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NUMERO 218 -LIBERTA' PER LA TURCHIA.
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In
queste ore i media e i governi di Unione Europea, Stati Uniti e Nato
stanno alzando decisamente i toni nei confronti di quel governo turco
che nelle concitate ore di venerdì si sono ben guardati dal difendere.
Tutti ricordano insistentemente ad Ankara che per far parte
dell'Alleanza Atlantica o per avere qualche speranza di entrare a far
parte del club dei 28 (o 27?) occorre rispettare democrazia, diritti
umani e stato di diritto.
I toni sono così esasperati che il Commissario all'allargamento
dell'Unione Europea, Johannes Hahn, ha detto esplicitamente ciò che in
molti pensano: che i nomi delle migliaia di poliziotti, militari,
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Quando
recentemente Ue e Nato gli chiedevano di rompere i ponti con lo Stato
Islamico e di unirsi alla campagna militare contro Daesh Erdogan ha
risposto che lo avrebbe fatto solo se avesse ottenuto l'ok
all'invasione della Siria. Quando Usa e Ue premevano affinché mettesse
fine ai bombardamenti sulle città curde il regime islamo-nazionalista
ha reagito invitando i censori internazionali a farsi i fatti propri.
Poi, sull'onda del completo fallimento della sua strategia
isolazionista – dopo la rottura con il fronte occidentale anche la
crisi con Israele e poi con la Russia – Erdogan ha tentato nelle ultime
settimane di rimediare,
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Quale
che sia stato il livello di partecipazione, di sostegno o semplicemente
di assenso al tentativo di colpo di stato da parte di Usa e Ue, a
nessuno è sfuggito quel roboante silenzio delle cancellerie europee e
dell'amministrazione Obama durante quelle quattro ore di sanguinosi
scontri per la supremazia tra Istanbul ed Ankara.
E non sfugge a nessuno che le accuse rivolte da Erdogan al suo ex socio
Fethullah Gulen, ospite negli Stati Uniti ormai nel 1999, sono
soprattutto strali rivolti verso la Casa Bianca. Mentre alcuni generali
e soldati che operavano nella base di Incirlik finivano in manette con l'accusa di avere sostenuto il golpe,
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che il progettato regime change mirava a far rientrare. A meno che
Erdogan e i suoi, temendo che un eventuale prossimo tentativo possa
andare a buon fine, non capiscano l'antifona e tornino nei ranghi.
Ma per ora il controgolpe attuato da un Erdogan scaltro e vigile –non è
escluso che gli ammutinati siano stati scoperti, lasciati fare e
attirati in una feroce trappola – ha riportato in sella il “sultano”
che solo pochi giorni fa sembrava traballante sull'onda dei suoi
fallimenti in politica estera ed in economia. Ampiamente sostenuto da
un vasto blocco sociale costruito negli anni a partire da una strategia
ideologica (islamismo più nazionalismo sciovinista) e materiale
(clientelismo, assistenza, promozione sociale di ampi settori di
popolazione rurale urbanizzata) sembra che Erdogan possa cementare il
suo potere sfruttando i madornali errori compiuti dai militari
ammutinati e dai loro sponsor.
Una Turchia “sganciata” dalla filiera di Stati Uniti e Unione Europea
rischia di creare una nuova variabile impazzita in un contesto già reso
esplosivo dalla destabilizzazione. Come ormai da tradizione, un altro
ex alleato – o pedina – degli Usa tenta di andare per la sua strada. Se
Noriega è stato facile rimpiazzarlo, Erdogan pare un osso assai più
grosso e più duro. E' il segno dei tempi e del piano inclinato su cui
precipita a velocità sempre maggiore il sistema.
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le
autorità di Ankara staccavano la corrente all'impianto militare
utilizzato da centinaia di militari a stelle e strisce per i raid in
Siria. Una efficace manifestazione della vendetta turca contro il paese
considerato l'ispiratore dei fatti del 15 luglio.
La notizia sul rifiuto tedesco di concedere a Erdogan
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funzionari
pubblici, magistrati, arrestati o sospesi dal loro incarico in queste
ore erano evidentemente inseriti in liste nere di proscrizione da tempo
compilate dalla cupola dell'Akp.
In particolare è la possibile reintroduzione nel paese della pena
capitale, cancellata nel 2004 quando la Turchia procedeva
apparentemente a tappe forzate verso l'adesione all'UE, ad aver
suscitato le ire e la preoccupazione di capi di stato, ministri e
popolari analisti. Quegli stessi che da sempre hanno chiuso gli occhi
di fronte alla pena capitale inflitta, senza neanche una parvenza di
processo, a migliaia di guerriglieri e civili curdi abbattuti come
mosche da quegli stessi
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ricucendo sia con Tel Aviv che con Mosca. Una pezza peggiore del buco agli occhi
di Ue e Usa che dopo aver subito le bizze e i ricatti di Erdogan
assistevano al suo repentino avvicinamento verso alcuni dei propri
maggiori competitori. E' plausibile quindi pensare che alle smanie di
indipendenza e di grandezza del 'sultano' qualcuno abbia pensato di
dire basta utilizzando la vecchia ma apparentemente rodata pratica del
putsch militare.
Uno “strano” golpe, lo abbiamo definito. “Strano” non perché Erdogan
'se lo sia fatto da solo', suggestione su cui insiste da giorni un
sempre meno autorevole Corriere della Sera,
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Ma i
sogni di gloria e di potenza del 'sultano', tramontata la possibilità
di un'area geopolitica neo-ottomana a guida turca dal Nord Africa al
Caucaso passando per il Medio Oriente, potrebbero scontrarsi con un
contesto internazionale niente affatto benevolo. Se Erdogan spera di
approfittare delle contraddizioni e della competizione tra Usa, Ue e
Russia, le sue ambizioni potrebbero essere stritolate da una micidiale
manovra a tenaglia.
Le mire erdoganiane sulla Siria sono state frustrate inesorabilmente
dall'intervento russo e il massacro della popolazione curda del sudest
turco potrebbe non essere sufficiente a impedire l'affermarsi di un
semistato curdo nel confinante Rojava siriano che gode del potenziale
placet di Washington, Bruxelles e Mosca.
Se per ora Ankara tenta di uscire dall'isolamento in cui si è cacciata
ricucendo con Israele e la Russia è quanto mai evidente che nello
scenario attuale di competizione globale le alleanze internazionali – e
in questo Erdogan è maestro di trasformismo – non possono che essere
relative, mutevoli e a geometria variabile. Per non parlare di una
crisi economica che potrebbe esplodere tra le gambe del 'sultano' come
una bomba a tempo e scomporre rapidamente quell'apparentemente coeso
blocco sociale che oggi osanna il nuovo Ataturk e manifesta agitando le
sue gigantografie. Le ampie e non più collaborative infiltrazioni
jihadiste e l'insorgenza armata curda potrebbero fare il resto.
In questo quadro un punto di vista antagonista non può lasciarsi
ingabbiare nella logica del tifo, né tra i diversi attori della
competizione globale, opposti ma simmetrici, né tantomeno tra le forze
in conflitto all'interno del paese. L'autoritarismo e il fanatismo
islamista erdoganiano – rimpinguato dal nazionalismo fascistoide dei
Lupi Grigi – e il nazionalismo sciovinista e atlantista degli
oppositori all'attuale regime – nostalgici però di quello precedente –
non rappresentano che due facce della stessa medaglia.
Marco Santopadre
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militari
il cui operato venerdì a Bruxelles non sembra esser dispiaciuto del
tutto. Se da 48 ore le foto dei soldati denudati, legati e ammassati
l'uno sull'altro come i prigionieri di Abu Ghraib meritano le prime
pagine dei nostri quotidiani e le aperture dei tg, lo stesso non
accadeva quando Erdogan era un utile e docile servitore degli interessi
occidentali in Medio Oriente.
Eppure chiudeva giornali e incarcerava giornalisti e dissidenti senza
troppi complimenti, e faceva il lavoro sporco per conto della Nato
finanziando e addestrando nelle sue basi, nel suo territorio, migliaia
di 'ribelli' che presto si sono rivelati tutt'altro che moderati.
Quando la democraticissima
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Unione
Europea ha chiuso con Ankara l'infame accordo sui migranti – sei
miliardi di euro più la conces- sione della libera circolazione per i
cittadini turchi in cambio del contenimento di milioni di profu -ghi da
tenere alla larga dalle nostre coste anche sparando
gli addosso – il ruolo del regime erdoganiano come finanziato
re e protettore
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mentre era
in fuga dai golpisti potrebbe (se veritiera) non riferirsi a una
vicenda reale ma essere un efficace modo per puntare l'indice contro
Frau Merkel, segnalata così come sponsor degli ammutinati.
Che il tentativo di Erdogan non sia andato a buon finee che anzi il contro golpe stia con-
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di quell'integralismo jihadista che
faceva strage nelle città europee era ampiamente noto, eppure davvero
poche furono le voci critiche che si levarono dalle stanze continentali
dei bottoni e dalle redazioni.
E' con una incredibile dose di ipocrisia che Bruxelles agita ora contro
Ankara (ma non contro Kiev, e ne avrebbe ben donde) una questione –
quella dei diritti umani – finora colpevolmente ignorata.
Apparentemente sono Nato e Ue a bacchettare e ricattare la Turchia, ma
la verità è che è esattamente il contrario: è Erdogan che sembra sul
punto di rompere con i vecchi padrini dopo averne ampiamente ostacolato
i piani.
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ma
per le sue timidezze, per la ua disorganizzazione, e perché la rapida
sconfitta dei militari ribelli segna un punto di rottura tra Ankara e
Ue/Nato che potrebbe avere, almeno nel breve periodo, gravi conseguenze
per Bruxelles e Washington. Gli Usa hanno bisogno della Turchia per
mantenere un piede – e una certa dose di agibilità militare – in un
Medio Oriente che ormai pullula di potenze rivali e dove l'intervento
militare russo ha ulteriormente indebolito l'egemonia a stelle e
strisce. Bruxelles, già alle prese con le minacce di Brexit, deve
affrontare problemi analoghi, e non può permettersi di perdere un paese
chiave sul suo fianco orientale dal punto di vista economico e
geopolitico.
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-cedendo
al capo del regime turco un potere senza precedenti la dice lunga sul
declino della capacità egemonica degli Stati Uniti (e delle potenze
europee) in Medio Oriente. Come scrive efficacemente Mario Platero su
Il Sole 24 Ore (“Le sfide globali di un'America assediata”)
“Washington si trova in stato d'assedio su tre fronti diversi: la
tenuta del suo ordine interno, la credibilità del suo ruolo di
leadership globale e, soprattutto, la tenuta del suo modello economico.
(…) Ciascuna delle sfide è allo stesso tempo figlia e madre delle
altre”.
Il fallimento delle trame ordite dagli apprendisti stregoni potrebbe
accelerare quelle tendenze “autonomiste” del governo turco
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