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Aveva ragione il fiorentino. Antipatico perché fa lo sbruffone e
maltratta i vari vescovoni della nomenclatura democri stiana e comunista
assemblati col coltello tra i denti nel PD ma, a confermare che l'unico
vero amore degli italiani sono e restano inossidabili il proporzionale, il vero e intramontabile re della politica
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italiana, sempre
accompagnato dal suo miglior amico il debito pubblico, solo malamente
arginato dall'arcinemico vincolo esterno (l'Europa), gli italiani
dovranno decidere se scegliersi un vero e proprio PdC oppure continuare
la melina fotografata dall'Annunziata (e non solo da lei) e quindi
essere buttati fuori dall'Europa.
Filippo Taddei scriveva ieri l'altro che per noi italiani l'abbandono
dell'euro scatenerebbe una svalutazione che taglierebbe il valore reale
dei salari imponendo per di più una grande patrimoniale sui risparmi di
famiglie e imprese. Calcolabile con una perdita immediata di almeno un
quarto dei risparmi nel portafoglio degli italiani. Oggi gli italiani
–privati e imprese- dovrebbero disporre di 4300 miliardi di
investimenti (immobili esclusi): perderne un quarto significa una
patrimoniale universale di 1100 miliardi rispetto ai persistenti 2330
miliardi di debito.
Le forze politiche “responsabili” richiamano (richiamano chi?) ogni
giorno sul pericolo delle mille destre che sono alla porta dei
parlamenti europei. Bersani dixit: "Il voto americano parla anche
di noi. Nel mondo ripiega la globalizzazione. Si affacciano
protezionismi e pensieri aggressivi verso le persone e le merci di
fuori. Gli establishment interpretano la fase precedente, in via di
superamento".
"Ovunque, anche in Europa, c'è una nuova destra in formazione. Non è
una destra liberista, è una destra della protezione. Se vogliamo
impedire che vinca ovunque dobbiamo attrezzare una sinistra larga che
abbandoni le retoriche blairiane delle opportunità, delle flessibilità,
delle eccellenze e scelga la strada della protezione sulla base dei
propri valori di uguaglianza". "Mettendo tutti e due i piedi fuori
dagli establishment e dentro le periferie sociali, rilanciando i
diritti del lavoro e le battaglie di uguaglianza, difendendo i principi
di base del welfare universalistico secondo i quali davanti a bisogni
fondamentali non ci può essere né povero né ricco. Non c'è da perdere
tempo", concludeva l'ex segretario Pd.
Che significherebbe una perdita sicura perdita di libertà democratiche.
Intanto che i polli di Renzo Tramaglino si beccano per trovare o
imporre la soluzione migliore (o peggiore) per battere la destra
avanzante, il Renzi Fiorentino aveva difatto imposto una modifica
costituzionale e una legge elettorale contro le quali si sono mossi
privati cittadini parlamentari fino alle sentenze della suprema corte.
Fino alla batosta 6:4 subita ai primi di dicembre 2016 e la
sentenza del 24 gennaio successivo.
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Luca Sofri:Alla faccia dei titoloni teatrali sulla fine del PD, sulla
lunga distanza le cose di questi giorni finiranno nello stesso cassetto
dell’uscita di Rutelli e Lanzillotta. La costruzione del PD rimane il successo più grosso, ammire-
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-vole e proficuo della storia politica italiana degli scorsi decenni:
per dire, stiamo parlando del primo partito italiano, allo stato delle
cose. Questo implica inevitabilmente inadeguatezze, fallimenti,
dissensi, eccetera: più evitabile sarebbe uno scadimento della qualità
generale della sua classe dirigente, salvo sporadiche eccezioni. Ma
temporanei deperimenti dei contenuti non distruggono il contenitore.
La banda dei quattro/cinque. Bersani è quello su cui viene da essere
più indulgenti: il malumore che si porta addosso da quella volta dello
streaming si esprime in una svogliatezza prolungata che pare appannare
qualunque brillantezza di un tempo. Sarebbe il più importante del
gruppo, ma si comporta come se lo facesse ancora per la ditta, però per
un’altra ditta. Va’ a sapere cosa vorrebbe davvero, ma viene da
augurarglielo.
Speranza occupa tutta la quota “giovani”
del tuttora inesistente movimento, avendone peraltro 38: altre sue
qualità politiche fino a oggi non si sono manifestate. D’Alema è
spiritoso, e il ruolo che si è riguadagnato va a suo merito: come per
Beppe Grillo, se sai fare buone battute un posto per te nell’attenzione
mediatica ci sarà sempre e potrai sempre rileggere compiaciuto le tue
interviste, anche in assenza di una qualunque comprensione della realtà
o interesse alla cosa comune. Anche Emiliano è stato creativo: prima
non aveva mai avuto un ruolo rilevante nel PD, lo ha ottenuto
pubblicamente solo quando ha minacciato di uscirne, e adesso è
diventato famoso, anche se non della fama migliore. Enrico Rossi è
l’unico che ha avuto in questa vicenda un percorso inverso: si era
costruito un ruolo e un progetto attento, sensato e promettente, in
alternativa al PD renziano, e lo ha buttato via in due giorni non si è
capito perché. O gli hanno fatto bere qualcosa di nascosto o più
probabilmente è l’ultimo dalemiano leale fino alla disfatta, dopo che
gli altri sono tutti usciti da quel tunnel e ora stanno bene. Fine.
Mettiamo quindi in ordine alfabetico per non fare torto a nessuno dei 6 (finora) candidati alla segreteria del PD:
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Scissione Pd, una torma di larve con una sola esca: il proporzionale
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Confesso di essere ancora in piena crisi da scoramento dopo aver
seguito la sceneggiata domenicale degli addii, offerta dal Partito
Democratico; con lo strascico surreale di questo martedì. Una vicenda
preannunciata ad alto contenuto emotivo rivelatasi una guittata
pazzesca. In cui tutti i commedianti sotto il riflettore (a parte un
dignitoso Guglielmo Epifani) si sono espressi molto al di sotto dei
livelli minimi della decenza. Insomma, una giullarata.
Se la frantumazione del maggiore partito italiano, prima di andare in
scena, poteva apparire un passaggio cruciale, uno di quei momenti
destinati alla menzione nei libri di storia, in quanto fondativo di
svolte politiche “alte” (come Livorno 1921 o il Palazzo Barberini
1947), nel suo svolgersi l'avvenimento ha soltanto registrato la totale
e generalizzata incapacità dei gruppi contendenti di articolare un
discorso politico minimamente in grado di sollevarsi dal rasoterra più
infimo.
Aveva incominciato il primattore designato Matteo Renzi con la sua
relazione, in cui presumeva di sfoggiare i toni di chi dialoga con la
storia ( dal “vi prometto lacrime e sangue” di Winston Churchill al “I
have a dream” del reverendo Luther King) ed è finito per risultarne la
caricatura a fumetti. Neppure il Grande Black, semmai il Superbone de
il Monello. Penoso l'essersi avventurato nella discussione sulla
forma-partito, spiegando che l'unica alternativa al deprecabile modello
aziendale (che va da Beppe Grillo e Casaleggio Partner al
Berlusconi-Fininvest, con cui pure si è abbondantemente trafficato)
sarebbe rappresentata da quel Partito Democratico da lui trasformato in
uno strapuntino per i propri capricci. Appunto, nient'altro che un
partito personale. Ma altrettanto risibile è risultato il
deuteragonista nella trama; quel tatticamente silente governatore
pugliese Michele Emiliano, che sembra ormai il clone di Adolfo Celi nei
panni del monarca di Brancaleone alle crociate; con il suo risibile
tentativo di spiazzare i giochi, dopo tanto tuonare contro il
segretario, passando il cerino della colpa-scissione alla maggioranza.
Indossando senza soluzione di continuità (e una qualche plausibile
argomentazione) i panni improbabili del mediatore. Con il brillante
risultato di fare apparire la giravolta “unitaria” come l'ennesima
furbata che si accartoccia su se stessa.
Una rappresentazione da fischi e lanci di ortaggi, con il contorno di
animule impalpabili e insignificanti; vecchie e nuove: l'avvizzito ex
attor giovane Gianni Cuperlo che non gli riesce di fare il dottor
sottile, diffondendo negli spettatori dell'ennesimo fallimento un senso
di inguaribile melanconia, o il buonista eclettico Valter Veltroni,
miscelatore compulsivo di emulsioni in cui galleggiano Berlinguer,
Kennedy e le figurine Panini. Accompagnati dalla presenza imbarazzante
di chi voleva farsi leader ed è inciampato al primo ostacolo. Per dire,
i senior Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro o gli junior Roberto
Speranza e Matteo Orfini.
L'anemico Andrea Orlando, ossessionato dall'idea di essere rispedito
nella natia La Spezia (dove lo attende in agguato per sbranarlo
l'antica compagna Lella Paita).
A questo punto ci si può chiedere: ma cos'è che or ora ha fatto uscire
dai loro anfratti questa banda di lemuri, questa torma di larve? L'esca
è una sola: la promessa del proporzionale; cioè un sistema elettorale
che garantisce a tutti un posticino al sole e un seggio in Parlamento.
Con effetti centrifughi. Per cui a sinistra si scatenano le velleità di
protagonismo di una pletora di sigle (la nascente Rifondazione
Socialista dei profughi Pd, la Sinistra Italiana ex Sel, il Campo
Progressista di Pisapia; e chi più ne ha più ne metta, tra qualche
residuato rifondarolo e l'inaffondabile De Magistris). Il tutto per
spartirsi uno spazio elettorale che si aggira sul 6%.
La stessa bulimia di potere a destra. Sicché il rinnovato asse
Alemanno-Storace contende alla Giorgia Meloni la bagatella di un 2/3
per cento di consensi.
Pierfranco Pellizzetti |
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Immaginare
adesso una soluzione del tutto proporzionale anche con collegi piccoli
e capilista unici dentro un possibile maggioritario “da scommessa” con
un premio di maggioranza inutile a chi (singolo o raggruppamento: si
vedrà) raggiunge il 40% fa sganasciare anche gli ubriachi.
Crainz scrive oggi su Repubblica che “in questo scenario la posta
realisticamente in gioco non è, purtroppo, una legge elettorale che risolva ogni problema.
Naturalmente ogni discussione deve partire dalla sentenza della Corte,
secondo cui la risposta ad un sistema sostanzialmente tripartito non
può essere il ballottaggio previsto dall'Italicum. Magari il Parlamento
può limitarsi a modificare in qualche modo l'“Italicum dimezzato”, ad
esempio assegnando il premio di maggioranza alla coalizione e non alla
lista (naturalmente ove si superi il 40%, prospettiva ben poco
realistica). Senza potersi illudere, purtroppo, che questa soluzione
sia di grandissimo aiuto: nei primi decenni della Repubblica anche i
partiti minori (liberali, repubblicani, socialdemocratici) avevano una
loro identità storica e culturale, una fisionomia, un elettorato
sostanzialmente definito,
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ma da
tempo non è così. Quel vuoto è stato riempito da formazioni effimere,
assemblate spesso da trasformismi e da operazioni di potere: è
difficile far conto su organismi siffatti per ricostruire la
democrazia, o anche solo per assicurare stabilità.
In questa situazione vale forse la pena di riflettere non tanto sulle
possibili alchimie post elettorali ma sulla forza della nostra
democrazia. Noi italiani tendiamo a sottovalutarci in quasi tutti i
campi eppure in questi primi 70 anni di repubblica abbiamo attraversato
e superato prove di tenuta del sistema costituzionale e quindi adesso
possiamo porci serenamente davanti alla decisione di rendere
impossibile la transumanza politica interparlamentare (sbattendo a casa
chi cambia casacca) e essere noi ad affidarci a una maggioranza forte e
stabile anche se non creata con un infinito proporzionalismo. Che serve
in primi non a dare rappresentanza effettiva all'elettore ma a
garantire la casta.
Bisogna finirla con la prassi che ritiene l'elettore un beota che
–una volta deposto il voto nell'urna- affida il proprio voto alla
classe politica, viceversa occorre che si assuma la responsabilità di
votare (anziché … andare al mare tanto non cambia niente…) e di
scegliere se non il più gradito almeno il meno “danno minore”.
Ecco la ragione per cui, in collegi piccoli, il risultato deve premiare
la lista o il gruppo che ottiene la maggioranza degli eletti. Ecco
perché il cambio casacca deve essere accompagnato dal licenziamento.
Il mega dibattito sulla legge elettorale nasconde però tutta una serie
di problemi che stanno a monte: la riduzione del debito pubblico,
l'evasione fiscale nel paese e nel contesto internazionale, una
politica industriale che porti a maggiore crescita e non sia
lasciata alla creatività del singolo, la questione della delinquenza,
una semplificazione dello stato (ridurre i comuni, cancellare le
regioni), la riduzione della spesa pubblica e, perché no?- una
patrimoniale spalmata su alcuni anni man mano che si azzera a
livello fisiologico l'evasione e l'elusione fiscale.
E in Europa va rivisto il concetto stesso del debito pubblico, quando
un paese voglia e riesca a diminuirlo significativamente. Il mio
debito pubblico è la mia ricchezza ma è anche la tua ricchezza.
Riportiamo il debito pubblico (ridotto come detto) non in rapporto al
PIL ma all'interscambio di un paese col resto del mondo.
Ma forse questi ragionamenti sonola speranza di una notte di carnevale.
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Emiliano, Orlando, Renzi, Rossi, Salerno ,Speranza. In questi casi si dice sempre «aspettiamo di leggere il programma» .
Ci spiace che non si possa votare una donna (finalmente!) ed vedremmo
bene Laura Puppato e/o Anna Finocchiaro piuttosto che l’imberbe
torinese Carlotta Salerno. Pure Roberto Speranza, oltre le atroci
ferocie di cui sì’è già mostrato capace (degno delfino del filosofo Bersani) , è un imberbe inaffidabile.
Il problema è che adesso i media tenderanno ad «incollare» i candidati
o al fiorentino oppure agli esodati e quindi non sarà una discussione
sulle idee e progetti ma sugli schieramenti. Sul ricordo di antiche
scelte sparate in faccia come peccati. Doppio errore.
Anche noi per un lungo periodo abbiamo stimato Bersani un ottimo
ministro ( ma c’era un Prodi alla PdC ...) salvo poi verificare che le
sue lenzuolate si sono via via trasformate in gran parte in errori
macroscopici. Fino alla tremenda fesseria delle elezioni e post
elezioni 2013. Poca stima , al di la del riconoscergli una enorme
furbizia, verso D’Alema fino alla caduta del governo Prodi. Non
ci piacciono quelli che non terminano l’università per fare politica:
p.e. D’Alema e Orlando.
La vecchia nomenclatura democristiana e comunista non si è fatta avanti
segno (pericoloso) che o stanno già attrezzandosi per far fuori il
segretario prossimo venturo oppure abbandoneranno rumorosamente il
campo portandosi via la palla.
Detto questo noi avremmo preferito una conferenza programmatica prima
dell’estate (coi candidati in corsa a presentarsi) seguita dalle
primarie questo tardo autunno e poi le elezioni nazionali
alla scadenza naturale. Ma noi contiamo uno e quindi nulla.
Intanto pare che il fiorentino regga bene nei sondaggi anche se non
brilla più come prima. Speriamo che si presenti una bella candidata
donna.
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