|
|
Alle
dimissioni “respinte con riserva” nessuno aveva mai osato pensare,
neanche i raffinati teorici delle “convergenze parallele”, perché
quando un politico getta la spugna chi sta sopra di lui — un capo dello
Stato quando si dimette un premier, per esempio — si riserva semmai di
richiamarlo per farlo tornare al suo posto.
La formula che lascia l'assessore all'Urbanistica Paolo Berdini sulla
sua poltrona ma “con riserva” di metterlo alla porta — la contorta
invenzione uscita ieri dal baule delle sorprese della sindaca di Roma —
ha introdotto le dimissioni in bianco nel mercato della politica, con
un amministratore dimezzato che, come un commesso con la busta paga
fasulla, oggi c'è e domani chissà (e se non farà il bravo di sicuro no).
L'altalena delle dimissioni dell'assessore — se ne va, no resta, anzi
se ne va davvero — ha movimentato per tutta la giornata l'interminabile
partita del Campidoglio: dal “no” alle Olimpiadi al “forse, vediamo,
dipende” al nuovo stadio della Roma, Virginia Raggi e la sua giunta
continuano a offrire agli sconcertati spettatori della Capitale uno
spettacolo davvero a cinque stelle, negli intervalli della telenovela
sugli amori segreti, sulle promozioni familiari e sulle polizze vita
che ruotano intorno a una donna sempre di più sull'orlo di una crisi di
nervi.
Certo, quando sul tavolo ci sono uno stadio, un ponte, una stazione
della metropolitana, un mega parcheggio e tre gigantesche torri alte
duecento metri, un piatto da un miliardo e 700 milioni, non è pensabile
decidere all'istante, prendere o lasciare. Ma la sindaca grillina
finora ha giocato questa partita nel peggiore dei modi. Prima ha
scritto nel suo programma che questo stadio non s'ha da fare, e dunque
ha nominato assessore proprio l'ingegnere che più di ogni altro si era
battuto contro il progetto del presidente Pallotta e dei costruttori
Parnasi, ovvero Paolo Berdini. Dopodiché, seguendo i consigli di quel
vicesindaco Frongia senza il quale sembrava non potesse muovere un
passo, ha cominciato a ripensarci, ha fatto una mezza marcia indietro e
a poco a poco è diventata possibilista, passando dal “no, mai” al
“vediamo, dipende”.
Poi, quando è sceso in campo persino Francesco Totti, e s'è visto che
il numero di condivisioni, retweet e like per il Capitano superava di
gran lunga il totale dei voti che lei aveva raccolto alle elezioni,
Virginia Raggi ha capito che gli sportivi potevano essersi rassegnati
alla cancellazione delle Olimpiadi, |
|
|
|
|
|
|
|
|
Il
sindaco di Roma è un lavoro fra i più belli e difficili del mondo. Il
sindaco di Roma è anche fra le persone più importanti del mondo, non
solo per il potere che ha ma soprattutto per il valore simbolico che
l'incarico porta con sé.
Sembra che la città si sia dimenticata della sua storia.
Sugli inquilini del Campidoglio si è esercitata l'iconoclastia della
chiacchiera feroce. Sembra che Roma non sia mai stata governata. Sembra
che non ci siano mai stati Argan, Petroselli e Vetere, che non abbia
fatto rinascere la città Nicolini, che non abbia avuto trai suoi
amministratori un perso naggio come Walter Tocci, che non ci sia stato
un periodo che io considero positivo con quello delle giunte di Rutelli
e di Veltroni.
Un Paese senza memoria
Oggi tutto viene sporcato, rac contato come un unico disastro. È un
Paese che non ha memoria vera e quella che ha preferisce adden sarla di
cose oscure. Forse la mia non recente cittadinanza romana non arriva
tuttavia a farmi apprez zare le giunte precedenti ad Argan, ma non
escludo che anche prima di quella stagione d'oro vi siano stati buoni
sindaci. Dopo è venuto Alemanno.
Alemanno è diventato sindaco per caso. L'esponente radicale di
destra si era sempre presentato come alternativo al candidato di
centro-sinistra, sapendo di essere perdente ma avvantaggiandosi
|
|
|
|
le dimissioni dei consi glieri
davanti al notaio.
Il dato di fondo è che Virginia Raggi è ina deguata non solo per Roma ma anche per Cellino san Marco
Da qui il Movimento 5 stelle. Ora sappia mo dai protagonisti che i
grillini, prepara ndosi alla vittoria, si sono fatti la guerra a colpi
di dossier segre ti. Sappiamo che avevano programma ticamente deciso di
contrastare vecchi pa lazzinari ma si sono messi nelle mani di altri
potenti.
Sappiamo che avreb bero governato una città difficile che aveva perso,
fra Ale manno e Marino, circa sette anni. Sap piamo tutto. Non sapevano
che avreb bero fatto eleggere, con pochi voti nelle loro primarie, un
personaggio del tutto inadatto.
Raggi,chiaramente inadatta.
Dite quel che volete, difendiamola dalla persecuzione giudi ziaria, se
c'è, non occupiamoci dei suoi amori, ma il dato di fondo è che Virginia
Raggi è inadeguata per Roma ma anche per Cellino san Mar co. In questi
mesi non abbiamo ascolta to da lei un progetto, una frase che mos
trasse competenza su qualcosa. Un segno di vitalità. Ha curato
ossessivamente ques ta sua immagine di “acqua cheta” che ha addolcito
molti elet tori uomini e attem pati corsi in soccorso di una delle
donne più potenti del mon do.
I 5 stelle hanno scelto la peggiore candidata.
I filo-grillini dicono che lei non rappre senta il Movimento perché a
Torino c'è la Appendino. Due obie zioni. La Appendino ha trovato una
strada asfaltata da ottimi predecessori. Sicuramente è brava ma ha
lavorato sul sicuro. Torino non è Roma, Roma con i suoi casini è il
posto che più assomiglia all'Italia. Qui per faide interne i grillini
hanno scelto la peggiore che avevano e ora ci propongono come futuro
premier il peggiore che hanno, cioè quel Di Maio, gagà napoletano sor
ridente ma che cova minaccia e prepo tenza come è nel personaggio a cui
si richiama. Grillo non perde ancora voti perché è il partito del 'No'.
I suoi avversari dovrebbero disinte ressarsi del caso giudiziario Raggi
e dei suoi veri o presuti amanti.
Devono dire al Paese che
qui si è mani festata l'incapacità e impossibilità dei gril lini a
governare. Un bel libro bianco da distribuire in milioni di copie no?
Peppino Caldarola
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
della proiezione nazionale che quel lo scontro gli dava.
Anche
essere il miglior perdente fa bene a una buona carriera politica. Poi
vinse. Vinse perché Francesco Rutelli non avrebbe dovuto ripresentarsi
e perché l'esponente Pd fu in qualche modo tradito da molti di sinistra.
Alemanno e Marino, incapaci di fare il sindaco.
Alemanno sindaco si trovò di fronte a una macchina che non sapeva
guidare e la portò a sbattere. Dopo di lui il centro- sinistra non
aveva candidati. Aveva un sindaco potenzialmente molto bravo, Paolo
Gentiloni, o un sinda co che molti a sinistra volevano fortemente,
Nicola Zingaretti. Fuori loro, Gentiloni perse le primarie, vinse il
dottor Marino, perso naggio esuberante che negli
anni aveva consumato la sua buona fama e che iniziò bloccando la
viabilità attorno al Colosseo.
Le scelte auto lesioniste del PD.
Fu assediato, storiacce di scontrini lo hanno reso inviso, la storia
dell'auto parcheggiata fuori posto non l'ha reso simpatico. Marino,
soprattutto, non ha fatto il sindaco e quando lo ha fatto, fra un
viaggio all'este ro e un altro, lo ha fatto male. Il Pd poteva farlo
dimet tere in tanti modi o tenerselo, ma la furbizia autolesio nista di
Orfini scelse il metodo peggiore:
|
|
|
|
|
|
|
|
Prima
ha confidato a Federico Capurso de La Stampa che la sindaca è
«inadeguata», anzi «impreparata strutturalmente». Che «si è messa
vicino una banda», invece di scegliere «il meglio del meglio di Roma».
E che lei e Romeo sono «degli sprovveduti», perché lui già al secondo
giorno aveva scoperto che «erano amanti» e non ci sarebbe stato nulla
di male a dirlo chiaro e tondo, invece di cadere dal pero quando è
uscita la notizia della polizza sulla vita: «Questa donna che dice che
non sapeva niente, ma a chi la racconti?».
Poi ha fatto una smentita che non smentiva una sola parola (non poteva:
era tutto registrato), ma in compenso ricopriva di insulti — come da
manuale del perfetto grillino — quel giornalista che aveva fatto
(benissimo) il suo mestiere di cronista.
Un pasticcio nel pasticcio, che naturalmente la sindaca — appena
ribattezzata «la depensante», a quanto pare dallo stesso Beppe che
aveva scritto «Er sinnaco nun se tocca» — non poteva far finta di non
vedere. E così ha convocato l'assessore, il quale le ha chiesto scusa e
ha presentato le dimissioni.
E qui è arrivato il capolavoro di Virginia Raggi. Che avrebbe potuto (e
forse dovuto) accettare quelle dimissioni. E invece le ha «respinte con
riserva », inventandosi su due piedi una formula che davvero neanche il
più bizantino degli andreottiani avrebbe osato proporre. Così abbiamo
avuto un pasticcio nel pasticcio del pasticcio. Un pasticcio destinato
ad avere vita breve.
Eppure, tra sospetti e veleni, tra gaffe e censure, tra inchieste e
dimissioni, per i Cinquestelle l'importante è andare avanti. Con
riserva, naturalmente.
Sebastiano Messina
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|
|