NUMERO 277 -PAGINA 1- L'ITALIA NON RIPARTE A COLPI DI REFERENDUM







































I tre quesiti referendari proposti dalla CGIL
15 dicembre 2016

Le ipotesi avanzate dal sindacato a colpi di milioni di firme, e che tanto fanno paura, chiedono l'abolizione dei voucher, il ritorno all'articolo 18 e il ripristino delle garanzie per i contributi dei lavoratori delle ditte che subappaltano lavori

L'11 gennaio la Corte Costituzionale deciderà sull'ammissibilità dei tre quesiti referendari proposti dalla Cgil. Tre proposte per cancellare la riforma del lavoro voluta dal governo Renzi, e una scadenza che si avvicina e che l'ormai ex premier ha già definito “una rogna” da risolvere al più presto. Con il via libera della Consulta, l'esecutivo Gentiloni dovrebbe fissare la data del voto fra il 15 aprile e il 15 giugno. Anche se il ministro del Lavoro Giuliano Poletti ha ipotizzato un possibile slittamento.

Già scottata dal voto del 4 dicembre, e di fronte all'incertezza sulla reale durata del governo, però, nella maggioranza si fa anche strada l'idea di modificare in fretta il Jobs act, per rivedere almeno le norme sui voucher. Eppure le ipotesi avanzate dal sindacato di Corso d'Italia a colpi di milioni di firme, e che tanto fanno paura, si spingono oltre. I quesiti chiedono sì l'abolizione di alcuni “pezzi” della riforma del lavoro, la cancellazione dei voucher e il ritorno all'articolo 18, ma anche il ripristino delle garanzie per i contributi dei lavoratori delle ditte che subappaltano lavori.

Ecco il contenuto dei tre quesiti.
1. Voucher
Il 2015 ha visto un boom dell'utilizzo dei voucher, i famosi “ticket da mini-impieghi”, inventati per cercare di regolarizzare le piccoli mansioni pagate da sempre in nero. Sempre più spesso, però, attraverso l'utilizzo dei voucher il lavoratore accetta impieghi barattati al ribasso e vede azzerati i propri diritti con una risibile contribuzione ai fini previdenziali. La Cgil vuole quindi cancellare i voucher “perché non combattono il lavoro nero, anzi, il loro abuso determina una sommersione anziché un'emersione del lavoro nero e irregolare”. Per questo, il sindacato chiede il referendum per l'abrogazione dei voucher usati in maniera “flessibile” ed illegittima.

2. Licenziamenti
Secondo la normativa vigente, un licenziamento ingiustificato prevede il pagamento di un'indennità che cresce con l'anzianità di servizio, con un minimo di 4 e un massimo di 24 mensilità. Il sindacato chiede il referendum per il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento disciplinare giudicato illegittimo, estendendolo anche per le aziende sotto i 15 dipendenti, fino a 5 dipendenti. Nel caso in cui ciò avvenga in un'azienda con meno di 5 addetti, il reintegro non sarà automatico ma a discrezione del giudice. In caso di reintegro, sarà il lavoratore a scegliere il risarcimento congruo o il rientro. “Il referendum - dice la Cgil - vuole ripristinare un principio fondamentale di giustizia nel lavoro”.

3. Appalti
L'abrogazione delle norme che limitano la responsabilità solidale degli appalti vuole difendere i diritti dei lavoratori occupati negli appalti e sub appalti coinvolti in processi di esternalizzazione, assicurando la tutela dell'occupazione nei casi di cambi d'appalto e contrastando le pratiche di concorrenza sleale assunte da imprese non rispettose del dettato formativo. L'obiettivo, in questo caso, è rendere il regime di responsabilità “solidale omogeneo”, applicabile in favore di tutti i lavoratori a prescindere dal loro rapporto con il datore di lavoro. “Ripristiniamo la responsabilità in solido tra appaltante e appaltatore - chiede la Cgil -, garantiamo la stessa dignità a tutti i soggetti che, direttamente o indirettamente, contribuiscono alla crescita aziendale”.

Rassegna sindacale CGIL.






Mettiamo questi tre articoli affiancati perché ci pare che dall’insieme appaia una lettura del problema disoccupazione e lavoro su cui riflettere.
Man mano che vengono meno i costosi incentivi all’assunzione a tempo indeterminato si riduce
anche l’accesso dei giovani  (e non) al mondo del lavoro e si conferma un avanzamento della parte più matura o anziana.
Vero che la permanenza e l’avanzamento del numero degli occupati anziani può essere anche effetto della riforma Fornero ma a nostro avviso questo dipende da uno degli aspetti più controversi del JobsAct: la possibilità di licenziare con una penale alle imprese tutto sommato modesta se avviene in tempi prossimi all’assunzione.
Vuol dire insomma che le imprese privilegiano non solo la maggiore professionalità di chi ha già lavorato in azienda ma «anche» quei lavoratori che sono meglio inseriti o integrati nel contesto aziendale. Per  il «padrone» sono persone più «affidabili» e questi aggettivi e sostantivi vanno letti con la giusta laicità di pensiero.

Però questa situazione ha anche un risvolto negativo perché figurare aziende meno propense all’introduzione di nuove tecnologie e professionalità, che poi è in parte la conferma di una buona parte dell’imprenditorialità italiana: poco propensa a dare spazio  alle nuove intelligenze, all’innovazione di gestione e prodotto,, insomma conferma quello che dice Massafra nell’articolo a destra: »servono politiche di sviluppo, investimenti, interventi



L'occupazione giovanile è la vera emergenza»
10 gennaio 2017

Massafra (Cgil) sui dai Istat: “Jobs Act, voucher e tirocini hanno precarizzato il lavoro dei giovani. Ci sono due milioni di occupati in meno in otto anni. Per uscire dalla crisi serve un piano straordinario e strutturale”

Secondo gli ultimi dati Istat, il tasso di disoccupazione tra i giovani è salito al 39,4% ritornando a livelli record.
Tradotto in termini assoluti: 627mila under 25 italiani sono alla ricerca di un lavoro e non riescono a trovarlo. Estendendo però il nostro sguardo alla fascia di età 15-34 anni, la condizione giovanile in Italia emerge in tutta la sua drammaticità come la vera emergenza del Paese.
Sono infatti oltre 2 milioni gli occupati in meno tra il 2008 e il 2016. Un numero incredibile che non ha corrispondenze nelle altre fasce di età, alcune delle quali hanno visto addirittura crescere, nella crisi, il loro tasso di occupazione.

“Le generazioni più formate nella storia del nostro Paese sono le più sotto-inquadrate e rispetto alla media europea i nostri laureati, che pure continuano ad avere molte più possibilità lavorative dei loro coetanei diplomati, hanno comunque tassi di occupazione e tempi di inserimento nel mercato del lavoro tra i più bassi del continente, testimoniando come le politiche dell'alternanza scuola-lavoro siano state ad oggi inefficaci in tutte le loro declinazioni”. A dirlo è il segretario confederale della Cgil Giuseppe Massafra, commentando i dati Istat sugli occupati di novembre, diffusi il 9 gennaio.

“A fronte di riforme del lavoro, ultima il Jobs Act, che hanno ulteriormente precarizzato il lavoro - ha continuato Massafra -, a fronte di una spesa di oltre 18 miliardi di euro in quattro anni per la decontribuzione delle assunzioni a



Gli under 35 nella palude del Jobs Act
Lavoro. La prima nota trimestrale mostra, per la seconda metà del 2016, la crescita solo dei contratti precari. I giovani, i più penalizzati. Confermato l'immobilismo delle politiche attive
 
10 gennaio 2017

A un anno di distanza dall'accordo del 22 dicembre 2015 sull'unificazione delle fonti sul mercato del lavoro, ieri Istat, Inps, Inail e ministero del lavoro hanno emanato una nota trimestrale congiunta sullo stato dell'occupazione in Italia. Da oggi avremo uno strumento in più per proteggerci dalla sistematica opera di disinformazione praticata dai governi che hanno l'interesse politico a contestualizzare – e manipolare – i dati secondo lo storytelling più conveniente al “capo” di turno.

I mille giorni di Renzi a Palazzo Chigi saranno ricordati come un caso di scuola. L'esigenza di un coordinamento nacque a seguito dall'analisi sui dati “errati” pubblicati dal ministero del lavoro nell'agosto del 2015, iniziata da Il Manifesto e diventata in breve tempo un genere giornalistico.
A distanza di un anno e mezzo, dopo 18 mesi di guerriglia informativa contro il casinò informativo di Stato, siamo arrivati a una conclusione analoga alla situazione emersa dai report dei singoli istituti coinvolti.
Nella seconda metà del 2016 l'occupazione cala, i contratti precari crescono, lavorano di più gli over 50, i più penalizzati sono i giovani.
La crescita dell'occupazione sull'anno è stata calcolata in 543 mila unità, di cui 487 mila a tempo indeterminato. Coincide con l'erogazione degli incentivi pubblici (tra gli 11 e i 18 miliardi in un triennio) erogati dal governo alle imprese. Il taglio della decontribuzione per i neoassunti da 8040 a 3250 euro ha provocato un drastico calo di queste assunzioni e alla crescita dei contratti a termine che rappresentano la stragrande maggioranza degli assunti in Italia.
Confermato il boom dei voucher: venduti 121 milioni nei primi dieci mesi del 2016, 88 milioni usati, pari allo 0,23% del costo del lavoro totale in Italia.
Se i voucheristi fossero all'interno di un contratto di lavoro, ci sarebbero 47 mila lavoratori a tempo pieno. Confermato l'immobilismo delle politiche attive previste dal Jobs Act. Averle legate al referendum costituzionale del 4 dicembre, e alla riforma delle competenze dello Stato e delle regioni, non ha giovato alla “seconda gamba” del Jobs Act.

L'analisi in dettaglio è utile per comprendere le diseguaglianze costitutive del mercato del lavoro. Sono sempre meno occupati gli under 35, lavorano di più gli over 50. Nella prima fascia di età l'occupazione è calata di 55 mila unità nel terzo trimestre precedente e di 29 mila rispetto a quello dell'anno scorso. Tra gli over 50 prosegue invece la crescita occupazionale, sia pure in misura minore. Gli occupati ultra-cinquantenni sono cresciuti di 79 mila unità rispetto al secondo trimestre 2016 e di 344 mila unità (+4,6%) rispetto al terzo trimestre 2015.
È l'effetto della riforma Fornero che ha allungato l'età pensionabile e oggi incide sul numero complessivo degli occupati. Il Jobs Act non crea nuova occupazione, ha eliminato le tutele contro i licenziamenti senza giusta causa e permette solo a chi aveva già un lavoro precario di averne un altro. Per giunta precario.
Numeri, e tendenze, da tenere presenti quando il prossimo esponente del governo, come ha fatto il ministro del lavoro Poletti, tornerà alla carica con la retorica paternalista «contro i giovani che non lavorano» o che vanno all'estero.

Interessante l'analisi sulla composizione degli occupati dipendenti realizzata in base alle comunicazioni del ministero del lavoro: nel terzo trimestre 2016 è stato registrato un aumento congiunturale di 83 mila posizione a tempo determinato, solo 10mila a tempo indeterminato, per un totale di 93 mila unità. Questa è la proporzione media che va proiettata sull'intero mercato del lavoro: la stragrande maggioranza degli occupati in Italia è variamente precaria.
Su base congiunturale la nota registra un aumento del tempo determinato dopo il ridimensionamento del trimestre precedente.
Su base tendenziale c'è una crescita del tempo indeterminato prodotta a cavallo tra il 2015 e il 2016 tale da indurre ancora oggi un «effetto di trascinamento».
Con il taglio degli incentivi anche questo effetto rischia di rallentare.

Aumentano gli infortuni sul lavoro. Nel terzo trimestre 2016 l'Inail ne ha registrati 137 mila (+1,1%). Un incremento legato alla crescita dell'occupazione e all'esposizione al rischio. Quando non c'è, il lavoro è tragico. Quando c'è, è pericoloso e anche mortale. L'Istat, infine, ha registrato a dicembre – il mese delle tredicesime – un miglioramento del clima di fiducia dei consumatori. «Non vorremmo che tali dati venissero da indagini svolte in altri Paesi – hanno commentato, non senza ironia, Adusbef e Federconsumatori – in queste feste c'è stato un mercato di puro galleggiamento ed è peggiorato a Sud. Il nostro sistema economico è ancora prigioniero di una fase di stallo».

Roberto Ciccarelli
Il Manifesto











































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































strutturali e strategici. Occorre dunque un vero e proprio Piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile, che affronti il carattere strutturale e di lungo periodo della crisi”.

Non basta quindi una politica che privilegi la distribuzione di denaro -la politica dei bonus renziani- a debito pubblico per stimolare i consumi ma occorre che l’Italia decida cosa farà da grande anziché lasciare queste decisioni alla sola realtà padronale imprenditoriale. Oltretutto c’è di mezzo anche una questione demografica molto pesante: la nostra é una società che invecchia e quindi  che non consuma o consuma soltanto in buona parte  a carico del debito pubblico : la salute e il benessere individuale di fine corsa.
Le imprese che avevano già una cultura e una organizzazione globalizzata sono le uniche che camminano da sole ormai da due-tre anni mentre esiste una platea di imprese che potrebbero inserirsi nel contesto internazionale ma hanno una serie di handicap propri e organizzativi per cui solo con la forza dello stato alle spalle possono fare il salto  dal mercato nazionale o europeo a quello internazionale.
















tempo indeterminato, a fronte di 1,5 miliardi di risorse per l'implementazione di Garanzia Giovani, la condizione giovanile non solo non ha vissuto la svolta necessaria ma rappresenta la testimonianza più evidente della politica fallimentare perseguita negli ultimi anni”.

Ma c'è di più. “L'esplosione dei voucher, che è ormai evidente a tutti, e quella dei tirocini (+53% nel 2015 rispetto al 2014) hanno oltremodo discriminato i giovani nell'accesso al lavoro e in particolar modo nell'accesso ad un lavoro dignitoso”.
Per quanto riguarda la politica degli sgravi contributivi per le nuove assunzioni, invece, “se essa si è manifestata inutile nel suo complesso, per i giovani si è addirittura rivelata dannosa, escludendoli ulteriormente dal mercato del lavoro e penalizzando in modo evidente soprattutto i più deboli all'interno della stessa fascia giovanile. Inoltre, la mancata implementazione della cosiddetta seconda gamba del Jobs Act, quella che doveva costruire un sistema di politiche attive adeguato nel nostro Paese, ha ulteriormente accresciuto le difficoltà di coloro che hanno maggior bisogno di attivazione, orientamento e formazione per mettersi alla ricerca di un lavoro”.
“Un giovane su quattro sotto i 29 anni - ha continuato il dirigente sindacale - non ha oggi l'opportunità di studiare, lavorare o fare un corso di formazione e si trova disoccupato e scoraggiato di fronte ad una situazione che percepisce impossibile da modificare”.

Per far fronte a questa emergenza, ha concluso Massafra, “servono politiche di sviluppo, investimenti, interventi strutturali e strategici. Occorre dunque un vero e proprio Piano straordinario per l'occupazione giovanile e femminile, che affronti il carattere strutturale e di lungo periodo della crisi”.

Rassegna sindacale CGIL.