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L'ultimo
fotogramma della storia del Partito democratico (2007-2017) è Matteo
Renzi che sale in macchina col Tapiro di Striscia la Notizia. «Fermi,
c'ho il Tapiro. Lasciatemi stare col Tapiro». Dai due grandi partiti
del Novecento, Dc e Pci, De Gasperi e Togliatti, alla sinistra
mediatica del segretario che saluta le telecamere e se ne va
dall'assemblea con un pupazzo sottobraccio. Arrivederci, magari
stanotte un tweet o un post su Facebook, fine di un'epoca. Sinistra
prima solida, poi liquida, infine gassosa. Sinistra marsupiale, capace
di tenere pezzi di destra nella pancia di governo. Partito della
Nazione. Si chiude così, al Parco dei Principi di Roma, il più lungo
parto della storia politica dell'umanità: non muore niente, perché non
può morire quello che non è mai nato, dice qualcuno risalendo le scale
dal sottosuolo. Non è mai davvero nato il grande partito voluto da
Veltroni che tenesse insieme socialisti e cattolici democratici. «Un
amalgama non riuscito», disse anni fa D'Alema, radici comuniste, oggi
lontanissimo da qui e promotore della scissione. «Le nostre identità
sono più mescolate fra la gente che nei gruppi dirigenti», ha detto
ieri Dario Franceschini, matrice cattolica, il grande mazziere di
questa stagione che fino all'ultimo ha provato a tenere insieme
qualcosa che insieme non sta. Dieci anni, tanto è durato il Pd. Molti,
i più giovani ci sono nati dentro, ma anche pochi per chi come Franco
Marini, 84 anni, lascia per una domenica pomeriggio la nipote bambina
per venire a dire ma cosa state facendo, ma non vi rendete conto che
uscire è una scelta drammatica? «Ci dividiamo e andiamo alle
amministrative? Siete sicuri di tenere i voti? Io no. Noi, nel
sindacato, ci mettevamo a un tavolo separato coi padroni: fatelo anche
voi». Ma no, non ci sono tavoli separati qui in questo
sottosuolo dove c'è chi gira in maschera da guardia rossa e chi suona
le chitarrine per lo show degli spettatori da casa. Non c'è nessuna
volontà di ricucire «perché loro hanno già deciso», dice Renzi, loro
sono Bersani e la sua minoranza. Il quale Bersani, difatti, a metà
assemblea è in cortile collegato con un programma tv a dire che no, non
ci sono le condizioni. La tv, la tv. La diretta, i social. Poi però c'è
il mondo fuori, un mondo reale che non capisce, non si adegua. Un mondo
che evocano gli interventi dolenti e accorati dei fondatori, Veltroni
più di tutti: Veltroni, tornato ad assistere alla fine di quel che
aveva visto nascere provando con parole alte a scongiurarla. «Volete il
ritorno a un partito che sembra la Margherita e di uno che sembra i Ds,
tenuti insieme da logiche di potere? Allora non chiamatelo futuro, ma
passato. Non discutete su ciò che vi conviene. Non pensate a voi
stessi». È Veltroni che indica il momento della vera data di morte del
Pd, quella notte in cui 101 a volto coperto hanno decretato la fine di
Prodi candidato presidente della Repubblica: «Se la sinistra non si
fosse divisa allora la storia del Paese sarebbe stata un'altra», Franco
Marini ascolta, quale fu il ruolo di Napolitano, Sandra Zampa annuisce,
Enrico stai sereno, Francesco Boccia si prepara a parlare, quali furono
gli accordi nella notte quella notte, Renzi mastica chewing gum, quale
fu il ruolo di D'Alema, quali gli accordi, «non sarà il consociativismo
a sconfiggere l'antipolitica», dice Veltroni. Non ha mai funzionato,
vedete? Lo dice anche il più giovane e meno noto Giovanni Taurasi, il
mondo fuori non ci capisce: nei circoli, nei luoghi veri del mondo il
partito è fatto da compagni Zeta, quelli che non prendono mai la parola
alle assemblee ma poi ti dicono se vi dividete io non vi voto più, me
ne vado, poi ti chiedono: ma perché, non ho capito. Perché lo state
facendo?
Ecco, il mondo fuori. In tanti lo chiamano qui, in questa che sembra
l'autopsia di un corpo vivo. Perché gli elettori ci sono, ancora non si
sa per quanto ma ci sono. Quello che manca, dice dalla minoranza Gianni
Cuperlo, è la consapevolezza della classe dirigente: è come in quella
scena di Gioventù bruciata, un chicken game – gioco del pollo, in
italiano del coniglio – dove per non essere tacciati di pavidità
entrambi accelerano l'auto, finiscono nel dirupo. Fermatevi, chiede
Cuperlo: «Matteo, il capo fallo adesso. Fermati tu». Renzi non si
ferma. Il suo discorso mattutino – dimissioni, e a congresso – suona
alla minoranza come un'accele razione, appunto. Dare gas. Nessuna
frenata.
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E
d'altra parte qualcosa vorrà dire se il fronte scissionista ha mandato
come frontman, al microfono, l'anziano Guglielmo Epifani. Non Rossi,
non Emiliano, non Speranza ma Epifani, e Nico Stumpo in sala stampa.
Una
prima linea non di prima fila, per dire chiaro: i giochi sono già
fatti. Poteva cambiare qualcosa, se Renzi avesse scelto di fare come
tutti si aspettavano un intervento conclusivo? Forse. Non l'ha fatto, e
anzi ha mostrato con evidenza alle telecamere incredulità e una sorta
di dileggio di fronte all'unico vero colpo di scena della giornata:
l'intervento di Michele Emiliano, uno dei tre candidati – fin qui – a
contendergli il ruolo di segretario. Solo ventiquattr'ore fa, al teatro
Vittoria, Emiliano – presidente di Puglia – parlava come se fosse già
fuori dal partito. Ora, a fine giornata, va al microfono teso, rigido,
a dire ci sono stati equivoci, malintesi, incomprensioni. Se Renzi dice
che non si va a votare allora ok, avevo capito male. «Ho commesso
errori », brusio in sala, «penso che sia questione di piccoli
meccanismi si può ancora recuperare, basta un gesto, nessuno ha detto
che Renzi non debba ricandidarsi«, Renzi ride e allarga le braccia, «è
solo un problema di metodo, ho fiducia nel segretario», brusio più
forte.
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A mio avviso non escono dal PD. Facendo un po’ di conti, anche
ipotizzando prendessero il 10% di voti, siccome per sottrazione perde
il PD, vanno in Parlamen to con quattro gatti. Meglio quindi costituire dei gruppi autonomi nelle due Camere per
attuare un’estenuante stop and go verso il governo ed arrivare alle
elezioni contrattando
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un 10% di capilista (che poi saranno sempre e solo i soliti che hanno
iniziato il caos: alla faccia degli sherpa che li faranno pure vincere
il ricco seggio).
Fine del cinema perché tra le altre cose ci sono di mezzo dei
referendum, le elezioni amministrative, la riforma elettorale e la
legge di stabilità 2018. Oltre all’aggiustamento conti 2017 se ‘sto
maledetto PIL non cresce almeno all’1,2%.
La «reazione» degli elettori PD è stata forte e netta: un NO deciso
alla divisione che ha messo nei casini quello che é (forse) il più
simpliciotto del quintetto.
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Dopo
di lui Antonello Giacomelli, renziano: «Sono contento di parlare dopo
il sosia di Emiliano», risate in platea. Nessuno replica dal palco. In
sala sì, in sala dicono: Emiliano avrà
considerato che gli conviene la corsa interna anziché quella esterna,
avrà fatto i suoi conti. Renzi non risponde. Un muro di silenzio e
appuntamento a martedì, in direzione Pd
Non sono serviti a
niente gli interventi di quattro segretari, Fassino, l'ultimo dei Ds
(preciso sulle conseguenze: «Parliamo di responsabilità e di destini,
stiamo dando campo libero alle destre, anche a quella dei 5Stelle »),
poi Epifani, Veltroni, Franceschini. Nulla può l'appello di Andrea
Orlando, emozionatissimo, la sinistra che resta dentro: «C'è qualcosa
si più grande dei nostri destini, evitiamo il populismo nel nostro
dibattito». Orlando, potrebbe essere lui, nel Pd, il candidato
segretario che resta dal vecchio Pci.
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sempre stati
rieletti. Oggi gli elettori
PD non li vogliono più. Il quintetto -avete notato che hanno fatto una
«foto a tre» e non in cinque?- rappresenta una certa parte della
società che pensa ragiona pretende che «lo stato ci deve aiutare»
ragion per cui scopriamo che col jobs act si sono consolidate le
occupazioni degli anziani e si alleggerite quelle dei giovani mentre
nel settore pubblico ne succedono ancora di tutti i colori - scuola
docet- lo dice l’ISTAT e la cronaca. Il quintetto lavora da tre anni
per demolire il risultato per colpire l’»usurpatore» fiorentino.
Le lamentazioni «contro» la «buona scuola» renziana sono le
lamentazioni di un corpo docente e sindacale che dal 25 aprile 1945 si
è costituito in cinquanta corporazioni (forse sono anche di più) e
pretendono di dettare legge beccandosi tra di loro
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Lo sa e
si vede. «Vi prego, guardate alla marcia di Barcellona per accogliere i
rifugiati. Per la sinistra c'è ancora speranza». Con la esse minuscola.
Barcellona la governa Podemos, non il Psoe. A Rimini intanto il
congresso di Sinistra Italiana fonda il partito e incorona Fratoianni
segretario: «Parleremo con la sinistra Pd solo se lascia il governo».
Il governo, Gentiloni seduto affianco a Renzi, è ben saldo per ora e
molto omaggiato dal partito. Perché il partito, il Pd, anche senza i
bersaniani resta, fa presente l'orfiniano Francesco Verducci. Quello
che non è chiaro se resti, alla vigilia delle elezioni amministrative e
alle porte del congresso, in questa nebulosa di intenti e in questa
povertà di contatto con le cose della vita, sono gli elettori. «Peggio
della scissione c'è solo il ricatto. Cosi facciamo un regalo a Grillo»,
dice Renzi. Più che Grillo la questione sono gli elettori, gli
italiani. In questo film in cui si esce dalla sala senza capire
esattamente la fine, la questione è chi si prende la responsabilità di
fare il regalo a chi. Il film è finito, questo è chiaro. Faceva
tristezza e paura a quasi tutti, anche questo è evidente. Presto, dal
voto, sapremo chi ha vinto. Non il Tapiro: chi ha vinto la
responsabilità di governare il futuro.
Concita De Gregorio
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cinquettio: noi ci proponiamo di
ridurre al minimo l’evasione fiscale e contributiva in 3-5 anni.
Legge elettorale e riforma costituzionale. E’ evidente che occorre
cedere un po’ di sovranità per mantenere una governabilità accettabile.
La situazione è che ne col proporzionale ne col doppio turno si ottiene
un risultato. Meglio cedere un po’ di sovranità popolare per un
premio di maggioranza ad una formazione democratica o ai pentastellati
o al CDX+Lega?
Il lavoro che manca ai giovani. Vorrei sentire da Renzi e dal quintetto
la risposta a questa semplice domanda. Com’è che USA e Germania che
hanno disoccupazione inferiore al 5% hanno crescite del PIL attorno al
3%? Se questi ragionamenti sono corretti, questi due paesi dovrebbero
crescere come un panino che lievita. Non è così. Un’altra domanda. Il
«debito pubblico» che indubbiamente va fermato e ridotto va trattato
come il debito della massaia verso il pizzicagnolo oppure un mero
scambio tra paesi. Io compero il tuo debito così tu compri le mie
merci. Per levare il pelo a chi tiene debito publico perché tassato al
26% basta inserirlo nel 730 e cominceranno a investirlo nelle
imprese (a cui chiedono lavoro i figli dei pensionati con tanti BOT in
banca...). Non ho sentito ne il quintetto ma nemmeno Renzi promettere
un raddrizzamento del problema.
Ecco perché non usciranno. Primo perché molti di loro perderanno il
seggio. Secondo perché noi elettori PD non siamo più dei pipottini.
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