NUMERO 250 - PAGINA 1 - DA CURNO A VISSO




















































Gandolfi annuncia il ritiro dalla competizione elettorale. Ennesimo cambio di casacca ?.
Il paese, ingrato, non piange la dipartita !.







Ogni patria per primi la debbono
difendere i propri abitanti.
Non solo lucrarne i frutti della sua bellezza



Perchè restare in quelle terre?











































































“Angelo Gandolfi, già sindaco del buon governo, ha annunciato (nella seduta del consiglio comunale del 28 ottobre 2016- n.d.r.) che non si presenterà candidato sindaco alle prossime elezioni amministrative del 2017; né tampoco si presenterà candidato di lista. Ma la lotta continua. La stampa anglorobicosassone ha ricevuto venerdì scorso comunicazione di questa decisione, ma ha ritenuto che non fosse opportuno darne notizia. Per le case di Curno è in distribuzione un volantino contenente alcune considerazioni in margine a tale decisione, sulla quale avremo modo d'intrattenere i lettori di Nusquamia. Ma i tempi delle comunicazioni li decidiamo noi.” scrive il suo spin doctor ing. Claudio Piga a Trezzo.
Non si hanno notizie di suicidi in paese dopo questa drammaticissima notizia tranne una certezza abbastanza probabile. Con uno spindoctor come il Piga, capiamo bene come il Gandolfi abbia compreso di essersi mozzato gli attributi per una rielezione.
Ma forse non è così: la ragione –della rinuncia gandolfiana- sta tutta nella prima Variante del PGT che la giunta Serra ha presentato ai capigruppo e che premia in maniera massiccia il commercio, specie quello all'ingrosso e medio piccolo collegato al primo.
I sorrisini e le battute d'intesa che si scambiavano amorevolmente in consiglio Gandolfi e Conti trovano qualche ulteriore conferma ?.
In compenso lo spin doctor Claudo Piga (quello che non copia mai...) , si è appropriato della nostra osservazione:  cioè che da (quando lui cominciò la campagna elettorale pro Gandolfi 2017) sarebbero accaduti tanti  fatti importanti che il futuro locale nazionale  europeo e internazionale era tutto da decifrare in ordine a candidature e possibilità elettorali.
Adesso scrive che: «ma il voto del 2017 è ancora lontano, che che altro accadrà...".
E' già, certamente.











Scrive il direttore di LaRepubblica che: «una terra ferita che non può essere dimenticata, la spina dorsale dell'Italia che trema dal 24 agosto e ora rischia di finire inghiottita nella paura e nel disinteresse. Giovedì notte nessuno è rimasto sotto le macerie ma forse anche per questo i riflettori rischiano di spegnersi in fretta, la­sciando gli sfollati lontano dalle case, i municipi e le scuole lesio­nati e pericolanti, le pievi, gli affreschi e i monumenti feriti e inav­vicinabili. Questo territorio è parte fondamentale dell'identità italiana, non può diventare un buco nero da dimenticare, dobbiamo salvare le comunità, i paesi, il paesaggio e la storia.



in sicurezza nonostante i flussi turistici che li hanno sempre generosamente premiati.
I primi custodi di quei paesi non sono genericamente tutti gli italiani: sono gli abitanti del posto. Sono i «proprietari» dei siti.
Mi pare che sia mancato per primo il loro impegno a preservare quel patrimonio.
Il ragionamento di Calabresi da ragione a chi invoca sempre lo stellone.
Altro che inginocchiarsi in piazza (davanti alle telecamere?) a pregare un buondio che ha programmi a noi sconosciuti.
Se scegli di vivere una vita su una faglia devi pensare che tutto il tuo lavoro e i tuoi



La terribile domanda che risuona tra le valli

Paolo Rumiz

I Iterremoto è un implacabi­le collaudatore. Picchia là dove i terremoti preceden­ti sono stati affrontati ma­le o con italica furbizia. Ma so­prattutto mette a nudo qualcosa di molto più generale: l'incuria in cui sta precipitando il Paese. Il si­sma, in questo senso, somiglia al­la guerra: è un segnale di tensio­ne e allo stesso tempo un accele­
ratore di processo. Nel nostro ca­so, esso svela l'abbandono e con­temporaneamente lo velocizza Un abbandono silenzioso che — in assenza di robuste contromisu­re — avverrebbe comunque, svuotando di abitanti special- mente il cuore montano del Pae­se. Il rischio, dopo questo secon­do sisma nell'Italia centrale, è che tutto si esaurisca con un so­prassalto emotivo e non si ponga mano al problema reale. La gran­de fuga dall'Appennino.
Un giornale non ha solo il dove­re di registrare eventi, ma anche di fotografare le tendenze di lun­go periodo. L'accumularsi delle tensioni. Il derapare di situazioni su un piano inclinato. Per questo, pur abitando alla frontiera del Nord, ho viaggiato ostinatamen­te sull'inquieta spina dorsale del Paese. Volevo saperne qualcosa di più sul cuore segreto della na­zione e la sua millenaria identità pastorale — le Alpi segnavano un margine, mentre l'Appenni- no marcava un baricentro dove si era consumata l'epopea dei po­poli italici, Irpini, Piceni, Bruzii, Sanniti — ma soprattutto senti­vo il dovere di ascoltare un terra che aveva perso la voce e la rap­presentanza politica, e sembra­va uscita persino dall'immagina­rio nazionale.

Quasi ovunque — forse con l'eccezione della Toscana — av­vertivo il lamento, se non la rab­bia, di un grande centro che era diventato periferia e il senso di in­feriorità di popoli montanari de­pressi e inspiegabilmente subal­terni ai modelli di un Nord che non aveva nulla da insegnar loro. A piedi, in treno o con un'utilita­ria d'epoca, in cerca di faglie si­smiche o cercando personaggi co­me Annibaie e Garibaldi, sentivo entrare in me — assieme all'in­cantamento per una terra arca­na di pascoli e abbazie, eremi e fo­reste primordiali — una litania di toponimi destinati all'oblio. Luoghi dove la gente vive ma le parrocchie, i bar, i negozi e le scuole chiudono, dove le ferrovie non passano più e le stazioni so­no ridotte a ruderi. Robinie infe­stanti, cani abbandonati, ortica
Posti dove si va raramente d'esta­te, e mai nella stagione fredda. Ma è allora che si comprende l'Appennino. «Lei dovrebbe veni­re a gennaio», mi disse la gente di Laviano in Irpinia, paese mala­mente ricostruito, con più eletto­ri che abitanti perché mezzo pae­se s'era dato alla fuga dopo il si­sma degli anni Ottanta. A Collelongo in Abruzzo incontrai solo pastori disperati senza più greg­gi. Intorno, la natura primaverile era un incanto. I gusti, i profumi, l'ospitalità erano quelli di una vol­ta. Inestimabili. Potevo entrare in monasteri medievali chieden­do la chiave al curato di campa­gna. Ma su tutto aleggiava la stes­sa domanda, «Perché restare?», mentre i numeri dell'esodo assu­mevano i contorni geologici di una frana. Sempre verso il basso, verso le coste, i centri commer ciali e le banlieue di furore.







































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































risparmi li dovrai impiegare per evitare che un giorno o l’altro la maledetta faglia t’ammazzi sotto casa tua.
Nella vita le scelte si debbono sempre pagare.
No!. Li invitano a  spostarsi momentaneamente  negli alberghi e questi italiani non mollano. Tu Stato devi subito qui ed ora.
L’irrazionalità e la furbizia di ieri torna fuori anche oggi nella tragedia. Io faccio i cavolacci miei ma lo stato mi deve aiutare.
Adesso riparte la gara per la ricostruzione e possiamo già mettere in conto che saranno necessari  dai 15 ai 25mila euro pro capite per ciascun sfollato per coprire i costi di abitazioni e imprese private e quelli delle infrastrutture pubbliche rovinate al suolo.
La prospettiva è chiara e la storia ce lo insegna: lavori che saranno realizzati alla meno peggio, traffici e mazzette, un po’ di nastri tricolore tagliati ad uso del politico da rieleggere e via: alla prossima scossa. E via alla diretta tivù 24 ore su 24  dai luoghi del disastro annunciato. Orribile la diretta delle televisioni.
Non scenderò nei territori devastati perché so che è una bufala l’idea di ricostruire tutto com’era dov’era.
Mi vengono i brividi: penso alle cittadine dei film western. Ricostruire per cosa a Visso o Amatrice ?
No, dico, quella chiesa li, nessuno ci ha messo mano in vent’anni dall’ultimo terremoto?
L’avete lasciata nella mani di dio? .
Quel territorio vi ha visto nascere crescere vivere figliare lavorare prendere benessere e voi cosa avete restituito all’insieme piuttosto che al vostro conto?.















































































































































































Se non ci sono problemi famigliari  l'operazione di «stacco» del Gandolfi 2017 potrebbe preparare anche un altro dei suoi salti di quaglia  presumibilmente verso i 5S non fosse altro che i bottegai del paese vogliono saldamente conservare le mani sul comune.
Bisogna vedere se la Variante comincia e finisce come rappresentata finora.
A sinistra c'è l'assessore Cavagna (assessore alle «politiche per il sostegno e lo sviluppo delle attività produttive e commerciali»: mica paglia!) che ogni mattina prima di andare in comune va a prendere la poppata politica dal suo mentore Pelizzoli autorevole esponente dei commercianti di area sinistra.
Cavagna è infaticabile: forse dopo cinque anni di chiusura arriva la riapertura del bar del CVI e sposta il mercato nei pressi... . Forse: perché i bottegai indigeni già mormorano.
Cavagna sta in campana perché se vince il NO al Referendum  i bersaniani indigeni capitanati da Pelizzoli sloggiano il Massimo Conti ed impongono  il loro candidato sindaco. Invece se vince il SI la Serra viene incollata per altri cinque anni in consiglio, che vinca o che perda le elezioni.
E non è detto che i bersaniani indigeni dimentichino di andare alle urne nel 2017. Perché partiti i fratelli coltelli sono una regola.
Centrodestra e Lega aspettano anch'essi il SI/NO. Localmente ci sono poche risorse da aggraffare (la MAXIpolpetta della manutenzione dei beni comuni sarà già attribuita e debitamente spartita coi subappalti) e di edilizia privata, tranne poche briciole, manco a parlarne.
Se prendono atto di questa realtà è possibile che arrivino a un listone  risolvendo le varie pretese dei mille galletti soprattutto quelle di un Gandolfi e di un Pedretti. Che sicuramente mette in piedi una lista di disturbo per schiantare il CDX+Lega.
Ma è certo che molti di loro «dimenticheranno» di andare a votare. Se non si vede grasso che cola, perché sprecarsi!?.
Tragicommedia assicurata nei prossimi mesi.


























































































































































Dobbiamo metterli in sicurezza, intervenire prima che altre scosse possano ren­dere irrecuperabile un patrimonio su cui poggiano la nostra civiltà e la nostra cultura. Per questo quando ieri mattina abbiamo ricevuto la lettera del sindaco di Matelica, che chiede di salvare la magia della sua terra, abbiamo pensato che fosse importante dare un segnale visibile di amore per il nostro territorio. (...) Se i borghi resteranno deserti, senza più nonni, figli e nipoti, le macerie accatastate e i turisti lon­tani allora saremo tutti più poveri e avremo perso un pezzo della nostra anima».

Non importerà a nessuno ma stavolta non scenderò volontario in centro Italia. Nonostante che l’ultima scossa di terremoto sia stata superiore a quella del 1980 e vi sia la gravissima prospettiva di dare casa e gestire centomila sfollati.
Una sfida immensa.
Francamente non riesco a comprendere alcune cose. Prima di tutto come si possa vivere in zona sismica di massimo rischio senza porsi altre prospettive. C’era tutto il tempo per porsele e risolverle: parlo degli anni della Repubblica non della storia patria. 1980-2016 fanno trentasei anni. Secondo non riesco a capire com’è che cittadine e paesi turistici e sedi di università, non si siano messi