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NUMERO 271 - PAGINA 1 - PROBLEMI DI INIZIO ANNO 2017





























































E una capriola si portò via il giustizialismo

Goffredo Buccini





Il terrorismo è uno dei molti aspetti del nuovo imperialismo coniugato oggi con le varie forme della globalizzazione.









Il lavoro offeso da un gioco al ribasso
L'Italia é un paese che non sa come stare nella globalizzazione

Emanuele Felice






















































































































La faccia, s'intende, è sempre feroce. Ferocissima, come quella dei prodi di re Franceschiello. Tuttavia la sostanza cambia, eccome, con il codice di comportamento che oggi i militanti Cinque Stelle voteranno via web: in pensione le tricoteuse.Nel mondo di Beppe Grillo l'avviso di garanzia non è più automatico sinonimo di morte politica.
Non lo era già da un pezzo, in verità. La gestione asimmetrica dei casi di Filippo Nogarin a Livorno e Federico Pizzarotti a Parma mostrava da tempo come la discrezionalità del capo assoluto fosse il vero discrimine nel destino di un sindaco pentastellato. E come la seduzione della parolina «dipende» si fosse già insinuata nella purezza primigenia. Ma ancora ci si muoveva a tentoni, in un'oscurità normativa nella quale risuonavano solenni le parole del giovane Di Maio che, in rampa di lancio da premier (e prima di prendere lucciole per lanterne su Quarto in Campania e l'assessora Muraro a Roma), tuonava in un'intervista a Libero : «Non sono a favore della presunzione d'innocenza per i politici. Se uno è indagato, deve lasciare. Glielo chiedono gli elettori!».

Ancora un anno fa la pasionaria romana del movimento Roberta Lombardi invocava, per un avviso di garanzia, le dimissioni «immediate!» del sindaco Esterino Montino e dei consiglieri della maggioranza pd di Fiumicino.
E il centauro Di Battista ammoniva che persino Nogarin si sarebbe dovuto dimettere a meno che l'avviso di garanzia non fosse «un atto dovuto» (lo è sempre, a date condizioni), rifugiandosi nella stessa tenebra giuridica che l'aveva spinto a dichiararsi difensore della Costituzione «approvata a suffragio universale nel '48» (com'è noto, la Carta fu approvata dall'Assemblea costituente: quella, sì, votata da tutti gli italiani, due anni prima...).
Ora, con una capriola rispetto all'intransigenza verbale delle origini così plateale da meritarsi il plauso di Cirino Pomicino («benvenuto Grillo!»), Beppe e i suoi fedeli sembrano mettere nero su bianco l'addio al giustizialismo almeno di grana più grossa. Chi governa, talvolta, finisce per inzaccherarsi un po' l'orlo della giacca, spesso suo malgrado e magari, chissà, persino per una buona causa: pare questa la scoperta straordinaria che sta dietro il «codice di comportamento» per gli amministratori grillini coinvolti in vicende giudiziarie; assieme a un lodevole tentativo






Non ci fossero di mezzo migliaia di morti e feriti (nel 2016 in Turchia sono state uccise e gravemente ferite oltre mille persone) si potrebbe  prendere il problema con un discreto cinismo. Un dato di fatto: la nostra società e le nostre città non sono attrezzate per evitare gli attacchi del terrorismo. Ed è ovvio che sia così. Ma non abbiamo il coraggio di confessarcelo.
Di ammetterlo. Cerchiamo sempre altrove di scovare un difetto, un errore, una mancanza. L'intero scibile umano in tema è stato messo in campo poi mentre nelle nostre città stiamo posando i newjersey (mica ci fregano come in Berlino dicevano le gazzette!) e ci felicitiamo con noi stessi della nostra intelligenza, arriva in piazza un cinese (forse cinese: dubitiamo...) dall'etnia finora ignota «uiguro» col taxi, vestito di tuta nera con cappuccio e zainetto con dentro 6 caricatori e un kalashnikov che si mette a sparare prima di entrare nel locale più alla moda della città. Spara 180 colpi, ammazza 39 persone, ne ferisce 70, si chiude in bagno per una ventina di minuti (neanche pochi...) a cambiarsi d'abito (chi l'ha detto che pure i terroristi non se la facciano addosso dalla paura?) per poi dileguarsi. Volatilizzato... in taxi.

Nel frattempo l'Italia sta assorbendo le prime improvvisate del neo ministro dell'interno che ha scoperto l'acqua calda. Cioè che in Italia circola un sacco di gente «non identificata»  vale a dire che è arrivata nel belPaese, magari è stata anche salvata dal naufragio su qualche  barca e poi... s'è volatilizzata.

Magari prima di inventarsi scoperte se avesse fatto una visita a quel lager che é il centro di prima accoglienza di Cona (Ve) avrebbe maturato idee diverse: ma é Minniti e quindi si prende com'é.









Mentre il ministro Martina annuncia la rapida entrata in vigore di un provvedimento riformista come il reddito di inclusione, nel mondo del lavoro i voucher si stanno imponendo come l'alternativa preferita all'assunzione a tempo indeterminato.Persino grandi Comuni come Torino e Napoli, governati da forze dichiaratamente ostili alle recenti riforme, ne fanno uso.
Ma l'abnorme proliferazione di questo strumento, che ha condotto a una precarietà senza precedenti, non è direttamente riconducibile al Jobs Act. La liberalizzazione dei voucher è imputabile a una serie di norme varate dall'ultimo governo Berlusconi e poi soprattutto dal governo Monti (che ne estende l'uso a tutti i settori) e Letta (che ne cancella la natura meramente occasionale). Il Jobs Act è invece la prima norma che ai voucher pone dei limiti: il divieto di utilizzarli negli appalti e, soprattutto, l'obbligo di tracciabilità per il datore di lavoro, che adesso deve dichiarare in anticipo luogo, giorno e orario della prestazione. Quest'ultima norma, se bene applicata (ma i dati complessivi non sono ancora disponibili), dovrebbe servire a contrastare il lavoro nero, ovvero la pratica diffusasi di ricorrere ai voucher per coprire, ex post e in caso di ispezione, un lavoratore assunto in modo irregolare.

Ma allora perché questo strumento è cresciuto tanto, proprio negli ultimi tempi? Perché ha preso il posto delle altre forme di lavoro precario, che il Jobs Act ha accantonato a favore del contratto a tutele crescenti: paradossalmente (ma forse si poteva immaginare),








































































































































































































































































































































































































































































































In  Italia  sarebbero arrivate oltre 200.000 persone (2016) ma -primo- non è detto che vi siano stati sbarchi o arrivi clandestini non individuati. Secondo. Ovvio che con quasi 200 mila persone di almeno 50 paesi differenti ce ne sia una parte, magari piccola percentualmente ma significativa numericamente, che se ne sta per conto proprio senza importunare o passare per i canali ufficiali.

Allora il ministro dell'interno neo nominato decide che verranno (ri)aperti i malfamati CIE. Ovvia levata di scudi dei cittadini e delle associazioni che affrontano in prima persona direttamente il problema. Non il ministro col culo al caldo e le guardie del corpo.

Il fatto è il terrorismo è uno dei molti aspetti del nuovo imperialismo coniugato oggi con le varie forme della globalizzazione.
Che poi Salvini trovi la soluzione nelle feste con polenta e codeghì e cori alpini mentre gente cresciuta  ed abituata alla violenza  quotidiana trovi la soluzione nelle raffiche di mitra al grido di allahu akbar condita dalla totale ignoranza del Corano e dell'Islam (Salvini conoscerà i Dieci Comandamenti?dubi-















































































































































































































































































































































































una volta sfoltite le forme intermedie, non abbiamo avuto un'evoluzione verso l'alto del contratto di lavoro, ma un'involuzione verso il basso.
Alla luce di questo risultato, è evidente che lo strumento dei buoni lavoro debba essere radicalmente ripensato.

Altrimenti il Jobs Act avrà sortito, sul piano pratico, effetti contrari a quelli auspicati dai suoi proponenti. Più che riesumare le forme intermedie di contrattazione a tempo determinato, che il Jobs Act giustamente voleva mandare in soffitta, sarebbe bene tornare a limitare l'uso dei voucher solo ad alcuni settori e a prestazioni meramente occasionali, com'era prima del governo Monti. I voucher dovrebbero avere senso solo come strumento di contrasto al lavoro nero, una sorta di agevolazione che naturalmente deve affiancarsi a controlli e sanzioni.

Ma oltre a questo bisognerebbe intendersi anche su un punto di principio, specie nel campo riformista: la precarizzazione del lavoro è una risposta sbagliata al declino dell'Italia. Il nostro Paese declina da vent'anni, ha molti parametri fuori norma rispetto alle altre economie avanzate: i tempi lunghi della pubblica amministrazione e della giustizia; i risultati del sistema scolastico e universitario, che è sotto-finanziato; la tassazione sui fattori produttivi, capitale e lavoro; i livelli di evasione fiscale e di corruzione, più in generale la qualità della classe dirigente politica e imprenditoriale. Ma tra questi parametri non c'è il mercato del lavoro: in quanto a flessibilità siamo più o meno nella media sin dall'epoca delle riforme Treu, nella seconda metà degli anni Novanta; da un po' di tempo, anche sopra la media.

L'Italia declina perché non ha capito qual è il suo ruolo nel mondo globalizzato. Un'economia ricca non può competere con i giganti dell'Asia, o anche solo con l'Est Europa, riducendo il costo del lavoro. Altrimenti si finisce per diventare più poveri, come infatti sta accadendo. Deve invece competere su tecnologia e qualità, garantendo condizioni di contesto (fra cui un mercato del lavoro efficiente e remunerativo) che incentivino le imprese innovative e la manodopera qualificata. Questa è l'unica strategia vantaggiosa nel lungo periodo. È anche l'unica compatibile con il quadro internazionale e, a ben vedere, con il dna dei partiti riformisti: ad esempio può contemplare il reddito di inclusione, se questo serve a ridare dignità a chi cerca occupazione e a tagliare (finalmente) le gambe alla concorrenza al ribasso. Lo svilimento del lavoro è invece controproducente, perché scoraggia e allontana le energie migliori.


L'autore è professore associato di Economia presso l'Università “ G. D'Annunzio” di Chieti- Pescara. Il suo ultimo libro è “ Ascesa e declino. Storia economica d'Italia” ( Il Mulino, 2015). Con questo articolo comincia la sua collaborazione con “ Repubblica”







di coerenza dopo mesi di doppiopesismo nei quali si invocavano dimissioni altrui (a gran voce, anche per avversari non inquisiti ma solo «toccati» da qualche intercettazione imbarazzante), sempre o quasi sempre cavillando giustificazioni per i propri guai e i propri scandali.

Ci sono tuttavia due elementi politici che suggeriscono prudenza. Il primo è temporale. Il paragrafo sulla «presunzione di gravità» (e la sua esclusione, almeno in via automatica, in caso di avviso di garanzia) sembra scritto per Virginia Raggi e le prossime elezioni legislative forse anticipate a quest'anno.
Nessuno, allo stato, può esclude re il rischio che la sindaca di Roma finisca sul registro degli




tiamo), fanno il paio considerando i rispettivi retroterra.
Non c'è quindi una grande confusione sotto il cielo ma ci sono eventi del tutto immaginabili ma certamente poco prevedibili.
Naturalmente imprevedibili.
Quello che è accaduto a Istambul poteva accadere in mille altre città del mondo e se fosse successo in NewZeland ci staremmo forse a domandarci (meno perché pochi sanno dove stia la New Zeland) se il terrorista del momento non fosse un islamico filippino.
Poteva benissimo succedere a Milano o Roma. O Palermo: dove c'è il filmato di uno che festeggia sparando decine di colpi con una pistola  proprio nella piazza più militarizzata del momento. Immediatamente smentito dal poliziotto: era una pistola a salve. Già: e se fosse stata “vera”?
Al netto delle tragedie che  contano  migliaia di morti - si pensi solo agli attentati in Turchia quest'anno- col terrorismo dobbiamo e dovremo fare i conti  per sempre  nonostante che nel tempo (forse) riusciremo a raffinare un po' meglio la previsione e la prevenzione.

Raffinare la previsone, non illudersi di eliminare ma solo o almeno di ridurre le aspettative dei terroristi.
Pensare quindi che a fronte delle attuali migrazioni si possa farvi fronte con mezzucci propagandistici -dal ributtiamoli tutti a mare al chiudiamoli nel CIE al mandiamoli a casa loro- viene da piangere per la loro misera bassezza. Nell'intenso e immenso movimento delle genti da paese a paese è evidente che circolino anche delle mele marce. Con o senza CPA e CIE.









































































































































































































































































































indagati per la infelice gestione delle carriere e degli stipendi di Raffaele Marra (al momento in galera), di suo fratello Renato e di Salvatore Romeo, per i quali la Raggi ha deciso di esporsi in prima persona.
Nell'ipotesi più infausta Grillo avrebbe dovuto condurre un'eventuale campagna politica scegliendo tra due opzioni ugualmente rovinose: mollare la sindaca certificando l'incapacità dei Cinque Stelle o sostenerla pur da indagata sotto il facile tiro degli avversari.
La contraddizione è risolta perché il Garante (Grillo stesso) e i probiviri (nominati da Grillo e soltanto ratificati dal web) decideranno «in totale autonomia» il destino politico dell'indagato e solo alla condanna di primo grado scatterà la tagliola automatica. Opportunamente si sostiene che possono essere sanzionati anche comportamenti non oggetto di indagine (la famosa indipendenza della politica rispetto alle procure).

Ma è difficile non vedere come — in assenza di parametri certi — si dilati a dismisura il potere del capo assoluto, che terrà in pugno persino più di prima i suoi eletti, essendo l'imperscrutabile scelta di sommersi e salvati addirittura norma del «codice penale» grillino: è questo il secondo elemento di perplessità, assai connesso al primo, soprattutto in un movimento che già presenta zone d'ombra nei suoi processi decisionali e nella selezione delle élite («uno vale uno» è una tenera fola smentita dalla quotidianità).
Sostenere che le disavventure di Virginia Raggi abbiano spinto i Cinque Stelle su sponde garantiste potrebbe rivelarsi alla fine un errore di prospettiva. Il cambiamento è notevole, ma la sua direzione andrà letta tra qualche tempo. Per chi non ha pazienza, resta la faccia feroce: quella, in fondo, non si nega a nessuno.

Goffredo Buccini
Corriere della Sera