motore che sia capace di gestire tutto lo Stato. Una scelta
che i renziani hanno sempre rivendicato come garanzia della loro
possibilità di cambiamento. La reazione delle forze della
"conservazione" contro questa loro ambizione al nuovo è il nemico
oscuro che sostengono voglia ora farli fuori.
Ma la verità politica della vicenda giudiziaria, al netto di qualunque
verdetto futuro, contiene fin da ora una lezione politica: questo
potere così accentrato è stato però anche così disattento. Renzi è
colto in questa vicenda nella più vecchia delle trame del mondo
politico, il familismo. E si difende da queste vecchie trame con il più
vecchio degli argomenti del mondo politico.
Primarie contese, perdita di credibilità personale, possibile sconfitta
elettorale alle amministrative di giugno, una turbolenza che si estende
al governo. È una combinazione di elementi che ci presenta un panorama
inimmaginabile fino a pochi mesi fa: il possibile collasso del sistema
legato al Pd.
Ma l'ex segretario non sa o non vuole cogliere questo sviluppo. Il
coraggioso ragazzo di Firenze arrivato a Roma sfondando le porte, si
rifugia oggi nella denuncia di "un chiaro disegno" contro di lui. C'è
una nemesi e, come si diceva, una tristezza in questa trama.
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per combattere i roghi di rifiuti, accelera le bonifiche e stabilisce
l'uso dell'esercito a scopo di sorveglianza nelle terre contaminate.
Però non siono usciti ancora tutti i decreti attuativi.
Come ministro della giustizia nel governo Renzi vanta -anche per la
breve durata del governo- un discreto numero di provvedimenti che vanno
dalla Legge Cirinnà a quella del potenziamento dell’ANAC,
sull’autoriciclaggio e sul sovraffollamento delle carceri (con
risultati stavolta del tutto insignificanti). Come ministro della
giustizia ha trovato forti oppositori negli alleati dell’NCD e nei
settori cattolici e lobbisti nel PD.
Sostenere che adesso in Italia la giustizia viaggi meglio per merito di Orlando sarebbe sorridere.
Oggi la giustizia va meglio soprattutto per la professionalità di pochi
valorosi capi uffici accanto a situazioni ancorate a mezzo secolo or
sono.
Nel PD sta entrando la fregola della "normalizzazione" passata la
buriana del fiorentino e una figura modesta e contenuta come
Orlando pare la più adatta a portare avanti il partito fino alle
prossime elezioni anche perché liquidabile senza troppi rimpianti in
caso di sconfitta.
Alle amministrative di maggio e politiche di... subito dopo (?).
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