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NUMERO 303

































































PD:Sergio Chiamparino chiama Matteo Renzi alla sfida del congresso anticipato: "serve un nuovo programma".





Questo Pd ha più candidati leader che iscritti. Servirebbe una strategia congressuale, un federatore, uno che metta insieme l'impossibile. Diciamolo: è il momento di D'Alema.


















































































Caro direttore,nel dibattito che si sta sviluppando nel Pd e dintorni, dopo la sconfitta referendaria, emergono solo posizionamenti di potere, di singoli e di gruppi, del tutto legittimi e anche necessari, ma che dovrebbero essere legati a visioni e a progetti politici per il Paese. Visioni e progetti che invece non ci sono o che ci sono talmente poco da non essere percepiti.
Abbiamo perso il referendum perché gli elettori hanno colto l'occasione per bocciare una politica che, per quasi un anno, ha inchiodato il Paese su temi di ingegneria istituzionale, certo rilevanti, ma gestiti in maniera tale da rafforzare quell'immagine autoreferenziale della politica da tempo sul banco degli imputati. Con un decisionismo declamatorio spesso percepito come arrogante, che non ha peraltro raggiunto i risultati promessi.






Dimenticate, se lo sapete e se ve lo ricordate, che ho scritto di preferire Enrico Rossi agli altri candidati alla segreteria dl Pd. Dimenticatelo per il breve tempo che occuperete a leggere questo articolo perché vorrei fare alcune notazioni su quel che sta accadendo. L'area che chiamiamo centro-sinistra ha al momento una folla di protagonisti e di aspiranti che sembra un talent di “attempati” signori, senza neppure una donna, però. C'è in primo luogo Matteo Renzi, che sta perdendo pezzi e deve stare molto attento a quelli che gli stanno scappando di casa, ma ha una forza: probabilmente ha il controllo di tanta parte degli iscritti.

GLI EX PCI DISTRUTTI DAGLI EX DC.
 Vi ricordate quando ambienti della Margherita non volevano il Pd perché, dicevano, che l'apparato comunista li avrebbe distrutti? È successo il contrario. L'apparato comunista è stato distrutto dai “balenotteri bianchi”. Tenaci come formiche, su tutto il territorio, gente di Renzi, di Franceschini, di Del Rio, di Fioroni si è dedicata a raccogliere iscritti per cui, ogni volta che parli di tradizioni della sinistra, vedi che a molti militanti del nuovo Pd non gliene frega niente. Non è una mutazione genetica, ma è una mutazione.

UNA BASE ELETTORALE TRASFORMATA.
Insomma, la base del Pd è largamente trasformata. Di qui la fretta di Renzi per il congresso. Vuole impedire due rischi:
che il tesseramento cresca con l'innesto nel Pd di un popolo di sinistra galvanizzato dalla vittoria del 'No' e che i suoi rivali democristiani abbiano la possibilità di fare terra bruciata attorno a lui. Fuori da questa area che già conta un leader dimezzato (Renzi), un leader in costante propensione verso il vertice (Franceschini), un leader, anzi due, di transizione (Del Rio e Gentiloni), c'è un altro mondo. 








































































































































Una ricerca esasperata del consenso a breve termine e a ogni costo che ha finito per oscurare quelle politiche e quei risultati che pure ci sono stati, se solo si pensa a una legge storica come quella sulle unioni civili o alle politiche di accoglienza verso i migranti, o ancora alla giusta sfida per un'Europa democratica e non burocratica.

Mi pare che di tutto ciò vi sia poca consapevolezza, prevale la rimozione. Una rimozione tanto più grave perché la bocciatura è venuta prevalentemente dai giovani e dalla parte più debole del Paese, cioè dove la sinistra dovrebbe guardare con maggiore attenzione.
Quanta flessibilità (cioè disponibilità finanziaria a debito) abbiamo ottenuto in sede europea nelle ultime leggi di Stabilità e quanta ne abbiamo utilizzata per una riduzione di tasse senza qualità di cui l'abolizione dell'Imu sulla prima casa per tutti è la rappresentazione concreta?
Quanta ne abbiamo utilizzata per una politica di incentivi al lavoro e all'impresa che hanno fatto, nel migliore dei casi, l'effetto fiammata, senza creare convenienze di medio periodo per una ripresa degli investimenti e dell'occupazione? D'altra parte, ogni qualvolta si incentiva qualcosa è difficile stabilire se quel qualcosa non sarebbe stato fatto lo stesso anche senza agevolazioni, mentre, per converso, è certo che appena l'agevolazione finisce tutto si ferma.
Ormai da alcuni anni la Guardia di finanza stima in circa 110 miliardi di euro annui il volume dell'evasione fiscale. Che sia una cifra da capogiro inutile dirlo.



















































































































































































































































































































































































Ammettiamo, a essere generosi, che il 40% sia fisiologica (perché l'Italia è larga e lunga etc), stiamo comunque parlando di circa 60–70 miliardi di euro, l'equivalente di tre, quattro leggi di Stabilità. Né possiamo pensare che bastino gli 007 della Finanza per fare emergere tanta evasione. È evidente che ci sono storture del sistema fiscale cui bisogna rimediare. Ci vorrebbe una riforma, si sarebbe detto un tempo.

Proviamo allora a sommare e riordinare queste cifre e ci troveremo davanti, senza esagerare, a un centinaio di miliardi, un vero e proprio tesoro da impiegare per accelerare gli investimenti pubblici soprattutto nella scuola (sicurezza e qualità degli edifici), nella sanità (edilizia e innovazione tecnologica), nella difesa del territorio (messa in sicurezza e bonifiche), per rafforzare, anche mettendo a sistema i fondi europei attribuiti alle Regioni, investimenti sugli Atenei e su formazione e ricerca, cioè sui fattori che possono attrarre investimenti esteri e indurre le nostre imprese a investire e assumere. E poi ancora per avere una base finanziaria solida da cui partire per riformare le politiche sociali, costruendo un reddito di inclusione che sostenga per un periodo definito, non troppo breve, chi cerca lavoro una volta finiti i percorsi formativi, così come quelle persone che perdono reddito e ammortizzatori sociali nel corso della loro vita lavorativa.
Quel che è stato è stato e non è più recuperabile.
Però su questa base si potrebbe delineare un terreno di negoziazione con l'Unione Europea chiaro, finalizzato alla crescita e alla coesione sociale, insieme all'altro grande tema che è quello dell'accoglienza dei migranti.

A questo punto, se fossi Renzi, su una base di questo tipo definirei una piattaforma politico-programmatica nuova e accetterei fino in fondo la sfida del congresso anticipato riproponendo la sua leadership, anche per non disperdere quell'energia e quello slancio che un paio di anni fa avevano rappresentato una speranza nuova per la sinistra e per il Paese.
Vent'anni e più dopo la crisi della cosiddetta Prima Repubblica sembra che il morto riafferri il vivo. Per impedire che lo soffochi non servono, o comunque non bastano, tecniche di ingegneria elettorale. Ci vogliono soggetti politici forti, capaci — se necessario — di costruire alleanze credibili e durature qualunque sia il sistema elettorale.
Infine, per non sfuggire ai «retroscena», non intendo candidarmi a nulla, né, tantomeno, partecipare a operazioni scissionistiche. Ne abbiamo già avute troppe. Voglio solo terminare il mandato che i cittadini piemontesi mi hanno affidato senza il rimorso di non aver detto quel che pensavo.

Sergio Chiamparino
presidente della Regione Piemonte
Lettera al Corriere della Sera













Una parte di questo mondo appoggia Renzi fino all'ultima raffica. Penso a Matteo Orfini che non può né tornare indietro né andare se non seguendo il suo capo.
Povero Renzi, che ha fallito nell'unica cosa che si vantava gli fosse riuscita, la rottamazione di D'Alema
La corrente dei “giovani turchi” però è dimezzata perché il ministro della Giustizia Orlando sente qualche profumo di sinistra, aspira a tutte e due le cariche, segretario e premier, è stato battezzato dai miglioristi d'antan, a cominciare Giorgio Napolitano, gode della fiducia di Ugo Sposetti. Orlando potrebbe essere l'uomo della mediazione fra i renziani che non si sono macchiati di “reati di sangue” (come dice D'Alema) e la sinistra.

UNA FILA INFINITA DI POTENZIALI LEADER.
Poi c'è Michele Emiliano, il dirompente governatore pugliese, su cui ho detto tutto, sia l'affetto sia il timore per la sua disinvoltura. Ci sarebbe da prendere in considerazione in questo elenco anche Martina, ottimo ministro dell'Agricoltura, ma figura che non buca il video (come Orlando del resto). Poi c'è Rossi di cui non dico che bene. Ora si sta aggiungendo, un po' dentro e un po' fuori, Giuliano Pisapia con il suo “campo progressista” in cui arruola bella gente a cominciare da Cuperlo. L'elenco ha il nome del giovane Speranza, che Bersani ora lancia ora butta giù dalla torre. I bersaniani probabilmente hanno un seguito fra i tesserati, ma sembrano in calo.

SERVIREBBE UN FEDERATORE.
Questa grande confusione che non rende la situazione eccellente avrebbe bisogno di un federatore. Non un federatore del lato del renzismo. I concorrenti dell'attuale segretario Pd non hanno possibilità di sostituirlo, se non con un “golpe”. Dal lato di sinistra, invece, l'affollarsi di nomi, di storie, di proposte, di citazioni anche 'a schiovere' di Sanders può finire solo in una confusa aggregazione che Renzi batterebbe. Servirebbe una strategia congressuale, un federatore, uno che metta insieme l'impossibile. Diciamolo: è il momento di D'Alema. Povero Renzi, che ha fallito nell'unica cosa che si vantava gli fosse riuscita, la rottamazione del deputato di Gallipoli.

Peppino Caldarola
Lettera 43