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NUMERO 301















































































Alle dimissioni “respinte con riserva” nessuno aveva mai osato pensare, neanche i raffinati teorici delle “convergenze parallele”, perché quando un politico getta la spugna chi sta sopra di lui — un capo dello Stato quando si dimette un premier, per esempio — si riserva semmai di richiamarlo per farlo tornare al suo posto.

La formula che lascia l'assessore all'Urbanistica Paolo Berdini sulla sua poltrona ma “con riserva” di metterlo alla porta — la contorta invenzione uscita ieri dal baule delle sorprese della sindaca di Roma — ha introdotto le dimissioni in bianco nel mercato della politica, con un amministratore dimezzato che, come un commesso con la busta paga fasulla, oggi c'è e domani chissà (e se non farà il bravo di sicuro no).
L'altalena delle dimissioni dell'assessore — se ne va, no resta, anzi se ne va davvero — ha movimentato per tutta la giornata l'interminabile partita del Campidoglio: dal “no” alle Olimpiadi al “forse, vediamo, dipende” al nuovo stadio della Roma, Virginia Raggi e la sua giunta continuano a offrire agli sconcertati spettatori della Capitale uno spettacolo davvero a cinque stelle, negli intervalli della telenovela sugli amori segreti, sulle promozioni familiari e sulle polizze vita che ruotano intorno a una donna sempre di più sull'orlo di una crisi di nervi.
Certo, quando sul tavolo ci sono uno stadio, un ponte, una stazione della metropolitana, un mega parcheggio e tre gigantesche torri alte duecento metri, un piatto da un miliardo e 700 milioni, non è pensabile decidere all'istante, prendere o lasciare. Ma la sindaca grillina finora ha giocato questa partita nel peggiore dei modi. Prima ha scritto nel suo programma che questo stadio non s'ha da fare, e dunque ha nominato assessore proprio l'ingegnere che più di ogni altro si era battuto contro il progetto del presidente Pallotta e dei costruttori Parnasi, ovvero Paolo Berdini. Dopodiché, seguendo i consigli di quel vicesindaco Frongia senza il quale sembrava non potesse muovere un passo, ha cominciato a ripensarci, ha fatto una mezza marcia indietro e a poco a poco è diventata possibilista, passando dal “no, mai” al “vediamo, dipende”.
Poi, quando è sceso in campo persino Francesco Totti, e s'è visto che il numero di condivisioni, retweet e like per il Capitano superava di gran lunga il totale dei voti che lei aveva raccolto alle elezioni, Virginia Raggi ha capito che gli sportivi potevano essersi rassegnati alla cancellazione delle Olimpiadi,








Il sindaco di Roma è un lavoro fra i più belli e difficili del mondo. Il sindaco di Roma è anche fra le persone più importanti del mondo, non solo per il potere che ha ma soprattutto per il valore simbolico che l'incarico porta con sé.

Sembra che la città si sia dimenticata della sua storia. Sugli inquilini del Campidoglio si è esercitata l'iconoclastia della chiacchiera feroce. Sembra che Roma non sia mai stata governata. Sembra che non ci siano mai stati Argan, Petroselli e Vetere, che non abbia fatto rinascere la città Nicolini, che non abbia avuto trai suoi amministratori un perso naggio come Walter Tocci, che non ci sia stato un periodo che io considero positivo con quello delle giunte di Rutelli e di Veltroni.

Un Paese senza memoria
Oggi tutto viene sporcato, rac contato come un unico disastro. È un Paese che non ha memoria vera e quella che ha preferisce adden sarla di cose oscure. Forse la mia non recente cittadinanza romana non arriva tuttavia a farmi apprez zare le giunte precedenti ad Argan, ma non escludo che anche prima di quella stagione d'oro vi siano stati buoni sindaci. Dopo è venuto Alemanno.
Alemanno è diventato sindaco per caso. L'esponente radicale di destra si era sempre presentato come alternativo al candidato di centro-sinistra, sapendo di essere perdente ma avvantaggiandosi



le dimissioni dei consi glieri davanti al notaio.
Il dato di fondo è che Virginia Raggi è ina deguata non solo per Roma ma anche per Cellino san Marco
Da qui il Movimento 5 stelle. Ora sappia mo dai protagonisti che i grillini, prepara ndosi alla vittoria, si sono fatti la guerra a colpi di dossier segre ti. Sappiamo che avevano programma ticamente deciso di contrastare vecchi pa lazzinari ma si sono messi nelle mani di altri potenti.
Sappiamo che avreb bero governato una città difficile che aveva perso, fra Ale manno e Marino, circa sette anni. Sap piamo tutto. Non sapevano che avreb bero fatto eleggere, con pochi voti nelle loro primarie, un personaggio del tutto inadatto.

Raggi,chiaramente inadatta.
Dite quel che volete, difendiamola dalla persecuzione giudi ziaria, se c'è, non occupiamoci dei suoi amori, ma il dato di fondo è che Virginia Raggi è inadeguata per Roma ma anche per Cellino san Mar co. In questi mesi non abbiamo ascolta to da lei un progetto, una frase che mos trasse competenza su qualcosa. Un segno di vitalità. Ha curato ossessivamente ques ta sua immagine di “acqua cheta” che ha addolcito molti elet tori uomini e attem pati corsi in soccorso di una delle donne più potenti del mon do.

I 5 stelle hanno scelto la peggiore candidata.
I filo-grillini dicono che lei non rappre senta il Movimento perché a Torino c'è la Appendino. Due obie zioni. La Appendino ha trovato una strada asfaltata da ottimi predecessori. Sicuramente è brava ma ha lavorato sul sicuro. Torino non è Roma, Roma con i suoi casini è il posto che più assomiglia all'Italia. Qui per faide interne i grillini hanno scelto la peggiore che avevano e ora ci propongono come futuro premier il peggiore che hanno, cioè quel Di Maio, gagà napoletano sor ridente ma che cova minaccia e prepo tenza come è nel personaggio a cui si richiama. Grillo non perde ancora voti perché è il partito del 'No'. I suoi avversari dovrebbero disinte ressarsi del caso giudiziario Raggi e dei suoi veri o presuti amanti.
Devono dire al Paese che qui si è mani festata l'incapacità e impossibilità dei gril lini a governare. Un bel libro bianco da distribuire in milioni di copie no?

Peppino Caldarola

















































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































ma i tifosi non avrebbero mai rinunciato al sogno del nuovo stadio, e dunque ha rapidissima mente virato verso la curva sud giallo rossa, rispondendo “Ci stia mo lavorando” all'hashtag #famostostadio e attrezzan dosi a un compromesso con la Roma e con i costruttori.
Da qui l'ira dell'assessore Berdini, uno che è stato dirigente del Wwf e di Italia Nostra, ha scritto La città in vendita e Breve storia dell'abuso edilizio in Italia,
è stato segretario dell'Istitu to nazionale di urbanistica e ha fatto del no allo stadio la battaglia della sua vita. vvistando il pasticcio incom bente, Berdini ne ha fatto però un altro.








































































































































































della proiezione nazionale che quel lo scontro gli dava.
Anche essere il miglior perdente fa bene a una buona carriera politica. Poi vinse. Vinse perché Francesco Rutelli non avrebbe dovuto ripresentarsi e perché l'esponente Pd fu in qualche modo tradito da molti di sinistra.

Alemanno e Marino, incapaci di fare il sindaco.
Alemanno sindaco si trovò di fronte a una macchina che non sapeva guidare e la portò a sbattere. Dopo di lui il centro- sinistra non aveva candidati. Aveva un sindaco potenzialmente molto bravo, Paolo Gentiloni, o un sinda co che molti a sinistra volevano fortemente, Nicola Zingaretti. Fuori loro, Gentiloni perse le primarie, vinse il dottor Marino, perso naggio esuberante che negli anni aveva consumato la sua buona fama e che iniziò bloccando la viabilità attorno al Colosseo.

Le scelte auto lesioniste del PD.
Fu assediato, storiacce di scontrini lo hanno reso inviso, la storia dell'auto parcheggiata fuori posto non l'ha reso simpatico. Marino, soprattutto, non ha fatto il sindaco e quando lo ha fatto, fra un viaggio all'este ro e un altro, lo ha fatto male. Il Pd poteva farlo dimet tere in tanti modi o tenerselo, ma la furbizia autolesio nista di Orfini scelse il metodo peggiore:







































































































































Prima ha confidato a Federico Capurso de La Stampa che la sindaca è «inadeguata», anzi «impreparata strutturalmente». Che «si è messa vicino una banda», invece di scegliere «il meglio del meglio di Roma». E che lei e Romeo sono «degli sprovveduti», perché lui già al secondo giorno aveva scoperto che «erano amanti» e non ci sarebbe stato nulla di male a dirlo chiaro e tondo, invece di cadere dal pero quando è uscita la notizia della polizza sulla vita: «Questa donna che dice che non sapeva niente, ma a chi la racconti?».
Poi ha fatto una smentita che non smentiva una sola parola (non poteva: era tutto registrato), ma in compenso ricopriva di insulti — come da manuale del perfetto grillino — quel giornalista che aveva fatto (benissimo) il suo mestiere di cronista.
Un pasticcio nel pasticcio, che naturalmente la sindaca — appena ribattezzata «la depensante», a quanto pare dallo stesso Beppe che aveva scritto «Er sinnaco nun se tocca» — non poteva far finta di non vedere. E così ha convocato l'assessore, il quale le ha chiesto scusa e ha presentato le dimissioni.
E qui è arrivato il capolavoro di Virginia Raggi. Che avrebbe potuto (e forse dovuto) accettare quelle dimissioni. E invece le ha «respinte con riserva », inventandosi su due piedi una formula che davvero neanche il più bizantino degli andreottiani avrebbe osato proporre. Così abbiamo avuto un pasticcio nel pasticcio del pasticcio. Un pasticcio destinato ad avere vita breve.
Eppure, tra sospetti e veleni, tra gaffe e censure, tra inchieste e dimissioni, per i Cinquestelle l'importante è andare avanti. Con riserva, naturalmente.

Sebastiano Messina