NUMERO 2234 - PAGINA 3 - DARIO FO E COMPAGNIA CANTANTE


























































Dario Fo
Michele Serra
La Repubblica




















Conversare fa bene
Lo prova anche la scienza
Marino Niola
La Repubblica



































































































































Che differenza c'é tra Mistero Buffo e Soccor so Rosso?
Che tra duecento anni Mistero Buffo potrà essere rivisto, in ologramma tridimensio nale, come un capolavoro fuori dal tempo: un classico, come il Ruzante o Molière o Chaplin o Arlecchino o Keaton. Mentre Soccorso rosso, tra duecento anni, sarà solo l'istantanea sfocata di un invecchia tissimo, dimenticabile momento della storia italiana.
Alla notizia della sua morte la prima cosa che ho pensato — conoscendo il mio paese, i suoi umori e i suoi media —



Ma si può essere agitatori politici e artisti miserabili; e agitatori politici e artisti grandi (allo stessissimo modo l'essere cittadini moderati o conformisti o addirittura tartufi non ha impedito a molti scrittori la grandezza letteraria: Manzoni, per rimanere nella Milano di Fo, ci dice qualcosa; Piero Chiara, quasi compaesano di Fo, anche). Radicalismo, provocazione, avanguardismo sono una potente benzina dell'arte, anche se non la sola; ma nessuna benzina, comunque, garantisce di arrivare alla meta, se non sai guidare. Ognuno di noi — specie in quegli anni, ma anche questi non scherzano — ha conosciuto moltitudini di giovanotti e giovanotte convinti che gridare “il potere fa schifo” li promuovesse automaticamente all'arte. Con risultati penosissimi.
Anche Fo pensava che il potere facesse schifo, lo ha pensato fino alla fine, lo ha pensato quasi pavlovianamente, ed è per questo — per continuare a sentirsi “fuori dal sistema”, dunque per lui al sicuro — che negli ultimi anni gli piacevano i ragazzi di Casaleggio e Grillo, che l'avevano ricambiato con entusiasmo, adottandolo come un nonno illustre.
Ma sul palcoscenico è poi la maniera di dirlo, che il potere fa schifo, a fare la differenza, a fare di Dario Fo Dario Fo. Sono l'acume, la destrezza, la fantasia, la padronanza linguistica, la cultura, il talento, lo studio. Il settarismo che può essere imputato al Fo militante scompare di fronte all'universalità di molto suo teatro. La sproporzione tra la classicità (conquistata da vivo!) della sua maschera eloquente, del suo corpo scenico, e il gergo datatissimo di qualche vecchio volantino, rende arduo decifrare il nesso — che pure esiste, perché la persona è la stessa — tra il Fo di Soccorso rosso e quello di Mistero buffo. Ovvero tra un radicalismo politico sconfitto e un radicalismo artistico vittorioso, trionfante. Tra una rivoluzione perduta, quella politica degli anni Settanta, e una rivoluzione compiuta, quella del suo teatro.
Ci sarà tempo e modo per ragionarci sopra, su quel nesso, e decidere se sia molto esile (come io credo) o più robusto e significativo. Ma ragionarci, però. Non con la fretta delle tifoserie. Non con l'astio dei reduci. E soprattutto partendo dal palcoscenico e non dal volantino, così come si fa per qualunque artista: è l'opera che rimane, l'opera che fa testo, il resto si dimentica, e quasi sempre è una fortuna.





















La chiacchiera é la metrica della società. E' il rumore di fondo
dell'umano. Che dice anche senza dire. Come un segnale di linea. Perché al di là delle parole, significa che siamo sintonizzati, disponibili a metterci in comunica -zione, a parlare e ad ascoltare. A far risuonare l'altro dentro di noi e viceversa. Del resto è proprio questa l'origine del verbo chiacchierare, da una radice clag che indica l'eco, il riverbero del suono, il clamore, ma anche il richiamo di certi animali. E in tutte le lingue occidentali suono e senso della parola sono più o meno gli stessi.



Che è una vera e propria performance sociale, nel senso che mette in scena la società stessa con le sue regole, le sue gerarchie, le sue manie, le sue passioni, le sue proibizioni, convenienze, sconvenienze. In fondo l'etichetta della chiacchiera da salotto, con i suoi turni di conversazione, le tecniche del parlare e lasciar parlare, è una forma di cooperazione-contrapposizione sociale fondata sul discorso. Sul potere che ha la parola di creare realtà. Ecco perché, nelle discussioni usa e getta, come negli incontri di stato, hanno tanta importanza quelli che chiamiamo convenevoli. Consuetudini verbali che servono a manifestare disponibilità, non a scambiare informazioni. Infatti, le formule che si ripetono sono sempre le stesse, “come stai?”, “a casa tutti bene?”, “che bello vederti!”, in un crescendo sempre più formale, fino ad arrivare ai cosiddetti salamelecchi, termine derivato dal saluto arabosala'm alaik, letteralmente “pace su di te”, che indica i complimenti eccessivamente cerimoniosi, falsi, affettati, adulatori.
Ci sono popoli logorroici, come i Jivaro, che sono indios dell'Amazzonia celebri per il loro interminabile chiacchiericcio cerimoniale.
Quando gli esponenti di villaggi diversi si fanno visita, passano ore e ore a ripetere parole che non dicono nulla. Formule di cortesia che in realtà hanno la funzione preziosa di mantenere le buone relazioni tra i gruppi. Si chiamano ausha ausha e i più grandi esperti di questo parlare a perdere sono italiani, come il missionario salesiano Siro Pellizzaro e il linguista Maurizio Gnerre.
E adesso arriva una ricerca americana uscita sul Journal of Experimental Psychology e ripresa nei giorni scorsi dal Wall Street Journal a dirci che parlare del più e del meno con la barista, l'edicolante o gli estranei che fanno la fila con noi, alza il nostro tasso di benessere quotidiano. E ci salva da quell'autismo digitale in cui siamo stati gettati dalla connessione permanente. Che ha smaterializzato la chiacchiera, trasformando la conversazione in chat e forum. Insomma passare dall'interazione face to face a quella face to facebook fa male alla salute. Forse è una scoperta per gli anglosassoni, ma non certo per noi italiani che abbiamo inventato il bar sport e che della chiacchiera siamo campioni del mondo.




































































































































































































































































































































































































































































































































































































è che il Fo artista avrebbe pagato un pesante pegno al Fo politico. Facile profezia: un paio di quotidiani destra, la nostra povera incurabile destra che spregia il culturame per conclamato inferiority complex, hanno infierito sul cadavere (non rendendosi conto che anche da cadavere la sua stazza rimane fuori misura per il loro piccolo metro); il “Fatto” ha inteso spendere il suo nome monosillabo come uno spiritoso bonus “last minute” per la sua campagna referendaria; molti altri hanno scelto, come primissima forma di commiato, di rinfacciargli le sua tante prese di posizione politiche, quasi tutte riconducibili — le intelligenti e le meno — a un estremismo irriducibile, costante nel tempo e molto generoso: si spesero assai, Fo e la Rame, dando colpi a destra e a manca e ricevendone, come è noto, di terribili.
Intendiamoci, pochi artisti sono stati politici come Dario Fo. Era politico il suo teatro, politici i suoi testi, politico il suo corpo di attore che voleva farsi strumento del popolo indomito e ribelle; è stato politico il suo iter televisivo (difatti censurato, non dovendosi parlare, nell'Italia democristiana, di operai caduti dalle impalca ture); iperpolitico il suo rapporto con il pubblico: negli anni Settanta la Palazzina Liberty era al tempo stesso un teatro e una animata, fumosa sede dell'estrema (estrema  missima) sinistra milanese, e molti degli spettacoli di Dario e Franca avevano l'alea, e spesso l'andamento, dell'assemblea di compagni, con comizio prima e dopo.










Io?? Comportar mi bene?!!  Da piccolo vedevo Tarzan andare in giro nudo. Cenerentola arrivava a mezza notte. Pinocchio diceva bugie. Aladi no era un ladro.
Batman guidava a 32O km/h. Bianca neve abitava in casa con 7 uomini.
Popeye fumava ed era tutto tatuato. E Pacman corre va in una sala buia con musi ca elettro nica mangiando pillole che lo rende vano accellerato.
Troppo tardi!
La colpa non é mia ma della mia infanzia...



















































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































































Istruire lo spazio del non fare cosi come si Istruisce lo spirito del fare.
Considerare la non organizzazione come un principio vitale grazie al quale ogni organizzazione si lascia attraversare dal lampi della vita
Avvicinarsi alla realtà con stupore
Considerare la mescolanza planetaria, propria del terzo paesaggio, come un motore dell'evoluzione.
Insegnare i motori dell' evoluzione come si insegnano le lingue, le scienze, le arti...
Considerare la dimensione planetaria
Presentare II Terzo Paesaggio non come un bene.patrimonlale, ma come uno spazio comune del futuro
Conservare o far crescere la diversità attraverso pratiche consentite di non organizzazione
Disegnare un' organizzazione del territorio per maglie larghe e permeabili
Creare tante porte quante ne servono alia comunicazione tra 1 frammenti
Facilitare II riconoscimento del terzo paesaggio alla scala abituale dello sguardo. Imparare a nominare gli esseri.
Pensare 1 limiti come uno spessore e non come un tratto
Pensare al margine come a un territorio di ricerca sulle ricchezze che nascono dall' incontro di ambienti differenti
Elevare l'Improduttività fino a conferirle l'autorità politica
Valorizzare la crescita e lo sviluppo biologici, in opposizione a crescita e sviluppo economici
Proteggere I siti toccati da credenze come un territorio indispensabile per l'errare dello spirito...
Non aspettare: osservare ogni giorno.
E allora?



L'inglese chat, il francese chouchoter, lo spagnolo charlar, il tedesco plappern, ma anche i nostri ciarlare, cianciare, il veneto ciacolare, il siciliano cicaliari, con riferimento al verso della cicala, il napoletano pipitiare a quello della gallina. Ecco perché chiacchierare fa sentire meno soli. Nel bene ma anche nel male. Perché la chiacchiera è anche pettegolezzo, diceria, controllo sociale. O gossip, discendente diretto della calunnia, della voce e della maldicenza. Il termine deriva dall'inglese god sib, letteralmente “madrina”, e allude dunque alle chiacchiere tra comari. Esattamente come il francese
commérage e lo spagnolo comadreo. O l'italiano fare comarella.
Un'altra etimologia non certa ma in compenso molto bella fa derivare invece il termine da God says, che significa “Dio dice”. Attribuendo così al Signore la prova della veridicità del
chiacchiericcio. Come dire vox populi, vox dei.
Ci sono società che del pourparler hanno fatto addirittura una cultura. Come gli Inglesi, che hanno trasformato la small talk sul tempo nella materia prima della loro arte della conversazione.