schermata di 1450 pixels 







NUMERO 317














































Aveva ragione il fiorentino. Antipatico perché fa lo sbruffone e maltratta i vari vescovoni della nomenclatura democri stiana e comunista assemblati col coltello tra i denti nel PD ma, a confermare che l'unico vero amore degli italiani sono e restano inossidabili il proporzionale, il vero e intramontabile re della politica
italiana, sempre accompagnato dal suo miglior amico il debito pubblico, solo malamente arginato dall'arcinemico vincolo esterno (l'Europa), gli italiani dovranno decidere se scegliersi un vero e proprio PdC oppure continuare la melina fotografata dall'Annunziata (e non solo da lei) e quindi essere buttati fuori dall'Europa.
Filippo Taddei scriveva ieri l'altro che per noi italiani l'abbandono dell'euro scatenerebbe una svalutazione che taglierebbe il valore reale dei salari imponendo per di più una grande patrimoniale sui risparmi di famiglie e imprese. Calcolabile con una perdita immediata di almeno un quarto dei risparmi nel portafoglio degli italiani. Oggi gli italiani –privati e imprese-  dovrebbero disporre di 4300 miliardi di investimenti (immobili esclusi): perderne un quarto significa una patrimoniale universale di 1100 miliardi rispetto ai persistenti 2330 miliardi di debito.
Le forze politiche “responsabili” richiamano (richiamano chi?) ogni giorno sul pericolo delle mille destre che sono alla porta dei parlamenti  europei. Bersani dixit: "Il voto americano parla anche di noi. Nel mondo ripiega la globalizzazione. Si affacciano protezionismi e pensieri aggressivi verso le persone e le merci di fuori. Gli establishment interpretano la fase precedente, in via di superamento".
"Ovunque, anche in Europa, c'è una nuova destra in formazione. Non è una destra liberista, è una destra della protezione. Se vogliamo impedire che vinca ovunque dobbiamo attrezzare una sinistra larga che abbandoni le retoriche blairiane delle opportunità, delle flessibilità, delle eccellenze e scelga la strada della protezione sulla base dei propri valori di uguaglianza". "Mettendo tutti e due i piedi fuori dagli establishment e dentro le periferie sociali, rilanciando i diritti del lavoro e le battaglie di uguaglianza, difendendo i principi di base del welfare universalistico secondo i quali davanti a bisogni fondamentali non ci può essere né povero né ricco. Non c'è da perdere tempo", concludeva l'ex segretario Pd.

Che significherebbe una perdita sicura perdita di libertà democratiche. Intanto che i polli di Renzo Tramaglino si  beccano per trovare o imporre la soluzione migliore (o peggiore) per battere la destra avanzante, il Renzi Fiorentino aveva difatto imposto una  modifica costituzionale e una legge elettorale contro le quali si sono mossi privati cittadini parlamentari fino alle sentenze della suprema corte. Fino alla batosta 6:4 subita ai primi di dicembre 2016 e  la sentenza del 24 gennaio successivo.









Luca Sofri:Alla faccia dei titoloni teatrali sulla fine del PD, sulla lunga distanza le cose di questi giorni finiranno nello stesso cassetto dell’uscita di Rutelli e Lanzillotta. La costruzione del PD rimane il successo più grosso, ammire-
-vole e proficuo della storia politica italiana degli scorsi decenni: per dire, stiamo parlando del primo partito italiano, allo stato delle cose. Questo implica inevitabilmente inadeguatezze, fallimenti, dissensi, eccetera: più evitabile sarebbe uno scadimento della qualità generale della sua classe dirigente, salvo sporadiche eccezioni. Ma temporanei deperimenti dei contenuti non distruggono il contenitore.
La banda dei quattro/cinque. Bersani è quello su cui viene da essere più indulgenti: il malumore che si porta addosso da quella volta dello streaming si esprime in una svogliatezza prolungata che pare appannare qualunque brillantezza di un tempo. Sarebbe il più importante del gruppo, ma si comporta come se lo facesse ancora per la ditta, però per un’altra ditta. Va’ a sapere cosa vorrebbe davvero, ma viene da augurarglielo.
Speranza occupa tutta la quota “giovani” del tuttora inesistente movimento, avendone peraltro 38: altre sue qualità politiche fino a oggi non si sono manifestate. D’Alema è spiritoso, e il ruolo che si è riguadagnato va a suo merito: come per Beppe Grillo, se sai fare buone battute un posto per te nell’attenzione mediatica ci sarà sempre e potrai sempre rileggere compiaciuto le tue interviste, anche in assenza di una qualunque comprensione della realtà o interesse alla cosa comune. Anche Emiliano è stato creativo: prima non aveva mai avuto un ruolo rilevante nel PD, lo ha ottenuto pubblicamente solo quando ha minacciato di uscirne, e adesso è diventato famoso, anche se non della fama migliore. Enrico Rossi è l’unico che ha avuto in questa vicenda un percorso inverso: si era costruito un ruolo e un progetto attento, sensato e promettente, in alternativa al PD renziano, e lo ha buttato via in due giorni non si è capito perché. O gli hanno fatto bere qualcosa di nascosto o più probabilmente è l’ultimo dalemiano leale fino alla disfatta, dopo che gli altri sono tutti usciti da quel tunnel e ora stanno bene. Fine.

Mettiamo quindi in ordine alfabetico per non fare torto a nessuno dei 6 (finora) candidati alla segreteria del PD:



Scissione Pd, una torma di larve con una sola esca: il proporzionale
Confesso di essere ancora in piena crisi da scoramento dopo aver seguito la sceneggiata domenicale degli addii, offerta dal Partito Democratico; con lo strascico surreale di questo martedì. Una vicenda preannunciata ad alto contenuto emotivo rivelatasi una guittata pazzesca. In cui tutti i commedianti sotto il riflettore (a parte un dignitoso Guglielmo Epifani) si sono espressi molto al di sotto dei livelli minimi della decenza. Insomma, una giullarata.
Se la frantumazione del maggiore partito italiano, prima di andare in scena, poteva apparire un passaggio cruciale, uno di quei momenti destinati alla menzione nei libri di storia, in quanto fondativo di svolte politiche “alte” (come Livorno 1921 o il Palazzo Barberini 1947), nel suo svolgersi l'avvenimento ha soltanto registrato la totale e generalizzata incapacità dei gruppi contendenti di articolare un discorso politico minimamente in grado di sollevarsi dal rasoterra più infimo.
Aveva incominciato il primattore designato Matteo Renzi con la sua relazione, in cui presumeva di sfoggiare i toni di chi dialoga con la storia ( dal “vi prometto lacrime e sangue” di Winston Churchill al “I have a dream” del reverendo Luther King) ed è finito per risultarne la caricatura a fumetti. Neppure il Grande Black, semmai il Superbone de il Monello. Penoso l'essersi avventurato nella discussione sulla forma-partito, spiegando che l'unica alternativa al deprecabile modello aziendale (che va da Beppe Grillo e Casaleggio Partner al Berlusconi-Fininvest, con cui pure si è abbondantemente trafficato) sarebbe rappresentata da quel Partito Democratico da lui trasformato in uno strapuntino per i propri capricci. Appunto, nient'altro che un partito personale. Ma altrettanto risibile è risultato il deuteragonista nella trama; quel tatticamente silente governatore pugliese Michele Emiliano, che sembra ormai il clone di Adolfo Celi nei panni del monarca di Brancaleone alle crociate; con il suo risibile tentativo di spiazzare i giochi, dopo tanto tuonare contro il segretario, passando il cerino della colpa-scissione alla maggioranza. Indossando senza soluzione di continuità (e una qualche plausibile argomentazione) i panni improbabili del mediatore. Con il brillante risultato di fare apparire la giravolta “unitaria” come l'ennesima furbata che si accartoccia su se stessa.
Una rappresentazione da fischi e lanci di ortaggi, con il contorno di animule impalpabili e insignificanti; vecchie e nuove: l'avvizzito ex attor giovane Gianni Cuperlo che non gli riesce di fare il dottor sottile, diffondendo negli spettatori dell'ennesimo fallimento un senso di inguaribile melanconia, o il buonista eclettico Valter Veltroni, miscelatore compulsivo di emulsioni in cui galleggiano Berlinguer, Kennedy e le figurine Panini. Accompagnati dalla presenza imbarazzante di chi voleva farsi leader ed è inciampato al primo ostacolo. Per dire, i senior Pierluigi Bersani e Anna Finocchiaro o gli junior Roberto Speranza e Matteo Orfini.
L'anemico Andrea Orlando, ossessionato dall'idea di essere rispedito nella natia La Spezia (dove lo attende in agguato per sbranarlo l'antica compagna Lella Paita).
A questo punto ci si può chiedere: ma cos'è che or ora ha fatto uscire dai loro anfratti questa banda di lemuri, questa torma di larve? L'esca è una sola: la promessa del proporzionale; cioè un sistema elettorale che garantisce a tutti un posticino al sole e un seggio in Parlamento. Con effetti centrifughi. Per cui a sinistra si scatenano le velleità di protagonismo di una pletora di sigle (la nascente Rifondazione Socialista dei profughi Pd, la Sinistra Italiana ex Sel, il Campo Progressista di Pisapia; e chi più ne ha più ne metta, tra qualche residuato rifondarolo e l'inaffondabile De Magistris). Il tutto per spartirsi uno spazio elettorale che si aggira sul 6%.
La stessa bulimia di potere a destra. Sicché il rinnovato asse Alemanno-Storace contende alla Giorgia Meloni la bagatella di un 2/3 per cento di consensi.

Pierfranco Pellizzetti |




























































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Immaginare adesso una soluzione del tutto proporzionale anche con collegi piccoli e capilista unici dentro un possibile maggioritario “da scommessa” con un premio di maggioranza inutile a chi (singolo o raggruppamento: si vedrà) raggiunge il 40% fa sganasciare anche  gli ubriachi.
Crainz scrive oggi su Repubblica che “in questo scenario la posta realisticamente in gioco non è, purtroppo, una legge elettorale che risolva ogni problema.
Naturalmente ogni discussione deve partire dalla sentenza della Corte, secondo cui la risposta ad un sistema sostanzialmente tripartito non può essere il ballottaggio previsto dall'Italicum. Magari il Parlamento può limitarsi a modificare in qualche modo l'“Italicum dimezzato”, ad esempio assegnando il premio di maggioranza alla coalizione e non alla lista (naturalmente ove si superi il 40%, prospettiva ben poco realistica). Senza potersi illudere, purtroppo, che questa soluzione sia di grandissimo aiuto: nei primi decenni della Repubblica anche i partiti minori (liberali, repubblicani, socialdemocratici) avevano una loro identità storica e culturale, una fisionomia, un elettorato sostanzialmente definito,




































































































































































































































































ma da tempo non è così. Quel vuoto è stato riempito da formazioni effimere, assemblate spesso da trasformismi e da operazioni di potere: è difficile far conto su organismi siffatti per ricostruire la democrazia, o anche solo per assicurare stabilità.

In questa situazione vale forse la pena di riflettere non tanto sulle possibili alchimie post elettorali ma sulla forza della nostra democrazia. Noi italiani tendiamo a sottovalutarci in quasi tutti i campi eppure in questi primi 70 anni di repubblica abbiamo attraversato e superato prove di tenuta del sistema costituzionale e quindi adesso possiamo porci serenamente davanti alla decisione di rendere impossibile la transumanza politica interparlamentare (sbattendo a casa chi cambia casacca) e essere noi ad affidarci a una maggioranza forte e stabile anche se non creata con un infinito proporzionalismo. Che serve in primi non a dare rappresentanza effettiva all'elettore ma a garantire la casta.
Bisogna finirla con la prassi che  ritiene l'elettore un beota che –una volta deposto il voto nell'urna- affida il proprio voto alla classe politica, viceversa occorre che si assuma la responsabilità di votare (anziché … andare al mare tanto non cambia niente…) e di scegliere se non il più gradito almeno il meno “danno minore”.

Ecco la ragione per cui, in collegi piccoli, il risultato deve premiare la lista o il gruppo che ottiene la maggioranza degli eletti. Ecco perché il cambio casacca deve essere accompagnato dal licenziamento.
Il mega dibattito sulla legge elettorale nasconde però tutta una serie di problemi che stanno a monte: la riduzione del debito pubblico, l'evasione fiscale nel paese e nel contesto internazionale, una politica industriale che  porti a maggiore crescita e non sia lasciata alla creatività del singolo, la questione della delinquenza, una semplificazione dello stato (ridurre i comuni, cancellare le regioni), la riduzione della spesa pubblica e, perché no?- una patrimoniale spalmata su alcuni anni man mano che si  azzera a livello fisiologico l'evasione e l'elusione fiscale.
E in Europa va rivisto il concetto stesso del debito pubblico, quando un paese  voglia e riesca a diminuirlo significativamente. Il mio debito pubblico è la mia ricchezza ma è anche la tua ricchezza. Riportiamo il debito pubblico (ridotto come detto) non in rapporto al PIL ma all'interscambio di un paese col resto del mondo.
Ma forse questi ragionamenti sonola speranza di una notte di carnevale.









Emiliano, Orlando, Renzi, Rossi, Salerno ,Speranza. In questi casi si dice sempre «aspettiamo di leggere il programma» .
Ci spiace che non si possa votare una donna (finalmente!) ed vedremmo bene Laura Puppato e/o Anna Finocchiaro piuttosto che l’imberbe torinese Carlotta Salerno. Pure Roberto Speranza, oltre le atroci ferocie di cui sì’è già mostrato capace (degno delfino del filosofo Bersani) , è un imberbe inaffidabile.
Il problema è che adesso i media tenderanno ad «incollare» i candidati o al fiorentino oppure agli esodati e quindi non sarà una discussione sulle idee e progetti ma sugli schieramenti. Sul ricordo di antiche scelte sparate in faccia come  peccati. Doppio errore.

Anche noi per un lungo periodo abbiamo stimato Bersani un ottimo ministro ( ma c’era un Prodi alla PdC ...) salvo poi verificare che le sue lenzuolate si sono via via trasformate in gran parte in errori macroscopici. Fino alla tremenda fesseria delle elezioni e post elezioni 2013. Poca stima , al di la del riconoscergli una enorme furbizia,  verso D’Alema fino alla caduta del governo Prodi. Non ci piacciono quelli che non terminano l’università per fare politica: p.e. D’Alema e Orlando.

La vecchia nomenclatura democristiana e comunista non si è fatta avanti segno (pericoloso) che o stanno già attrezzandosi per far fuori il segretario prossimo venturo oppure abbandoneranno rumorosamente il campo portandosi via la palla.
Detto questo noi avremmo preferito una conferenza programmatica prima dell’estate (coi candidati in corsa a presentarsi) seguita dalle primarie questo tardo autunno e poi le elezioni   nazionali alla scadenza naturale. Ma noi contiamo uno e quindi nulla.
Intanto pare che il fiorentino regga bene nei sondaggi anche se non brilla più come prima. Speriamo che si presenti una bella candidata donna.