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NUMERO 314




































L'ultimo fotogramma della storia del Partito democratico (2007-2017) è Matteo Renzi che sale in macchina col Tapiro di Striscia la Notizia. «Fermi, c'ho il Tapiro. Lasciatemi stare col Tapiro». Dai due grandi partiti del Novecento, Dc e Pci, De Gasperi e Togliatti, alla sinistra mediatica del segretario che saluta le telecamere e se ne va dall'assemblea con un pupazzo sottobraccio. Arrivederci, magari stanotte un tweet o un post su Facebook, fine di un'epoca. Sinistra prima solida, poi liquida, infine gassosa. Sinistra marsupiale, capace di tenere pezzi di destra nella pancia di governo. Partito della Nazione. Si chiude così, al Parco dei Principi di Roma, il più lungo parto della storia politica dell'umanità: non muore niente, perché non può morire quello che non è mai nato, dice qualcuno risalendo le scale dal sottosuolo. Non è mai davvero nato il grande partito voluto da Veltroni che tenesse insieme socialisti e cattolici democratici. «Un amalgama non riuscito», disse anni fa D'Alema, radici comuniste, oggi lontanissimo da qui e promotore della scissione. «Le nostre identità sono più mescolate fra la gente che nei gruppi dirigenti», ha detto ieri Dario Franceschini, matrice cattolica, il grande mazziere di questa stagione che fino all'ultimo ha provato a tenere insieme qualcosa che insieme non sta. Dieci anni, tanto è durato il Pd. Molti, i più giovani ci sono nati dentro, ma anche pochi per chi come Franco Marini, 84 anni, lascia per una domenica pomeriggio la nipote bambina per venire a dire ma cosa state facendo, ma non vi rendete conto che uscire è una scelta drammatica? «Ci dividiamo e andiamo alle amministrative? Siete sicuri di tenere i voti? Io no. Noi, nel sindacato, ci mettevamo a un tavolo separato coi padroni: fatelo anche voi».
  Ma no, non ci sono tavoli separati qui in questo sottosuolo dove c'è chi gira in maschera da guardia rossa e chi suona le chitarrine per lo show degli spettatori da casa. Non c'è nessuna volontà di ricucire «perché loro hanno già deciso», dice Renzi, loro sono Bersani e la sua minoranza. Il quale Bersani, difatti, a metà assemblea è in cortile collegato con un programma tv a dire che no, non ci sono le condizioni. La tv, la tv. La diretta, i social. Poi però c'è il mondo fuori, un mondo reale che non capisce, non si adegua. Un mondo che evocano gli interventi dolenti e accorati dei fondatori, Veltroni più di tutti: Veltroni, tornato ad assistere alla fine di quel che aveva visto nascere provando con parole alte a scongiurarla. «Volete il ritorno a un partito che sembra la Margherita e di uno che sembra i Ds, tenuti insieme da logiche di potere? Allora non chiamatelo futuro, ma passato. Non discutete su ciò che vi conviene. Non pensate a voi stessi». È Veltroni che indica il momento della vera data di morte del Pd, quella notte in cui 101 a volto coperto hanno decretato la fine di Prodi candidato presidente della Repubblica: «Se la sinistra non si fosse divisa allora la storia del Paese sarebbe stata un'altra», Franco Marini ascolta, quale fu il ruolo di Napolitano, Sandra Zampa annuisce, Enrico stai sereno, Francesco Boccia si prepara a parlare, quali furono gli accordi nella notte quella notte, Renzi mastica chewing gum, quale fu il ruolo di D'Alema, quali gli accordi, «non sarà il consociativismo a sconfiggere l'antipolitica», dice Veltroni. Non ha mai funzionato, vedete? Lo dice anche il più giovane e meno noto Giovanni Taurasi, il mondo fuori non ci capisce: nei circoli, nei luoghi veri del mondo il partito è fatto da compagni Zeta, quelli che non prendono mai la parola alle assemblee ma poi ti dicono se vi dividete io non vi voto più, me ne vado, poi ti chiedono: ma perché, non ho capito. Perché lo state facendo?
Ecco, il mondo fuori. In tanti lo chiamano qui, in questa che sembra l'autopsia di un corpo vivo. Perché gli elettori ci sono, ancora non si sa per quanto ma ci sono. Quello che manca, dice dalla minoranza Gianni Cuperlo, è la consapevolezza della classe dirigente: è come in quella scena di Gioventù bruciata, un chicken game – gioco del pollo, in italiano del coniglio – dove per non essere tacciati di pavidità entrambi accelerano l'auto, finiscono nel dirupo. Fermatevi, chiede Cuperlo: «Matteo, il capo fallo adesso. Fermati tu». Renzi non si ferma. Il suo discorso mattutino – dimissioni, e a congresso – suona alla minoranza come un'accele razione, appunto. Dare gas. Nessuna frenata.



E d'altra parte qualcosa vorrà dire se il fronte scissionista ha mandato come frontman, al microfono, l'anziano Guglielmo Epifani. Non Rossi, non Emiliano, non Speranza ma Epifani, e Nico Stumpo in sala stampa.
Una prima linea non di prima fila, per dire chiaro: i giochi sono già fatti. Poteva cambiare qualcosa, se Renzi avesse scelto di fare come tutti si aspettavano un intervento conclusivo? Forse. Non l'ha fatto, e anzi ha mostrato con evidenza alle telecamere incredulità e una sorta di dileggio di fronte all'unico vero colpo di scena della giornata: l'intervento di Michele Emiliano, uno dei tre candidati – fin qui – a contendergli il ruolo di segretario. Solo ventiquattr'ore fa, al teatro Vittoria, Emiliano – presidente di Puglia – parlava come se fosse già fuori dal partito. Ora, a fine giornata, va al microfono teso, rigido, a dire ci sono stati equivoci, malintesi, incomprensioni. Se Renzi dice che non si va a votare allora ok, avevo capito male. «Ho commesso errori », brusio in sala, «penso che sia questione di piccoli meccanismi si può ancora recuperare, basta un gesto, nessuno ha detto che Renzi non debba ricandidarsi«, Renzi ride e allarga le braccia, «è solo un problema di metodo, ho fiducia nel segretario», brusio più forte.






A mio avviso non escono dal PD. Facendo un po’ di conti, anche ipotizzando  prendessero il 10% di voti, siccome per sottrazione perde il PD, vanno in Parlamen to con quattro gatti. Meglio quindi costituire dei gruppi autonomi nelle due Camere per attuare un’estenuante stop and go verso il governo ed arrivare alle elezioni contrattando
un 10% di capilista (che poi saranno sempre e solo i soliti che hanno iniziato il caos: alla faccia degli sherpa che li faranno pure vincere il ricco seggio).
Fine del cinema perché tra le altre cose ci sono di mezzo dei referendum, le elezioni amministrative, la riforma elettorale e la legge di stabilità 2018. Oltre all’aggiustamento conti 2017 se ‘sto maledetto PIL non cresce almeno all’1,2%.
La «reazione» degli elettori PD è stata forte e netta: un NO deciso alla divisione che ha messo nei casini quello che é (forse) il più simpliciotto del quintetto.




































































































































































































































Quintetto che ha sottovalutato la forza delle rete che ha messo a nudo forza dialettica contenuti volti versi gesti di tutto il circo massimo della direzione nazionale.
Non siamo dei pipottini che guardano stupiti e passivi ai grandi che si sputtanano l’un l’altro. Adesso vi prendiamo a botte. Metaforiche: ma sempre botte. I dirigenti PD non hanno compreso che oggi la rete costruisce dibattito e democrazia e partecipazione proprio laddove prima era difficilissimo crearle e discuterne.
Quelli che oggi escono dal PD sono gli uomini che per mezzo secolo hanno cercato di tenere sempre dentro tutto e tutti col risultato che oggi abbiamo 1330 miliardi di debito pubblico ed una crescita ferma a zero da vent’anni. In realtà l'unico risultato positivo che hanno conseguito é la rispettiva garanzia di essere






















































































































































































Dopo di lui Antonello Giacomelli, renziano: «Sono contento di parlare dopo il sosia di Emiliano», risate in platea. Nessuno replica dal palco. In sala sì, in sala dicono: Emiliano avrà considerato che gli conviene la corsa interna anziché quella esterna, avrà fatto i suoi conti. Renzi non risponde. Un muro di silenzio e appuntamento a martedì, in direzione Pd
Non sono serviti a niente gli interventi di quattro segretari, Fassino, l'ultimo dei Ds (preciso sulle conseguenze: «Parliamo di responsabilità e di destini, stiamo dando campo libero alle destre, anche a quella dei 5Stelle »), poi Epifani, Veltroni, Franceschini. Nulla può l'appello di Andrea Orlando, emozionatissimo, la sinistra che resta dentro: «C'è qualcosa si più grande dei nostri destini, evitiamo il populismo nel nostro dibattito». Orlando, potrebbe essere lui, nel Pd, il candidato segretario che resta dal vecchio Pci.




sempre stati rieletti. Oggi gli elettori PD non li vogliono più. Il quintetto -avete notato che hanno fatto una «foto a tre» e non in cinque?- rappresenta una certa parte della società che pensa ragiona pretende che «lo stato ci  deve aiutare» ragion per cui scopriamo che col jobs act si sono consolidate le occupazioni degli anziani e si alleggerite quelle dei giovani mentre nel settore pubblico ne succedono ancora di tutti i colori - scuola docet- lo dice l’ISTAT e la cronaca. Il quintetto lavora da tre anni per demolire il risultato per colpire l’»usurpatore» fiorentino.
Le lamentazioni «contro» la «buona scuola» renziana sono le lamentazioni di un corpo docente e sindacale che  dal 25 aprile 1945 si è costituito in cinquanta corporazioni (forse sono anche di più) e pretendono di dettare legge beccandosi tra di loro












































































































































































come  i polli di Renzo (al singolare...). Nessuno del quintetto ha avuto il coraggio di dire: se mancano inse gnanti al nord e sono in sovrannumero al sud che bisogna fare? Spostiamo gli studenti o gli insegnanti?!. Lasciateci fare i cazzi nostri e dateci i soldi per continuare il nostro tran tran. Fossi stato in Renzi avrei detto alle cento sigle sindacali della scuola: scrivete la riforma entro la data X sull’assegnazione degli insegnanti che noi ci limitiamo a mettere  queste risorse. Invece un circuito malavitoso tra stato centrale e corpo insegnante ha mandato in vacca anche il buono che c’era. Per fortuna i sindaci hanno provveduto, almeno ove possibile agli investimenti decisi.
Aboliamo i vouchers riducen done al minimo l’applica zione? Bene!. Vediamo quante ore di lavoro si vanno a perdere  quanta evasione si determina. Non abbiamo sentito dal quintetto il


















































































































































































































Lo sa e si vede. «Vi prego, guardate alla marcia di Barcellona per accogliere i rifugiati. Per la sinistra c'è ancora speranza». Con la esse minuscola. Barcellona la governa Podemos, non il Psoe. A Rimini intanto il congresso di Sinistra Italiana fonda il partito e incorona Fratoianni segretario: «Parleremo con la sinistra Pd solo se lascia il governo». Il governo, Gentiloni seduto affianco a Renzi, è ben saldo per ora e molto omaggiato dal partito. Perché il partito, il Pd, anche senza i bersaniani resta, fa presente l'orfiniano Francesco Verducci. Quello che non è chiaro se resti, alla vigilia delle elezioni amministrative e alle porte del congresso, in questa nebulosa di intenti e in questa povertà di contatto con le cose della vita, sono gli elettori. «Peggio della scissione c'è solo il ricatto. Cosi facciamo un regalo a Grillo», dice Renzi. Più che Grillo la questione sono gli elettori, gli italiani. In questo film in cui si esce dalla sala senza capire esattamente la fine, la questione è chi si prende la responsabilità di fare il regalo a chi. Il film è finito, questo è chiaro. Faceva tristezza e paura a quasi tutti, anche questo è evidente. Presto, dal voto, sapremo chi ha vinto. Non il Tapiro: chi ha vinto la responsabilità di governare il futuro.

Concita De Gregorio



cinquettio: noi ci proponiamo di ridurre al minimo l’evasione fiscale e contributiva in 3-5 anni.
Legge elettorale e riforma costituzionale. E’ evidente che occorre cedere un po’ di sovranità per mantenere una governabilità accettabile. La situazione è che ne col proporzionale ne col doppio turno si ottiene un risultato. Meglio cedere un po’ di sovranità popolare  per un premio di maggioranza ad una formazione democratica o ai pentastellati o al CDX+Lega?
Il lavoro che manca ai giovani. Vorrei sentire da Renzi e dal quintetto la risposta a questa semplice domanda. Com’è che USA e Germania che hanno disoccupazione inferiore al 5% hanno crescite del PIL attorno al 3%? Se questi ragionamenti sono corretti, questi due paesi dovrebbero crescere come un panino che lievita. Non è così. Un’altra domanda. Il «debito pubblico» che indubbiamente va fermato e ridotto va trattato come il debito della massaia verso il pizzicagnolo oppure un mero scambio tra paesi. Io compero il tuo debito così tu compri le mie merci. Per levare il pelo a chi tiene debito publico perché tassato al 26% basta inserirlo  nel 730 e cominceranno a investirlo nelle imprese (a cui chiedono lavoro i figli dei pensionati con tanti BOT in banca...). Non ho sentito ne il quintetto ma nemmeno Renzi promettere un raddrizzamento del problema.
Ecco perché non usciranno. Primo perché molti di loro perderanno il seggio. Secondo perché noi elettori PD non siamo più dei pipottini.









































































































































































































































































































































































divorzi piddini: e a Curen?




















Bergamo News s'é precipitato a domandare ai parlamentari PD bergamaschi (quelli che hanno voluto rispondere)  con chi si sono schierati o si schiereranno e nei prossimi giorni sarà tutta un piovere di comunicati dichiarazioni divorzi brevi, divorzi lunghi. Meglio non domandarlo ai piddini curnesi, tantomeno a consiglieri  sindaco e assessori, stretti tra la sgaggia per l'eventuale botta nazionale e la speranza di un secondo botto locale. Per esempio. Sarebbe interessante per capire chi sono oltre le parole e il "manifesto dei valori" che un sindaco o gli assessori raccontassero che quotidiani leggono, che riviste  e che libri hanno letto nell'ultimo anno. Che trasmissioni prediligono. Insomma quel "filo di umanità" che perfino la casalinga di Bottanuco si lascia andare a confessare alle amiche. A noi pare che -l'abbiamo constatato in due occasioni- che non leggono nemmeno con attenzione critica le delibere che approvano e se sottolinei loro interrogativo le contraddizioni nei testi, te la ribaltano contro senza nemmeno leggere quello che hanno approvato.