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“Angelo Gandolfi, già sindaco del buon governo, ha annunciato (nella seduta del consiglio comunale del 28 ottobre 2016- n.d.r.) che
non si presenterà candidato sindaco alle prossime elezioni
amministrative del 2017; né tampoco si presenterà candidato di lista.
Ma la lotta continua. La stampa anglorobicosassone ha ricevuto venerdì
scorso comunicazione di questa decisione, ma ha ritenuto che non fosse
opportuno darne notizia. Per le case di Curno è in distribuzione un
volantino contenente alcune considerazioni in margine a tale decisione,
sulla quale avremo modo d'intrattenere i lettori di Nusquamia. Ma i
tempi delle comunicazioni li decidiamo noi.” scrive il suo spin doctor ing. Claudio Piga a Trezzo.
Non si hanno notizie di suicidi in paese dopo questa drammaticissima
notizia tranne una certezza abbastanza probabile. Con uno spindoctor
come il Piga, capiamo bene come il Gandolfi abbia compreso di essersi
mozzato gli attributi per una rielezione.
Ma forse non è così: la ragione –della rinuncia gandolfiana- sta tutta
nella prima Variante del PGT che la giunta Serra ha presentato ai
capigruppo e che premia in maniera massiccia il commercio, specie
quello all'ingrosso e medio piccolo collegato al primo.
I sorrisini e le battute d'intesa che si scambiavano amorevolmente in
consiglio Gandolfi e Conti trovano qualche ulteriore conferma ?.
In compenso lo spin doctor Claudo Piga (quello che non copia mai...) ,
si è appropriato della nostra osservazione: cioè che da (quando
lui cominciò la campagna elettorale pro Gandolfi 2017) sarebbero
accaduti tanti fatti importanti che il futuro locale
nazionale europeo e internazionale era tutto da decifrare in
ordine a candidature e possibilità elettorali.
Adesso scrive che: «ma il voto del 2017 è ancora lontano, che che altro accadrà...".
E' già, certamente.
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Scrive il direttore di LaRepubblica che: «una
terra ferita che non può essere dimenticata, la spina dorsale
dell'Italia che trema dal 24 agosto e ora rischia di finire inghiottita
nella paura e nel disinteresse. Giovedì notte nessuno è rimasto sotto
le macerie ma forse anche per questo i riflettori rischiano di
spegnersi in fretta, lasciando gli sfollati lontano dalle case, i
municipi e le scuole lesionati e pericolanti, le pievi, gli affreschi
e i monumenti feriti e inavvicinabili. Questo territorio è parte
fondamentale dell'identità italiana, non può diventare un buco nero da
dimenticare, dobbiamo salvare le comunità, i paesi, il paesaggio e la
storia.
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in sicurezza nonostante i flussi turistici che li hanno sempre generosamente premiati.
I primi custodi di quei paesi non sono genericamente tutti gli
italiani: sono gli abitanti del posto. Sono i «proprietari» dei siti.
Mi pare che sia mancato per primo il loro impegno a preservare quel patrimonio.
Il ragionamento di Calabresi da ragione a chi invoca sempre lo stellone.
Altro che inginocchiarsi in piazza (davanti alle telecamere?) a pregare un buondio che ha programmi a noi sconosciuti.
Se scegli di vivere una vita su una faglia devi pensare che tutto il tuo lavoro e i tuoi
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La terribile domanda che risuona tra le valli
Paolo Rumiz
I Iterremoto è un implacabile collaudatore. Picchia là dove i
terremoti precedenti sono stati affrontati male o con italica
furbizia. Ma soprattutto mette a nudo qualcosa di molto più generale:
l'incuria in cui sta precipitando il Paese. Il sisma, in questo senso,
somiglia alla guerra: è un segnale di tensione e allo stesso tempo un
accele
ratore di processo. Nel nostro caso, esso svela l'abbandono e
contemporaneamente lo velocizza Un abbandono silenzioso che — in
assenza di robuste contromisure — avverrebbe comunque, svuotando di
abitanti special- mente il cuore montano del Paese. Il rischio, dopo
questo secondo sisma nell'Italia centrale, è che tutto si esaurisca
con un soprassalto emotivo e non si ponga mano al problema reale. La
grande fuga dall'Appennino.
Un giornale non ha solo il dovere di registrare eventi, ma anche di
fotografare le tendenze di lungo periodo. L'accumularsi delle
tensioni. Il derapare di situazioni su un piano inclinato. Per questo,
pur abitando alla frontiera del Nord, ho viaggiato ostinatamente
sull'inquieta spina dorsale del Paese. Volevo saperne qualcosa di più
sul cuore segreto della nazione e la sua millenaria identità pastorale
— le Alpi segnavano un margine, mentre l'Appenni- no marcava un
baricentro dove si era consumata l'epopea dei popoli italici, Irpini,
Piceni, Bruzii, Sanniti — ma soprattutto sentivo il dovere di
ascoltare un terra che aveva perso la voce e la rappresentanza
politica, e sembrava uscita persino dall'immaginario nazionale.
Quasi ovunque — forse con l'eccezione della Toscana — avvertivo il
lamento, se non la rabbia, di un grande centro che era diventato
periferia e il senso di inferiorità di popoli montanari depressi e
inspiegabilmente subalterni ai modelli di un Nord che non aveva nulla
da insegnar loro. A piedi, in treno o con un'utilitaria d'epoca, in
cerca di faglie sismiche o cercando personaggi come Annibaie e
Garibaldi, sentivo entrare in me — assieme all'incantamento per una
terra arcana di pascoli e abbazie, eremi e foreste primordiali — una
litania di toponimi destinati all'oblio. Luoghi dove la gente vive ma
le parrocchie, i bar, i negozi e le scuole chiudono, dove le ferrovie
non passano più e le stazioni sono ridotte a ruderi. Robinie
infestanti, cani abbandonati, ortica
Posti dove si va raramente d'estate, e mai nella stagione fredda. Ma è
allora che si comprende l'Appennino. «Lei dovrebbe venire a gennaio»,
mi disse la gente di Laviano in Irpinia, paese malamente ricostruito,
con più elettori che abitanti perché mezzo paese s'era dato alla fuga
dopo il sisma degli anni Ottanta. A Collelongo in Abruzzo incontrai
solo pastori disperati senza più greggi. Intorno, la natura
primaverile era un incanto. I gusti, i profumi, l'ospitalità erano
quelli di una volta. Inestimabili. Potevo entrare in monasteri
medievali chiedendo la chiave al curato di campagna. Ma su tutto
aleggiava la stessa domanda, «Perché restare?», mentre i numeri
dell'esodo assumevano i contorni geologici di una frana. Sempre verso
il basso, verso le coste, i centri commer ciali e le banlieue di furore.
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