NUMERO 231 - PAGINA 3 - STIAMO CON LE GOMME A TERRA











































































































La frustata, la scos sa, il bazooka. Le metafore per des crivere le iniziative dei mesi scorsi per rilanciare la
ripresa italiana ed europea non mancano. A latitare sono invece gli effetti di lungo periodo su crescita, prezzi e occupazione.
Il nuovo autunno dell'economia italiana non ha infatti dovuto attendere il cambio di stagione per cominciare. I dati di ieri sul mercato del lavoro segnano un calo degli occupati e un aumento degli inattivi, con peggioramenti significativi per i giovani.
I prezzi continuano a scen dere, dello 0,1 per cento ris petto a un anno fa, segno che l'Italia resta tecnicamen te in deflazione. E se è probabile che, a seguito di alcine revi-



Dopo un inizio elativamente promettente, l'impatto di queste misure si è però andato progressivamente riducendo, obbligando banchieri centrali e ministri a rivederle, a volte cambiando strada, altre raddoppiando i loro sforzi. L'impatto degli incentivi sull'occupazione sta scemando, tanto che il governo non è intenzionato a rinnovarli per l'anno prossimo. La Bce ha già più volte incrementato il suo stimolo monetario, e, con l'inflazione dell'eurozona ferma allo 0,2 per cento in agosto, potrebbe farlo ancora nei prossimi mesi, prima del termine delprogramma di quantitative easing previsto per marzo 2017.
Questi interventi sembrano però troppo limitati vista la gravità dei problemi che l'eurozona  e l'Italia in par-



europee: un lavoro di Gian- franco Di Vaio, economista della Cassa Depositi e Pres -titi, pubblicato ad agosto, mostra come gli investimenti pubblici siano più efficaci se accompagnati da conti dello Stato in ordine.
Difficilmente la legge di bilancio di quest'anno, a cui stanno lavorando in queste settimane il ministro Pier Carlo Padoan e il sottose -gretario Tommaso Nannicini, potrà imprimere una svolta di questo tipo. Il governo è infatti troppo impegnato a vincere il referendum sulla riforma costituzionale per spingersi in manovre coraggiose sul fronte del taglio della spesa.
Una manovra auspicabile sarebbe una riduzione strutturale del cosiddetto cuneo fiscale, che potrebbe avere effetti più duraturi




Il lettore può ingrandire a grandezza naturale le due pagine che riproduciamo per leggere gli articoli assieme a quello di F. Giugliano che riproduciamo per intero con alcune sottolineature colorate «da brivido». La biografia di Ferdinando Giugliano, napoletano, racconta che é diventato a soli 27 anni tra gli editorialisti del quotidiano londinese Financial Times e adesso è editorialista economico per Repubblica. Giugliano ha conseguito un Master e un Dottorato in Economia presso l'Università di Oxford, dove ha svolto anche attività di insegnamento. Ha lavorato come consulente per la Banca d'Italia e l'Economist Intelligence Unit.
Per contestare un articolo di FG ci vuole del pelo sullo stomaco, ma dopo le cannate che  i milioni di esperti e giornalisti hanno preso a cavallo del 2008, ce lo permettiamo senza timori.
Il ragionamento di Giugliano è il classico ragionamento dell’uomo occidentale, quello che vede al centro del mondo l’Europa (nemmeno tutta l’Ue, quindi) e gli Stati Uniti. Ragionano all’ingrosso dimenticando però uno dei fattori: il numero degli uomini rispetto al (mitico) PIL.
Giugliano parte dal principio che il modello di sviluppo occidentale, specie di quelle economie che ancora crescono un po’ di più - Germania nell’Ue e Stati Uniti oltre mare- vada preso per buono senza pensare che quel modello   impone dei costi agli altri «vicini» che non è detto siano sempre disposti a sopportare. Brutalmente i pensionati tedeschi hanno impiccato il popolo greco per salvare le proprie pensioni con la connivenza  degli altri paesi Ue. Il surplus tedesco è una delle prime con-cause della crisi economica Ue e non solo.
La Germania, secondo molti conservatori, si comporta non come una grande economia matura, ma come un piccolo Paese emergente, succhiando domanda, e quindi crescita, dai suoi partner commerciali. Il deficit di capitale delle banche passate al setaccio da Zew (Zentrum für Europäische Wirtschaftsforschung) raggiungerebbe quota 123 miliardi di euro: in testa DB con 19 miliardi di euro, le francesi Société Générale con 13 miliardi e BNP Paribas (10 miliardi).
Deutsche Bank è un gruppo molto attivo nel business dei derivati. Il gruppo ha emesso derivati per 75mila miliardi di euro,





































































































































































































































































































































































































































































































































20 volte il Pil tedesco. Stando ai dati di fine settembre 2015 il gruppo tedesco aveva in pancia titoli di questo tipo per 32 miliardi di euro. Nel 2014 erano 31 miliardi, nel 2013 erano 29.
La banca insomma non riesce a disfarsi di questa montagna di carta di cattiva qualità che si trascina dietro anno dopo anno. Se si considera che il capitale della banca, prima barriera contro le perdite, vale circa 69 miliardi si fa presto a capire come l’incidenza di questi titoli sia potenzialmente destabilizzante. A titolo di paragone Intesa Sanpaolo con un capitale di 47 miliardi di euro ha a bilancio titoli di livello 3 per 6,7 miliardi di euro.
Parlare male o svelare le grane dei vicini potrebbe essere consolatorio per gli italiani ma la questione é che il vecchio sistema non




-sioni, la crescita nel secondo trimestre sarà più alta dello zero segnato ad agosto, la ripresa resta molto più flebile di quanto il governo avesse preventivato.

Dopo anni di austerità fiscale e politiche monetarie troppo timide, il governo di Matteo Renzi e la Banca Centrale Europea guidata da Mario Draghi hanno provato a spingere la crescita. A Roma si è seguita la strada, piuttosto comoda, dei bonus fiscali. Agli 80 euro di sconto sulle tasse per oltre 10 milioni di lavoratori è seguita la decontribuzione per i neo-assunti — totale per chi ha trovato lavoro l'anno scorso, del 40 per cento nel 2016.
A Francoforte, invece, sono state avviate massicce iniezioni di liquidità, tagliando i tassi d'interesse sui depositi sotto lo zero e annunciando acquisti di obbligazioni per oltre mille miliardi di euro.:



-ticolare hanno davanti. Il nostro debito pubblico resta enorme a fronte di una crescita troppo debole per eroderlo. Lunghi periodi di disoccupazione rischiano di spingere sempre più persone verso l'inattività. Intanto, l'invecchiamento della popolazione pone una sfida formidabile per i nostri sistemi pensionistici.
La soluzione sta in interven ti più radicali: per rendere la politica monetaria più efficace, le banche europeee e italiane in parti colare vanno ricapitaliz -zate, anche a costo di penalizzare gli obbligazio -nisti subordinati.
La ripulitura dei bilanci dai crediti deteriorati dovrebbe permettere agli istituti di credito di prestare di più alle aziende innovative, in -vece di continuare a scom mettere sulla resurrezione dei loro debitori "zombie".




































































































































































































































































































































































































funziona più. Fino a 10 anni or sono i c.d. paesi sottosviluppati compravano merci occidentali di ogni genere.
Oggi -tolte alcune parti dell’Afrcia e del sud est asiatico- le nazioni sono tutte perfettamente in grado di «arrangiarsi». L’esportazione di merci occidentali - armamenti compresi- nei c.d paesi sottosviluppati è stato il motore della crescita della nostra ricchezza.

Oggi e  ancora più domani non sarà più così.
Gli «aggiustamenti» drammatici che Giugliano elenca e che non abbiamo sottolineato a colori non hanno più senso per molte ragioni. Una l’abbiamo appena detta. Un’altra è che il debito nazionale è diventato inutile. Una volta chi possedeva il debito nazionale  poteva mettere le mani sulla nazione indebitata. Vedi la doppia rapina tedesca alla Grecia. Oggi quand’anche i tedeschi siano diventati padroni di mezza Grecia non serve perché i greci «sopravvivono» di profitti i tedeschi ne fanno pochi o nessuno.
Oltre al fatto che non è detto che la situazione possa durare per sempre e non si scateni una lotta di liberazione.
Nel frattempo anche il surplus economico della Germania va o andrà riducendosi perché  l’impoverimento internazionale o anche quello solo in ambito Ue  farà i suoi effetti.
Tutti gli obsoleti suggerimenti «colorati» che il bravo Giugliano ha scritto nel suo articolo anziché stimoli di crescita diventano in breve ulteriore crisi.
Infine Giugliano dimentica l’evasione-elusione fiscale interna e internazionale. I 13 miliardi di multa affibbiati alla Mela tracciano un confine definitivo: nessuno riesce più a scappare. Oltre quelli c’è l’evasione-elusione interne accompagnata da una disponibilità finanziaria di famiglie ed imprese italiane che non ha rivali in Ue.  Bisogna tagliare e tagliare tanto. Prima intendiamoci cosa come e quanto.

    


















































































































































































































Queste iniziative variano nella loro efficacia immediata :alcune, come la decontribu -zione, sono servite a diffondere nel loro primo anno di esistenza i contratti a tempo indeterminato, come evidenziato da un paper di Paolo Sestito della Banca d'Italia. Altre, come gli 80 euro, hanno aiutato a spingere i consumi ma anche le importazioni, sollevando grossi dubbi sull'opportunità di destinare risorse così ingenti a una misura così poco mirata. Le politiche eterodosse della Bce hanno abbassato notevolmente il costo del credito per governi e imprese, ma sembrerebbero aver anche stimolato i prestiti ad aziende decotte, come testimonia un recente lavoro di Viral Acharya della New York University e colleghi.





Ma, come ha ripetuto più volte lo stesso Draghi, la politica monetaria non può bastare per far ripartire l'eurozona. Da questo punto di vista una priorità è tornare a ragionare in maniera decisa sulla spesa corrente degli Stati, ridisegnandone il perimetro, anche a costo di toccare diritti acquisiti come ad esempio la spesa pensionistica non legata ai contributi versati. Le risorse liberate potranno essere utilizzate per rilan -ciare gli investimenti pubblici e ridurre le tasse, aumentando la competiti vità del nostro sistema produttivo. Una manovra di questo tipo appare più utile di un esercizio indiscriminato di deficit spending, comunque impossibile viste le regole




degli incentivi fin qui promossi, ma il governo non sembra purtroppo intenzionato a muoversi a riguardo.
Un'eventuale vittoria del Sì al referendum potrebbe aiutare a sollevare il clima di incertezza che sta frenando gli investimenti. Ma a quel punto il governo non avrebbe più scuse per implementare una rivoluzione più volte annunciata e, al di là delle scosse e delle frustate, mai del tutto compiuta.

Ferdinando Giugliano
LaRepubblica
01 settembre 2016