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NUMERO 296






























































gli italiani, vecchi e giovani, non sanno ne leggere, ne scrivere, ne capire uno scritto.
































“Rimettere al centro fin dalle prime classi lessico, sintassi e grammatica” Già 600 adesioni alla lettera aperta
“Aiuto, gli studenti non sanno l'italiano” E i professori universitari scrivono al governo.
Scrivono male, leggono poco e faticano a esprimersi. È inclemente il giudizio dei professori universitari sugli studenti che si iscrivono ai loro corsi. Troppo spesso si portano dietro lacune che risalgono ai tempi di elementari e medie. In una lettera firmata da 600 tra rettori, accademici della Crusca e professori di tutta Italia si chiede al presidente del Consiglio, alla ministra dell'Istruzione e al Parlamento di riorganizzare i programmi del primo ciclo scolastico.

Ecco la lettera. È chiaro ormai da molti anni che alla fine del percorso scolastico troppi ragazzi scrivono male in italiano, leggono poco e faticano a esprimersi oralmente. Da tempo i docenti universitari denunciano le carenze linguistiche dei loro studenti (grammatica, sintassi, lessico), con errori appena tollerabili in terza elementare. Nel tentativo di porvi rimedio, alcuni atenei hanno persino attivato corsi di recupero di lingua italiana.
A fronte di una situazione così preoccupante il governo del sistema scolastico non reagisce in modo appropriato,  anche perché il tema della correttezza ortografica e grammaticale è stato a lungo svalutato sul piano didattico più o meno da tutti i governi. Ci sono alcune importanti iniziative rivolte all’aggiornamento degli insegnanti, ma non si vede una volontà politica adeguata alla gravità del problema.
Abbiamo invece bisogno di una scuola davvero esigente nel controllo degli apprendimenti oltre che più efficace nella didattica, altrimenti né il generoso impegno di tanti validissimi insegnanti né l’acquisizione di nuove metodologie saranno sufficienti. Dobbiamo dunque porci come obiettivo urgente il raggiungimento, al termine del primo ciclo, di un sufficiente possesso degli strumenti linguistici  di base da parte della grande mag gioranza degli studenti.
A questo scopo, noi sottoscritti docenti universitari ci permettiamo di proporre le seguenti linee di intervento:




Il filosofo Cacciari: le competenze linguis -tiche sono alla base dell'apprendimento

Intervista di Crisina Nadotti
La Repubblica 05 febbraio 2017

E dire che lui si ritiene fortunato.
«I miei studenti sono tutti bravissimi, ma soltanto perché c'è una selezione a monte, che parte dalla scelta del corso di studi — dice il filosofo Massimo Cacciari — Ho firmato l'appello perché mi confronto di continuo con i colleghi e anche l'evidenza indica che è una situazione disastrosa, che va avanti da anni».
Come si è arrivati a tale disastro?
«Chiariamo: la colpa non è degli studenti, né degli insegnanti, ma di chi ha smantellato la scuola disorganizzandola. L'impronta gentiliana è stata contestata e superata, ma nel momento in cui la si è sostituita non si è lavorato in modo logico. In questo modo si sono susseguiti una serie di provvedimenti senza alcun ragionato impianto pedagogico e didattico».
Come si rimedia?
«Ci vorrebbe una organizzazione didattica delle scuole medie e superiori completamente diversa. L'impianto dei vecchi licei è stato smontato senza riflettere su quali competenze siano comunque basilari per qualsiasi corso di studi. Prima c'era il nucleo forte di materie come italiano, latino, storia e filosofia al classico, lo scientifico cambiava









Il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)

Non è affatto un titolo sparato, per impressionare; anzi, è un titolo riduttivo rispetto alla realtà, che avvicina la cifra autentica all'80 per cento. E questo vuol dire che tra la gente che abbiamo attorno a noi, al
caffè, negli uffici, nella metropolitana, nel bar, nel negozio sotto casa, più di 3 di loro su 4 sono analfabeti: sembrano “normali” anch'essi, discutono con noi, fanno il loro lavoro, parlano di politica e di sport, sbrigano le loro faccende senza apparenti difficoltà, non li distinguiamo con alcuna evidenza da quell'unico di loro che non è analfabeta, e però sono “diversi”.

Quel é questa loro diversità? Che sono incapaci di ricostruire ciò che hanno appena ascoltato, o letto, o guardato in tv e sul computer. Sono incapaci! La (relativa) complessità della realtà gli sfugge, colgono soltanto barlumi, segni netti ma semplici, lampi di parole e di significati privi tuttavia di organizzazione logica, razionale, riflessiva. Non sono certamente analfabeti “strumentali”, bene o male sanno leggere anch'essi e – più o meno – sanno tuttora far di conto (comunque c'è un 5 per cento della popolazione italiana che ancora oggi è analfabeta strutturale, “incapace di decifrare qualsivoglia lettera o cifra”); ma essi sono analfabeti “funzionali”, si trovano cioè in un'area che sta al di sotto del






















































































































































































































































































































































































































































































































































































































































- una revisione delle indicazioni nazionali che dia grande rilievo all’acquisizione delle competenze di base, fondamentali per tutti gli ambi ti disciplinari.
Tali indicazioni dovrebbero contene re i traguardi intermedi imprescin dibili da raggiungere e le più importanti tipologie di esercitazioni;
-  l’introduzione di verifiche naziona li periodiche durante gli otto anni del primo ciclo: dettato ortografico, riassunto, comprensione del testo, conoscenza del lessico, analisi gram maticale e scrittura corsiva a mano.
-  Sarebbe utile la partecipazione di docenti delle medie e delle superiori rispettivamente alla verifica in uscita dalla primaria e all’esame di terza media, anche per stimolare su questi temi il confronto professionale tra insegnanti dei vari ordini di scuola.
Siamo convinti che l’introduzione di momenti di seria verifica durante l’iter scolastico sia una condizione indispensabile per l’acquisizione e il consolidamento delle competenze di base. Questi momenti costitui rebbero per gli allievi un incentivo a fare del proprio meglio e un’occ asione per abituarsi ad affrontare delle prove, pur senza dram matizzarle, mentre gli insegnanti avrebbero finalmente dei chiari obiettivi comuni a tutte le scuole a cui finalizzare una parte significativa del loro lavoro.

Pubblicheremo l’elenco completo dei firmatari. Tra i molti nomi noti numerosi Accademici della Crusca (Rita Librandi, Ugo Vignuzzi, Rosario Coluccia, Annalisa Nesi, Francesco Bruni, Maurizio Dardano, Piero Beltrami, Massimo Fanfani); i linguisti Edoardo Lombardi Vallauri, Gabriella Alfieri e Stefania Stefanelli; i rettori di quattro Università; i docenti di letteratura italiana Giuseppe Nicoletti e Biancamaria Frabotta; il pedagogista Benedetto Vertecchi e lo storico della pedagogia Alfonso Scotto di Luzio; gli storici Ernesto Galli Della Loggia, Luciano Canfora, Chiara Frugoni, Mario Isnenghi, Fulvio Cammarano, Francesco Barbagallo, Francesco Perfetti, Maurizio Sangalli; i filosofi Massimo Cacciari, Roberto Esposito, Angelo Campodonico, i sociologi Sergio Belardinelli e Ilvo Diamanti; la scrittrice e insegnante Paola Mastrocola; il matematico Lucio Russo; i costituzionalisti Carlo Fusaro, Paolo Caretti e Fulco Lanchester; gli storici dell’arte Alessandro Zuccari, Barbara Agosti e Donata Levi; i docenti di diritto amministrativo Carlo Marzuoli, di diritto pubblico comparato Ginevra Cerrina Feroni e di diritto romano Giuseppe Valditara; il neuro psichiatra infantile Michele Zappella; l’economista Marcello Messori.

Michele Bocci
La Repubblica
05 febbraio 2017

http://gruppodifirenze.blogspot.it/



A distanza di venti giorni sui quotidiani "irrompe" la triste notizia che (primo)"il 70 per cento degli italiani è analfabeta (legge, guarda, ascolta, ma non capisce)" e poi che "gli studenti non conoscono l'Italiano". Padri e figli uniti dall'ignoranza. Colpa del governo ovviamente. Poi si comprende meglio la ragione per cui alle elezioni partecipa meno del 70%.
Queste vergate sulla nostra faccia, lo si legge anche nella lettera del Gruppo di Firenze, non  sono responsabilità esclusiva degli insegnanti. Però...
Però sarebbe il caso che nei piani per il diritto allo studio finanziati dai comuni non mancassero dei buoni corsi per gli stessi insegnanti e l'inserimento nel ciclo scolastico delle indicazioni conenute nella lettera. non tutte: ma si comincia e intanto si verifica il risultato.
Il fatto é che i piani del diritto allo studio  sono mere occasioni di spesa per affrontare  problemi evidenti ma alla fine non c'é nessuno che































































































livello minimo di comprensione nella lettura o nell'ascolto di un testo di media difficoltà. Hanno perduto la funzione del comprendere, e spesso – quasi sempre - non se ne rendono nemmeno conto.
 
Quando si dice che quella di oggi non è più la civiltà della ragione ma la civiltà della emozione, si dice anche di questo. E quando Bauman (morto ieri, grazie a lui per ciò che ci ha dato) diceva che, indipendentemente da qualsiasi nostro comportamento, ogni cosa é intessuta in un discorso, anche l'”analfabetismo” sta nel “discorso”. Cioè disegna un profilo di società nella quale la competenza minima per individuare una capacità di articolazione del proprio ruolo di “cittadino” - di soggetto consapevole del proprio ruolo sociale, disponibile a usare questo ruolo nel pieno controllo della interrelazione con ogni atto pubblico e privato – questa competenza appartiene soltanto al 20 per cento dei nostri connazionali.

E' sconcertante, e facciamo fatica ad accettarlo. Ma gli strumenti scientifici di cui la linguistica si serve per analizzare il rapporto tra “messaggio” e “comprensione” hanno una evidenza drammatica.
 
Non é un problema soltanto italiano. L'evoluzione delle tecnologie elettroniche e la sostituzione del messaggio letterale con quello iconico stanno modificando un po' dovunque il livello di comprensione; ma se le percentuali attribuibili ad altre societá (anche Francia, Germania, Inghilterra, o anche gli Usa, che non sono affatto il modello metropolitano del nostro immaginario ma piuttosto un'ampia America profonda, incolta, ignorante, estremamente provinciale) se anche quelle societá denunciano incoerenze e ritardi, mai si avvicinano a queste angosciose latitudini, che appartengono soltanto all'Italia, e alla Spagna.
 
Il “discorso” è complesso, e ha radici profonde, sociali e politiche. Se prendiamo in mano i numeri, con il loro peso che non ammette ambiguità e approssimazioni, dobbiamo ricordare che nel nostro paese circa il 25% della popolazione non ha alcun titolo di studio o ha, al massimo, la licenza della scuola elementare. Non é che la scuola renda intelligenti, e però fornisce strumenti sempre più raffinati – quanto più avanti si vada nello studio - per realizzare pienamente le proprie qualità individuali. Vi sono anche laureati e diplomati che sono autentiche bestie, e però è molto più probabile trovare “bestie” tra coloro che laurea e diploma non sanno nemmeno che cosa siano. (La percentuale dei laureati in Italia, poi, é poco più della metà dei paesi più sviluppati.)

Mimmo Candito
La Stampa
10 gennaio 2017




































































































































































































































































































































































































































































































































































































vada a verificare che risultati diano alle superiori ed all'università i ragazzi usciti dalla nostra scuola rispetto alla media generale.
Più semplicemente la stragrande maggioranza degli anziani ultra 60enni non é in grado di utilizzare efficamente il cellulare per le sue utilizzaizoni di base (telefonate di emergenza, parentali e messag gistica). Lo stesso dicasi per la lettura dei bugiardini dei medicinali e la posologia. Dopo i 75 buio completo . Vedere un ragazzo-uomo sotto i venti trenta quaranta anni con in mano un quotidiano (che non sia quello rosa...) é più difficile che rinvenire una moneta per terra.
Ascoltare un telegiornale per il modo in cui vengono raccontate le storie (lasciamo perdere il contenuto) pare di assistere ad una segreteria telefonica che ti guida numero dopo numero alla... coda finale intermi nabile.
Penso che non ci sia bisogno SOLO di riprendere coi "dettati" e la "bella scrittura" il "fare bene i riassunti" di quello che si é letto o studiato.
Va messa in piedi una vera e propria scolarizzazione di massa anche perchè basta stare in mezzo a un gruppo di genitori all'esterno della scuola e sentendoli ragionare ti rendi conto che... la maggioranza di loro si autoconsola della propria ignoranza.




di poco con l'aggiunta della matema tica. Adesso si taglia il latino, si taglia la filosofia, pilastri per un apprendimento logico».
Però le critiche all'impostazione prettamente umanistica di stampo italiano sono state tante. Non le condivide?
«Sembra che l'unica cosa indispen sabile sia professionalizzare, ma non si vuole capire che alla base di ogni apprendimento ci sono le compe tenze linguistiche. Se non si sa leggere non si sa affrontare un testo scientifico né un libro di racconti. E se non si sa scrivere non si possono certo divulgare le proprie idee. Ma ripeto, di questa roba discutiamo da anni, è un vecchio discorso».